Dalla Cecenia all’ Ossezia del Sud passando per Beslan. Caucaso 2015

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Ai primi bagliori solari di un nuovo giorno il pullman sul quale viaggiamo viene fermato facendoci ridestare all’ improvviso. Siamo su questo bus da più di 10 ore ma sostanzialmente siamo comodi. O comunque in condizioni migliori rispetto al pullman con i sedili sfondati o staccati ed appoggiati sulla loro sede che utilizzammo esattamente 6 anni fa sempre sulla stessa tratta. Quella volta però non ci spingemmo fin qui. Quella volta ci fermammo giusto 90 chilometri prima, a Nalchik, la capitale della Repubblica della Kabardino – Balkaria, dalla quale poi movemmo su fino a al villaggio di Terskol e quindi sul monte Elbrus.
Provenivamo dalla Crimea, ai tempi ancora inquadrata nell’ Ukraijna, “passando” per Sochi e recandoci a Volgograd. Il monte Elbrus era “solo” una deviazione di qualche centinaio di chilometri a sud rispetto al nostro tragitto.
Questa volta invece la nostra meta è il Caucaso vero e proprio, quello più profondo. Una terra di montagne, di tradizioni antiche, di succulente pietanze di carne e ricca di storia. Una storia anche recente, che si sta ancora scrivendo e che continuiamo a vivere in questi anni.
Una storia fatta di sangue, di guerre, di sferragliare di mezzi militari, di attentati, di pianti, di luoghi adibiti da secoli a campi di battaglia.
Dalla città di Armavir fino all’ Elbrus e poi di nuovo risalendo a Rostov na Don e poi verso Volgograd mi ricordavo decine di controlli di polizia in missione anti terrorismo. Era il 2009 e la situazione era ancora calda. Solo 1 anno prima c’ era stata anche l’ indipendenza dell’ Ossetia del Sud che aveva comportato una guerra lampo tra Georgia e Russia alla quale assistemmo, durante un altro nostro viaggio, quasi in diretta dalla città di Gori, ad una manciata di chilometri dalla nuova linea del confine georgiano che si andava delineando . I controlli nel 2009 erano numerosi ed alla lunga risultarono anche noiosi per noi stranieri in viaggio in quelle terre.
Questa volta invece, a distanza di 6 anni, la situazione si presenta, almeno in superficie, meno oppressiva.
Il nostro pullman si è però arrestato ora proprio per un controllo. Siamo fermi sul fiume Uruk, alla frontiera tra Kabardino – Balkaria ed Ossetia del Nord, due repubbliche comunque appartenenti alla Federazione Russa a tutti gli effetti. Soprattutto qui nel Caucaso però, le frontiere tra le varie repubbliche sono presidiate e controllate a campione. Il rischio e la paura di terroristi in libera uscita è forte.
Siamo ovviamente gli unici 2 stranieri a bordo ed inevitabilmente i nostri passaporti vengono presi in consegna ed io invitato a seguire il militare. A volte in Russia militari ed impiegati pubblici si immedesimano nel loro ruolo istituzionale ragionando anche in maniera molto rigida e fortemente burocratica. Retaggi di una trentina e passa di anni fa che persiste ancora negli impiegati più attempati. Siano bidelli, poliziotti, bigliettari, capo- vagoni dei treni, impiegati di un qualsiasi ufficio, vestono i loro panni in maniera ufficiale ed a volte meccanica lasciando poco spazio alla logica ed al ragionamento. Quando hai una certa confidenza con questa mentalità, però, lo sai ed assecondi il gioco di dargli importanza con l’ unico cruccio, magari, di restare lì a perdere del tempo.
Anche in questo caso i doganieri per un presunto stupido cavillo burocratico, inesistente tra l’ altro, fanno perdere 30 minuti circa a noi ed a tutto il bus. Gli spiego varie volte la situazione e solo dopo numerosi tentativi ad un poliziotto viene in mente un’ illuminazione: la stessa spiegazione che gli sto fornendo da svariati minuti.
Bravo ! Che intuizione !
Mi sembra di vivere una scena di “Fracchia la belva umana” dove l’ attendente De Simone proponeva la soluzione più immediata senza esser preso in considerazione, salvo pochi minuti dopo la stessa idea venir tirata fuori dal Commissario Auricchio e tutti a giubilarlo.
“Liberato” dall’ ufficio risalgo sul bus tra l’ ovazione generale dei passeggeri e dell’ autista innervositi per la perdita di tempo ed il sospiro di sollievo del mio compagno di viaggio ansioso per le mie ( e sue) sorti.
