Aspromonte 2020: il piccolo Caucaso d’Italia

Una delle venti sculture raffiguranti Gesù Cristo Redentore, disseminate su altrettante vette italiane e realizzate in occasione del Giubileo del 1900, indica che abbiamo raggiunto la cima del monte Montalto ad un’altezza di 1956 metri.
La bronzea rosa dei venti e l’ottocentesco cippo trigonometrico della rete geodetica italiana dalle fattezze simil triango-masso-piramidali ma soprattutto la splendida visione dei mari Jonio e Tirreno in lontananza ci confermano la nostra breve scalata di quindici minuti attraverso un fitto bosco di faggi che filtrano i raggi del sole.
Da qui, sempre a piedi, in una ipotetica linea religiosa che collega il Cristo Redentore alla Madonna della Montagna, si raggiunge il cuore, fisico e simbolico, del massiccio dell’Aspromonte: il Santuario della Madonna di Polsi.
Il santuario mariano è racchiuso nel fondo di una vallata a circa 1100 metri di dislivello più in basso dal punto in cui ci troviamo, il più alto dell’intero Aspromonte, ed a circa tre ore di cammino nella natura quasi incontaminata.
Il nostro programma prevede però di raggiungere il centro dell’Aspromonte in auto.
I locali ci dicono che è possibile farlo in circa trenta minuti. I trenta minuti degli autoctoni diventano per noi un’ora e più.
Il Santuario della Madonna di Polsi è forse uno dei luoghi di più difficile accessibilità in Italia ma è proprio questo uno degli elementi che lo rende unico al visitatore. La sua quasi impenetrabilità lo preserva dal turismo di massa e dalla confusione dei non interessati ma amanti del piantare un’altra bandierina nel proprio curriculum di turista.
A Polsi ci si reca principalmente per rendere omaggio all’antica statua di tufo della Madonna della Montagna ma anche alla Croce che la narrazione popolare vuole essere quella che intorno l’anno 1000 fu dissotterrata da un toro sul luogo dove ora sorge la chiesa ed al sarcofago che la tradizione racconta aver ospitato le spoglie del piccolo figlio del principe di Roccella che morì proprio durante un faticoso viaggio verso il santuario e che la Madonna fece resuscitare.
Nella provincia di Reggio Calabria, dal Tirreno allo Jonio, in tanti sono devoti e soprattutto per gli abitanti dei paesi dell’Aspromonte recarsi appena possibile, anche per un saluto veloce, dalla Madonna è motivo di orgoglio.
In auto ma soprattutto a piedi con il foulard dedicato alla Maria della Montagna al collo, ad ogni viaggio ti fregi di una medaglietta in più raffigurante l’effigie mariana. La venerazione è forte ed anche se sei un profano avverti con rispetto questa atmosfera unica che ti coinvolge.
Raggiungere Polsi è disagevole per chi non è della zona e si raggiunge solo in tre modi:
– A piedi, tramite il già citato percorso di trekking dal monte Montalto;
– In auto, sempre scendendo dal monte Montalto attraverso una stretta strada accidentata e percorribile a senso alternato;
– In maniera classica, a piedi o con un mezzo di locomozione, dal paese di San Luca partendo dal letto di una fiumara, coprendo un dislivello di circa 600 metri ed una distanza di poco meno di 20km mediante una impervia strada carrozzabile a strapiombo sul vuoto. Quest’ultima è la “strada principale” che i pellegrini percorrono a piedi ogni 2 di settembre in occasione della festa della Madonna.
In alcune zone dell’Aspromonte il dilemma più grande che attanaglia il visitatore esterno è comprendere la differenza tra “strada sterrata e strada asfaltata con qualche buca” cui qualcuno prova a farci notare.
Ma il bello è proprio questo, il selvaggio, l’incontaminato, l’esser lontano dalla routine da cui provieni.
In molte zone anche il segnale telefonico è completamente assente e, come in Corea del Nord, come in alcune zone dell’Atar in Mauritania, giusto per citare alcuni luoghi dove è possibile provare l’ebbrezza di “restare scollegato dal resto del mondo”, perdersi nell’atmosfera aspromontana ti rigenera.
Da Polsi ai Piani di Carmelia alle varie cascate e piccoli corsi d’acqua disseminati nel massiccio montuoso fino al monte Nardello, soprattutto a piedi ma anche in auto, la natura ti avvolge completamente.
E le innumerevoli visioni, a seconda del punto in cui ti trovi, del mar Jonio, del mar Tirreno, della costa siciliana, della cima fumante dell’Etna, regalano splendide emozioni.
