Ochamchira. L’ Abkhazia nostalgica


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Dall’ alto del quindicesimo piano il sole che tramonta all’ orizzonte sul mare ti porta in un’altra dimensione e ti fa avvertire un misto di emozioni: eccitazione, malinconia, gioia, quiete, distensione ed i pensieri ti si affollano nella mente.
Come sarebbe stato questo posto se il corso della storia fosse andato in maniera diversa?
E perché la storia è andata così?
Come si è vissuto negli ultimi 30 anni circa?
E come si svilupperà il futuro?
Il rimbombare delle piccole onde all’ interno della vuota ed enorme costruzione, formate dal naturale movimento del mare sottostante, mi cullano per interminabili lunghi minuti.
Mi trovo su quello che potrebbe esser considerato da molti un mostro architettonico ed ecologico, per altri, come il sottoscritto, un sensazionale e commovente monumento alla storia.
Un imperioso palazzo completamente abbandonato, ridotto praticamente ad un gigantesco scheletro di cemento, nato come miglior hotel della città e rimasto in attività giusto una manciata di stagioni. Costruito a fine anni ’80, in piena Unione Sovietica, cessò la sua funzione in seguito alla guerra che sconvolse l’ intera regione, dalla costa fino alle alte montagne, tra il 1991 ed il 1993. Un gigante solitario e decaduto che domina questo lembo di mar Nero nel sud dell’ Abkhazia, repubblica de facto, situata geograficamente tra la Federazione Russa e la Georgia.
La storia di questo hotel è l’ emblema di tutta la zona dell’ Abkhazia a sud della capitale Sukhum, da qui, ad Ochamchira sulla costa, fino a Tkuarchal ed Akarmara sulle impervie montagne caucasiche e giù fino a Gal praticamente sul confine con la Georgia, al di là del fiume Inguri. La guerra si svolse soprattutto in queste zone dell’ Abkhazia e portò questa vasta area tra morte, depredazioni ed esili volontari o forzati a restare quasi completamente abbandonata. Il susseguente embargo ventennale, del quale l’ intera Abkhazia è stata vittima, ha cristallizzato la situazione nell’ incuria e nell’ abbandono. Ochamchira oggi è una caratteristica cittadina di campagna adagiata sul mare. Calma e pacatezza la rendono un posto améno e rilassante. Siamo in pieno agosto, nel cuore della stagione estiva ma a differenza di poche decine di chilometri più nord, come a Sukhum, a Pitsunda o nella vivace Gagra, qui ad Ochamchira le persone in spiaggia si contano senza affanno. Una località che lascia poco al divertimento ma tanto al relax ed alle emozioni. Il posto ideale per riposarsi. Pochi sono i rumori ed i movimenti per strada o all’ esterno delle case a due piani con giardino proprio. Quelle abitate. Le altre, tante, risultano ancora in piedi nella loro piacevole architettura antica e magari signorile ma completamente vuote. Eleganti scalinate, terrazze, colonne, ampi balconi, quel che resta di soggiorni decorati, tutto oramai completamente inghiottito dalla vegetazione o ancora lì in vista: villini belli fuori ma vacanti dentro che restano ad attendere vecchi o nuovi padroni che le riporteranno ai fasti di un tempo.
E’ suggestivo camminare tra le sterrate arterie cittadine, dove la presenza di mucche al pascolo solitario sostituisce la vista di automobili, dove il verde della campagna ti rilassa, dove il silenzio ti fa riflettere e dove ti senti catapultato indietro nel tempo tra semplicità, autenticità e storia.
Ma Ochamchira è anche questo: le vecchie abbandonate costruzioni istituzionali e non del centro città; l’ antica ed elegante stazione ferroviaria rimasta ai tempi dell’ Urss; i pochi piccoli condomini popolari semidisabitati; il vecchio bar centrale, dove anziani e signori di mezza età giocano a domino; quel che resta degli storici pontili in cemento che si stagliano in mezzo al mare formando tante piccole calette artificiali; la spiaggia ghiaiosa; lo sguardo curioso della poca gente che incroci per strada o sul lungomare; le domande stupite di due signori circa la mia provenienza ed i motivi che mi hanno spinto in questa zona, a detta loro “impervia e praticamente un protettorato di Putin”, ed ai quali mi rivolgo poi io con domande ancor più interessate dopo essersi presentati come “georgiani d’ Abkhazia” e venendo a conoscenza del loro non comprensione della lingua russa * ; le vecchie signore dei negozietti di alimentari con le quali scambi due parole; le canzoni italiane di un’ artista (a me) sconosciuta che fuoriescono dall’ interno di un’ automobile; il sole che si attenua all’ orizzonte regalando uno splendido gioco di luce sul mare solitario. Una località emozionante e romantica per certi versi.
Ma che sta lentamente cercando di uscire da questo anacronistico semi-isolamento nel quale versa oramai da troppo tempo. Qualche sparuto villeggiante russo, stanco della confusione di Gagra o di altre località in Russia stessa, si avventura fin qui in cerca ristoro e di conseguenza, oltre a qualche piccola familiare guest house, è da poco apparso un moderno hotel con ristorante alla moda realizzato direttamente sull’ arenile e con tanto di pontile per assaporare l’ ebbrezza dei venti marini.
Forse in antitesi con lo scheletro del vecchio hotel di sovietica concezione ubicato a pochi metri dalla spiaggia.
Il nuovo che riparte dal vecchio. Dal punto in cui si era rimasti prima della guerra?

LUCA PINGITORE

* = La particolarità dell’ incontro è stata data dal fatto di essermi imbattuto in due georgiani di mezza età, quindi giovani ai tempi dell’ Urss, residenti in Abkhazia, presumibilmente provenienti dalla zona di Gal dove vivono sia molti georgiani sia i mingreli ** ( etnia differente dai georgiani ed dagli abkhazi ) i quali, a quanto pare, non parlavano russo, lingua “internazionale” comune nelle zone dell’ ex Unione Sovietica. Sarebbe stato interessante approfondire ciò e soprattutto le loro opinioni, già comunque subito in parte svelate dalle loro prime parole come riportato nell’ articolo, ma la fugacità dell’ incontro ed una certa mia, stranamente anomala, diffidenza hanno impedito la mia indagine.

** = Già citati in questo mio precedente articolo: Tra Abkhazia e Georgia

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