Da fine osservatore d’ esperienza, anche nei momenti più complicati e difficili, i dettagli mi risaltano agli occhi quasi preoccupandomi più di registrare questi che di risolvere la situazione nella quale eventualmente mi trovo.
Un elemento che noto e’ la quasi totale presenza, in questo punto di frontiera, di militari russi ovviamente ma di etnia tagika, kirghiza, mongola, buriata, in pratica come se militari originari dal profondo oriente russo fossero stati trasferiti in questo angolo impervio d’ Europa. Sarà un caso o un fattore voluto strategicamente per gestire con più freddezza, rispetto alla popolazione locale, questi luoghi?
Di certo, però, non mancano i superman di etnia più propriamente russa armati ed equipaggiati di tutto punto.

BESLAN
Era il 1 settembre 2004 quando un folto gruppo di terroristi assaltò la scuola n. 1 di Beslan facendo prigionieri centinaia di bambini, insegnanti e genitori che si accingevano ad iniziare l’ anno scolastico durante la celebrazione del primo giorno di scuola. La gente fu ammassata nella palestra tenuta sotto perenne controllo armato da parte dei rapitori che vessavano di continuo i prigionieri costringendoli a restare senza cibo ed acqua tanto che molti di loro furono costretti a dissetarsi con i propri escrementi. Molti di loro furono passati per le armi durante i 3 giorni di prigionia da parte dei terroristi e di assedio da parte delle forze speciali russe. Finchè qualcosa non accadde. Delle esplosioni, propiziate non si sa con certezza da chi, diedero inizio ad un drammatico eccidio. Più di 300 persone delle quali 186 bambini persero la vita.
Una tragedia che colpì duramente l’ opinione pubblica ed ancora oggi è sempre viva nei ricordi di molti.
E’proprio per rimembrare questa tristissima pagina di storia e vedere con i nostri occhi tutta la drammaticità di questa tragedia che facciamo coincidere la nostra visita a Beslan il giorno dell ‘ undicesimo anniversario.
Assoldiamo, fuori dal nostro hotel dove alloggiamo a Vladikavkaz, Ruslan un tassista il quale ci scorazzerà in altre escursioni nei giorni seguenti e con il quale si instaurerà comunque un rapporto di stima e confidenza che esulerà dal mero rapporto lavorativo. Percorriamo i circa 30km che separano la capitale dell’ Ossezia del Nord alla cittadina resa famosa dall’ eccidio. La cosa che ci colpisce del posto è il Silenzio. La poca gente per strada, i bambini, i poliziotti che chiudono il traffico sulle arterie principali, le automobili, i negozi aperti, noi stessi restiamo in quasi totale silenzio.
Sin dai primi passi che muoviamo a piedi in direzione della scuola avvertiamo un senso di disagio, un quasi avvertire di essere fuori luogo. Non perché qualcuno ci lancia sguardi o ci addita ma solo perché ci sentiamo dei “turisti del dramma”, estranei che, se anche certo con buone intenzioni di vedere con i propri occhi e sentire la tristezza con le proprie emozioni, quasi disturbano questa comunità chiusa da 11 anni nel proprio dolore. Anche il nostro accompagnatore si commuove davanti la scuola, anche lui ha avuto dei conoscenti colpiti dalla tragedia. Ci muoviamo taciturni nella palestra della scuola, rimasta ancora come i giorni dell’ eccidio, e mesti pensieri ci assalgono. I muri anneriti dal fuoco, le travi del soffitto bruciacchiate, una spalliera svedese per la ginnastica, un canestro arrugginito sono tutti testimoni oculari e protagonisti inconsapevoli di un dramma di proporzioni immense. Gli ex voto – ricordo delle tante persone, singoli o gruppi, privati o associazioni e istituzioni che sono giunti negli anni in commemorazione su questo luogo, fanno da cornice alle centinaia di candele poste al centrocampo della palestra sotto una grande croce ortodossa. Mazzi di fiori e corone funebri completano il quadro doloroso di mamme, nonne, sorelle, parenti e conoscenti delle vittime della strage. Vecchie signore, molte in realtà giovani ma invecchiate dal dolore che si portano dietro, piangono in silenzio negli angoli della palestra, davanti una foto del proprio bambino ucciso, in raccolta davanti una effigie di un santo. La sensazione è stringente. Usciamo fuori ma mi sento ancora scosso e ho voglia di rientrare. Per avvertire un ulteriore momento di raccoglimento interiore.