Come la visione della Pietra Cappa, il monolite più alto d’Europa che si affaccia sulla costa jonica e legato anche essa a leggende religiose richiamanti addirittura Gesù ed i suoi discepoli.
Questa zona della Calabria, oltre al primato della Pietra Cappa, detiene anche quello di annoverare il punto geografico più a sud dell’Europa continentale: Capo Spartivento [da non confondere con l’omonimo Capo situato in Sardegna]*.
Il mitologico promontorio di Eracle ospita un antico faro ancora funzionante e gestito dalla Marina Militare.
Sotto la piccola area militare del faro, lambita dalla famigerata strada statale “106 jonica” che collega Reggio Calabria a Taranto e viceversa, si nasconde una isolata spiaggia incontaminata che ti invita ad immergerti nelle sue limpide acque proprio dove il mar Jonio si incanala verso lo Stretto di Messina e sfocia poi nel mar Tirreno. Uno degli angoli logisticamente più isolati d’Italia e per questo, magari, adatto ad ospitare una anonima e nascosta residenza estiva per chi, stanco dalle fatiche parlamentari ed istituzionali, voglia concedersi una rilassante vacanza in questo piccolo angolo di paradiso.
Dopo la nuotata di qualche anno fa nelle acque di confine tra Georgia e Turchia sotto il controllo delle sentinelle dalle torrette a terra e di quelle sulle motovedette in acqua, non resta che concedersi anche l’emozione di sollazzarsi nell’italico mare del sud sotto lo sguardo indiscreto della scorta a difesa dell’alto personaggio ex ministeriale in vacanza.
Le estremità montane dell’Aspromonte che terminano sulla costa jonica reggina ospitano antichi paesini oramai abbandonati a causa di smottamenti del terreno, di piccoli terremoti o di emigrazione rurale ma imperniati di tradizioni millenarie che in alcuni casi affondano nella antica Grecia. Raggiungere i resti di questi antichi borghi dove solo in pochi casi resiste ancora qualche abitante che magari parla una lingua conosciuta solo dalla piccola comunità locale è ovviamente difficoltoso.
L’Aspromonte non tradisce il suo nome.
Ne fece le spese anche Giuseppe Garibaldi che sbarcando dalla Sicilia ad Annà, località poco fuori Melito Porto Salvo, il comune più a sud dell’Italia continentale (altro ulteriore primato di questa zona) risalì verso le montagne dove in una battaglia lampo fu ferito, imprigionato e deportato poi a La Spezia.
La quercia rese celebre dal suo ritratto adagiato in attesa dei soccorsi è ancora vegeta e visitabile nel mezzo di un bosco. Come lo è anche la casina Ramirez, la casetta sulla costa dove soggiornò subito dopo lo sbarco ed ora trasformata in ristorante esclusivo. A pochi chilometri da uno dei più grandi siti di archeologia industriale d’Italia: quel che resta della Liquichimica Biosintesi, un miraggio di sviluppo economico dei primi anni ’70 durato neanche pochi mesi. Il simbolo di questa ulteriore cattedrale nel deserto italiana, la sua ciminiera, domina lo Stretto di Messina con i suoi 174 metri di altezza.
L’Aspromonte, con la propria a volte impenetrabile conformazione, la fitta vegetazione, i folti boschi e soprattutto la cordialità ed ospitalità della sua gente, diretta discendente di quella descritta dallo scrittore Corrado Alvaro nel 1930 nel suo “Gente di Aspromonte”, rendono affascinante il peregrinare tra questa piccola catena montuosa. Ed è naturale intavolare conversazioni con chiunque incontri durante i tuoi giri, dal pastore che sta facendo transitare il suo gregge di capre per un sentiero secondario al distinto imprenditore della ristorazione fino alla guida e gestore del rifugio immerso nel rilassante niente della natura isolata da tutto e tutti, punto di riferimento per amanti del trekking e della bicicletta.
Ciascuno prodigo di consigli e parole.
E non mancano gli inviti di ospitalità a tavola, che siano in luoghi privati o esercizi pubblici, dove la tradizione culinaria calabrese si esprime in tutta la sua essenza. Inebriante come i fumi emanati dalla griglia del chiosco ristoro che sforna tipici panini con salsiccia di casa, appagante come le tagliatelle ai funghi e guanciale di suino aspromontano del ristorante in paese, autentico come la pizza con ‘nduja e prodotti locali sfornata secondo tradizione dall’eccellente pizzaiolo.
Per le stradine tortuose come nei campi adiacenti è facile imbattersi in mucche al libero pascolo.