Siamo sopraffatti dall’ emozione. Ma siamo qui anche per essere occhi ed amplificatori per il nostro piccolo spaccato di mondo in cui viviamo in Italia. Leggere, vedere dei video o delle foto non ti da la giusta dimensione della tragedia; essere qui, calcando questi stessi luoghi ed avvertendo determinate sensazioni, ti fa percepire la strage in una maniera molto più diretta.
Incamminandoci verso la scuola siamo passati davanti la stazione della polizia locale ed abbiamo verificato con i nostri occhi quello che avevamo letto e quello che ci ripete Ruslan più volte: “come è potuto accadere con una stazione della polizia ubicata giusto dietro l’ angolo dell’ istituto scolastico?
Ce lo chiediamo anche noi ma potrebbero esserci differenti spiegazioni. Dalla più stupida di schettiniana memoria a quella più dietrologa del “lasciar fare”.
Lasciamo la palestra dove decine di giovani sostano nei pressi indossando una maglietta nera con stampata la scritta “antiterror”, dove il pope dispensa parole di conforto e dove tanta gente sosta in una sorta di meditazione e ci rechiamo verso il “Memoriale degli Angeli Eroi”, il vasto cimitero costruito appositamente per le vittime della scuola in un campo adiacente l’ aeroporto e dove un paio di statue – memoriali sono erette ad imperituro ricordo.
Girovaghiamo tra le lapidi accompagnate quasi tutte da un tavolino e due panchine in granito che servono ai familiari per sostare giornate intere sulle tombe dei lori bambini e proporre loro delle offerte in viveri. Diamo sguardo a molte incisioni dei nomi e dei volti delle vittime. Ci soffermiamo su un particolare: l’ anno di nascita di moltissime maestre. Il nostro… E non una o due ma tante…
Rientriamo a Vladikavkaz e con il nostro autista e discutiamo di Beslan e della situazione generale del turbolento Caucaso. Ruslan ci dice che a Beslan a pianificare l’ attacco terroristico non sono state menti cecene, come ne è convinta la maggior parte dell’ opinione pubblica “occidentale”, ma bensì teste provenienti dall’ attigua Repubblica di Inguscezia.

GROZNY
L’ ultima discussione su temi geopolitici col nostro autista era terminata con la sua forte affermazione rivelatrice di assoluta certezza che la mano sanguinaria su Beslan non fu cecena ma inguscia.
E siamo proprio diretti in Cecenia attraverso l’ Inguscezia quando riprendiamo la nostra conversazione.
Le cosiddette frontiere, come quella dove venimmo fermati tra Kabardino – Balcaria ed Ossezia del Nord uno dei primi giorni del nostro viaggio, sono frequenti in questa zona geografica. Ruslan ci conduce attraverso strade secondarie per evitare il check point con la Repubblica d’ Inguscezia controllato dai militari russi. Meglio affrontare la frontiera dalla strada controllata dagli osseti, a suo dire. E cosi giungiamo ad un grande incrocio dove finalmente ci rendiamo conto delle parole del tassista. Se provieni da destra ti controllano i russi, se arrivi dalla nostra direzione ti controllano gli osseti, se giungi da sinistra sei in mano agli ingusci. Un po complicato se si pensa che siamo a tutti gli effetti in… Russia.
Come previsto dal nostro amico alla guida, subiamo solo un rallentamento e tiriamo diritto in direzione Nazran la città capitale dell’ Inguscezia fino a pochi anni fa quando abdicò a favore dell’ attigua Magas.
Lo scenario cambia. Piombiamo all’ istante in Medio Oriente e ce ne accorgiamo subito dalle donne ai margini della strada che sono coperte dal velo. Non ci sono estremismi visti in Giordania ma la differenza visiva con l’ ambiente prefrontaliero si nota. Attraversiamo l’ Inguscezia dove la strada principale che percorriamo e’ tutta costellata di pali elettrici su ognuno dei quali, e sono centinaia, sono alternativamente dipinti i colori bianco-verdi della Repubblica musulmana e quelli panslavi della Federazione Russa. Così per chilometri. Fino al punto d’ ingresso della famigerata Repubblica Cecena.
La conversazione con il nostro guidatore di fiducia si fa sempre più stretta, oramai Ruslan è con noi da un paio di giorni e la confidenza inizia ad essere sempre più aperta.
All’ inizio del tragitto, subito fuori Vladikavkaz, durante una delle nostre escursioni nella zona, ci mostra l’ area dove sorgeva una sorta di aeroporto militare off limits sul quale atterravano aerei dai quali venivano scaricati decine di mezzi militari, armamenti e soldati durante la guerra in Cecenia oltre che per il più recente conflitto in Ossezia del Sud e soprattutto durante la guerra tra Ossezia del nord ed Inguscezia.
Più drammatica di quella cecena, sostiene lui. Forse, pensiamo noi, perché quella cecena seppur da molto vicino l’ ha solo ascoltata, quella osseto – inguscia l’ ha vissuta a casa sua. Dell’ aeroporto militare ora non resta niente altro che uno sterminato campo incolto mentre restano le montagne poco fuori Beslan da dove gl ingusci sparavano e detenevano in mano la situazione nei confronti dell’ Ossezia. Terre di guerra queste, scenari strategici anche durante la II° Guerra Mondiale quando proprio dalle valli a qualche decina di chilometri più a nord i nazisti furono ributtati indietro fino al monte Elbrus e poi fino a Volgograd dalla quale città iniziò poi l’ inesorabile ritirata fino a Berlino. Non ascoltiamo mai parole di ira o di rassegnazione dalla voce di Ruslan ma anzi riesce a farci un quadro della situazione quasi distaccato nonostante fosse stato attore di questi tragici accadimenti. Come quando ci racconta dello scoppio di una bomba ad una fermata del bus di fronte al mercato di Vladikavkaz. Era presente fisicamente in quei momenti disperati che ci racconta quasi come un cronista esterno. Gli ingusci, ancora loro. Come ingusci, incalza, sono gli attentatori che hanno attaccato Mosca più volte. Forse è di parte quando afferma queste cose essendo lui osseto o forse dice la verità come affiora anche da alcune versioni ufficiali.
Ma stiamo per fare il nostro ingresso nella “temutissima” Cecenia. Un ritratto gigante di Kadirov figlio, l’ attuale Presidente della Repubblica ci da il benvenuto. E lo scenario cambia di nuovo. Da “mediorientale” con traffico, confusione nei villaggi, donne velate si passa ad un paesaggio più “kazako” con vasti campi inabitati attraversati dalla strada che percorriamo. La guerra era anche e soprattutto qui, in questi spazi enormi e quel poco che c’ era ovviamente non c’ è più. C è però una strada lineare, larga, ben asfaltata e veloce. Un altro segnale che ci indica che siamo in Cecenia, la Repubblica dove sono stati investiti milioni di rubli dopo la fine dell’ ultima guerra. Soprattutto per la ricostruzione della sua capitale Grozny. Città in cui, dopo più di 6 anni di attesa, riesco ad approdare. Ed a restare deluso per certi aspetti.
Grozny, ma ne eravamo già al corrente, è una città completamente ricostruita dopo esser stata rasa al suolo. I fotogrammi, i video che abbiamo in mente circa quegli anni di terrore di guerra e distruzione sembrano svanire ed appartenere ora a film d’ azione. Non esiste più nessuna traccia della Grozny sotto le bombe di cui c’è l’ abitudine pensare. O meglio, della terribile Grozny capitale della pericolosissima Cecenia discarica dei pregiudizi più disparati. La sensazione che avverto sulla città è strana: mi sembra di provare l’ atmosfera di un governo che controlla tutto come a Tashkent ma incorniciato dall’ architettura a volte pacchiana come ad Astana. E come ad Astana convivono 2 anime cittadine, quella ultramoderna e quella più di tradizione russa.
La pomposa università; i grattacieli sedi di centri finanziari, uffici vari ed hotel di lusso; il centro congressi che ricorda la Casa Bianca; la gigantesca Moschea frequentata a tutte le ore; la Residenza Presidenziale, forse disabitata a quanto ci dicono, immersa in un vasto parco che ricorda per molti aspetti la residenza del Presidente del Kazakhstan ad Astana appunto; l’ intero quartiere elegante preso in possesso da un ministro ed i suoi ciambellani; la sede della televisione dove solo qualche mese fa è scoppiata una bomba ed i danni subito fatti sparire; l’ enorme spiazzo del Memoriale dedicato a Kadirov padre, il genitore dell’ attuale Presidente, considerato dal governo russo il “nuovo Padre della Patria” cecena, assolato all’ inverosimile e che richiama il centro di Tashkent. Anche nella capitale uzbeka il caldo era asfissiante e per le strade non esistevano alberi o zone ombrose. Per evitare adunate sediziose ci sussurrarono. Forse a Grozny hanno utilizzato la stessa tecnica…
Non si vedono militari per le strade, solo l’ accesso all’ aeroporto è controllato da mezzi militari corazzati, ma si avverte la propaganda politica. Le effigi dei Kadirov padre e figlio, spesso in compagnia di Putin, sono frequenti. Come le intitolazioni pubbliche a partire dallo stadio dedicato a Kadirov padre passando per la via principale della città dedicata a Putin stesso.