Una piccola mandria di possenti vacche ha la possibilità di ruminare in una porzione delimitata di terreno che, secondo alcune voci non confermate e provenienti della nostra storica fonte usuale, il solito metronotte, nottambulo inguaribile, appartiene ad un altro continente.
Una exclave statunitense in pieno Aspromonte.
Era il 1965 quando gli USA installarono sul monte Nardello una piccola base addetta alle comunicazioni nel Mediterraneo. Sigonella e Trapani in Sicilia, monte Nardello in Calabria.
La base, dipendente da quella di Aviano tramite regolari rifornimenti aerei che usufruivano dell’ospitalità dell’aeroporto di Reggio Calabria, operò a pieno regime fino al 1985 con ponti radio che garantivano collegamenti con stazioni ubicate anche in Libia. 25 militari statunitensi e 15 impiegati italiani erano attivi nella base che annoverava anche una palestra ed un bar – circolo per il tempo libero. Con l’innovarsi della tecnologia satellitare ed i mutamenti geopolitici, la base resistette fino al 1993 quando fu ufficialmente chiusa e, secondo fonti non autorevoli, il terreno dove sorgeva non fu mai tecnicamente restituito alla sovranità nazionale italiana.
Sarà anche per questo che si dice che ancora oggi si notino movimenti intorno a quel che resta del piccolo stanziamento USAF?
La diceria popolare sussurra che palestrati militari di colore, già attivi durante l’operatività della base, si aggirino ancora nella zona usufruendo di bunker costruiti segretamente e mai del tutto abbandonati nel sottosuolo del monte Nardello, dal quale è possibile controllare l’Etna oltre lo stretto.
L’area della base è oramai ridotta a cumuli di macerie e scheletri di tralicci che ai tempi montavano grosse antenne, orecchie sul Mediterraneo e custodi di chissà quanti segreti strategici, come magari anche quello inerente il MIG caduto o fatto ritrovare circa 250km più a nord, a Colomiti di Castelsilano nell’impervia Timpa delle Magare, sull’altipiano della Sila nel 1980.
“Ai tempi c’erano i militari neri, i più imponenti”, ci viene confermato.
“Ed è vero che esistono dei cunicoli sotto la base con ancora movimento da parte di militari statunitensi?”, la domanda viene posta.
“No, nessun movimento”, ci viene risposto.
“Di certo, in caso, non di americani”, ci viene subito aggiunto.
Il viaggiatore che si addentra per l’Aspromonte non può prescindere dal fare tappa a San Luca, il “capoluogo” informale della catena montuosa. Uno dei motivi che impone la visita al caratteristico paese ubicato in alto sul mar Jonio e nel quale comprensorio comunale ricadono alcuni dei più importanti siti aspromontani e forse le più amene ed impervie risorse naturali dell’intera area, è legato alla figura di Corrado Alvaro.
Alvaro che in pochi conoscono e magari solo per il titolo della sua opera più celebre, la già citata “Gente di Aspromonte” senza poi magari averla approfondita, è stato uno scrittore e sceneggiatore ma al tempo stesso giornalista corrispondente e viaggiatore con esperienze che l’hanno portato a redigere opere conosciute solo a pochi interessati quali “Viaggio in Turchia” e “Viaggio in Russia”. La visita alla sua casa natale, grazie ai volontari disponibili a farti scoprire la figura del letterato, è fonte di approfondimento storico e culturale dell’ambiente, dei luoghi e della vita dell’autore de “L’uomo è forte”, di “Quasi una vita” nonché sceneggiatore di “Riso Amaro”.
La natura selvaggia ed incontaminata, le antiche tradizioni, l’ottima cucina, l’ospitalità della gente, le strade impervie, la storia drammatica, elementi che contraddistinguono la catena dell’Aspromonte fanno convergere su un suo parallelismo con un’altra area montuosa e dalle stesse, uniche e particolari, caratteristiche. Ossezia, Inguscezia, Cecenia, Dagestan sono regioni geograficamente lontane ma presentano forti similitudini con la “punta dello stivale italico” che può essere definito, seppur con ovvie dovute differenze, un “piccolo Caucaso del Nord”.

LUCA PINGITORE

* = Capo Spartivento, tra l’altro, conosciuta agli appassionati del settore per il raid automobilistico che nel 1973 portò due particolari esemplari di Lancia Beta, modello appena uscito sul mercato, in pieno inverno dalla punta calabrese fino a NordKapp in Norvegia, l’estremo punto continentale più a nord d’Europa.

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