A Grozny anche i vecchi enormi condomini vespai di architettura socialista degli anni di Krusciov, quelli che pur danneggiati gravemente erano rimasti in piedi, sono stati restaurati e rinnovati esteriormente, ricoperti di pannelli colorati che donano una nuova e più fresca espressione.
Minutka, l’ accesso alla città, punto cruciale della guerra e dove si sono consumate le pagine più drammatiche per i cittadini di Grozny, è ora una moderna rotonda affannata dal traffico automobilistico di ogni giorno. Grozny ci appare, quindi, come una moderna città. Dalle 2 facce però dicevamo. Ed infatti dietro lo sfarzo c’è una popolazione che comunque non gode di tutti questi investimenti. Proviamo ad informarci tramite nostri contatti locali sull’ attuale situazione politica. A loro dire il governo russo non è amato ed il fuoco dell’ opposizione se non quello del separatismo è ancora sotto le ceneri che cova e può riaccendersi in maniera violenta da un momento all’ altro. Chiediamo conferma alla nostra supposizione circa l’ enorme flusso di danaro versato sulla città che noi intendiamo come una sorta di concessione, di patto non scritto: “vi diamo modernità e benessere” (non per tutti comunque, come detto) “e voi non create più conflitti e tensioni separatiste”, ci viene risposto che in realtà lo scintillio imposto alla città è un segnale di forza: “come vi abbiamo raso al suolo, così vi ricostruiamo”. Punto di vista di parte anche questo ovviamente, o forse una mezza verità completata dal nostro teorema.
Tra i sentimenti di alcuni nostri interpellati ci imbattiamo in una 3° posizione in campo tra quella del governo russo ed i separatisti islamici: una indipendenza della Cecenia in chiave europeista ed “occidentale”. Una posizione di cui non si è mai letto o sentito parlare sui grossi media. E’ vero che la guerra è stata intrapresa in chiave islamica dai combattenti ma non mancano, quindi, gli interessi occidentali che si incuneano tra le crepe. A conferma di ciò anche il sentore di locali scuole “internazionali”. Sullo stile di quella in cui ci imbattemmo in Uzbekistan e dalla quale ricevemmo dei gentili messaggi di avvertimento. Certo, in Russia è vietata la presenza di agenzie, centri studi, organizzazioni di dubbia origine o mantenute con finanziamenti esteri non molto chiari ma niente vieta di aprire dei centri locali d’ ispirazione “occidentale” ufficialmente privati.

OSSEZIA DEL SUD
Il nostro viaggio prosegue a zonzo per la spettacolare catena montuosa del Caucaso che separa Russia e Georgia. Ed Ossezia del Sud. Un’ altra delle nostre tappe.
Gli scorazzamenti in montagna ci regalano emozioni uniche e clamorose che ci portano alla scoperta di corsi d’ acqua, panorami mozzafiato, villaggi rurali, monasteri ortodossi, fonti d’ acqua termali e benefiche, uno dei rarissimi, se non oramai l’ unico, monumento dedicato a Stalin, antiche costruzioni dei primi abitanti della zona.
E proprio curiosando in alcune di queste strane case in pietra, per molti aspetti simili ai nuraghi della Sardegna e con qualche richiamo ai trulli di Alberobello, che ci imbattiamo in una strana e macabra sorpresa. Diversi scheletri umani, ben conservati e perfettamente visibili, sono adagiati nelle costruzioni più piccole. Essendo terra di guerra e sangue ci balzano in mente sinistre proiezioni mentali. Ma ci sembra strano trovare resti umani in varie di queste casette e, soprattutto, l’ esser scheletro presuppone un data di morte molto più antecedente alle recenti guerre. Proviamo quindi ad informarci e intuiamo di trovarci davanti a niente altro che delle sorte di tombe di campagna. Invece di un cimitero e di una degna sepoltura, alcuni corpi venivano abbandonati all’ interno di queste piccole opere murarie. E lasciate alla mercè del tempo e di qualche animale.
Ci rechiamo, come accennato, anche verso l’ Ossezia del Sud, lo stato nato nel 2008 dopo essersi reso indipendente dalla Georgia, stato alla quale era stato associato dopo il disciogliersi dell’ Unione Sovietica.
Eravamo a Gori nel 2008 quando i movimenti militari arrivarono a lambire la periferia della città natale di Stalin. La curiosità di visitare l’ Ossezia del Sud quindi l’ avevamo dentro da allora. Finalmente, come per Beslan e Grozny, è arrivato anche il suo momento. San Giorgio in sella al suo cavallo nell’ atto di uccidere il drago con la sua lancia ci dà la sua benedizione, sospeso tra cielo e terra nella forma di una enorme ed imperiosa statua, che si staglia a picco da una parete di roccia.
Dopo chilometri di paesaggio da farci girare la testa nelle varie direzioni, giungiamo alla frontiera russa. Ci apprestiamo ad uscire dalla Federazione e comunque da un’ uscita insolita per degli stranieri. Tanto più che poi dall’ Ossezia del Sud si può riuscire esclusivamente ripassando da questo varco doganale con la Russia stessa.
Come altre volte alla frontiera con Kaliningrad, come quella volta, un po di anni fa, alla frontiera polacco – ucràina che fui scambiato, in seguito in uscita dal paese, per clandestino, come quell’ altra volta tra le isolate montagne dell’ Altaj kazako, come varie altre volte anche fuori dall’ area ex Urss, quando uno straniero si presenta a valichi frontalieri per niente comuni e fuori dalle tipiche tratte del turismo cosiddetto, anche questa il controllo dei passaporti risulta lungo e complesso.
Oramai abbiamo una certa abitudine e lasciamo scorrere il tempo.
Questa volta, però, ci scappa in più un vero e proprio interrogatorio. Lasciamogli il dubbio del sospetto. Che dissipiamo senza problema alcuno.
Ci inoltriamo per la strada ed i tornanti dell’ Ossezia del Sud. Lo scenario si fa ancora più bello e siamo accompagnati da una luce solare che rende ancora più raggiante il verde dei prati di montagna che fanno da cornice al nostro procedere. Fino al check- point controllato dall’ esercito osseto del sud.
Per alcuni metri la strada diventa sterrata ed una sorta di passaggio a livello interrompe il nostro cammino.
I giovanissimi militari controllano i nostri documenti di viaggio. Siamo portatori di una vincolante irregolarità amministrativa che sapevamo mancasse ma che non ci ha impedito di provare comunque la sorte.
Niente da fare. Siamo oramai a pochi chilometri da Tskhinval, la capitale del giovane stato, ma il nostro sogno di visitare il paese si infrange qui. Con estrema gentilezza i militari ci impongono il dietro-front, purtroppo non possono derogare ad i loro obblighi. Anche un’ altra signora, ci indicano, con il nostro stesso problema è stata respinta ed attende con pazienza un familiare che la riporterà indietro.
Il tempo di dare un ulteriore sguardo e fissare per sempre questi momenti nella scatola nera della memoria. La foto inesistente più bella di tutto l’ intero viaggio. Immersi in mezzo ad una enorme vallata verde tra le altissime montagne del Caucaso, fermi in mezzo ad uno sterrato check point di una frontiera poco conosciuta e con garbati militari armati di tutto punto che ne controllano il passaggio. Vorrei restare qui ancora a lungo a gustarmi questa scena. Come quella volta che ci fermammo per più di un’ ora, come dei divertiti bambini, a guardare una piccola zattera in legno trasportare avanti e dietro, da una sponda all’ altra, uomini e mezzi nei pressi di Butrint, ultimo lembo di Albania prima della Grecia.
Salutiamo l’ Ossezia del sud e ritorniamo indietro. Il nostro viaggio proseguirà ancora per giorni, toccando altre interessanti mete e prevedendo un emozionante ritorno, per me, sul monte Elbrus.
Schernendo da parte nostra i commenti, frutti di ignoranza e pregiudizi, che hanno preceduto ed accompagnato il nostro viaggio ed i motivi dello stesso. Molta gente non arriva a comprendere che siamo spinti dalla sola passione di viaggiare, scoprire posti nuovi e combattere i pregiudizi stessi sentenziati nei confronti delle mete da noi battute.

* L’ itinerario completo del viaggio:
Krasnodar
Vladikavkaz
Beslan
Fiagdon
Grozny
Ossetia del Sud
monte Elbrus
Pyatigorsk

LUCA PINGITORE

 

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