Monastero di Polsi (RC)

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Monastero di Polsi (RC)

Messaggioda geom.Calboni » 17/07/2009, 20:09

Il Santuario "Madonna della Montagna" a Polsi di San Luca
Il Santuario che sorge a 865 metri di altezza, nel cuore dell’Aspromonte, a Polsi di San Luca [Reggio Calabria], è detto anche della "Madre del Divin Pastore", dal titolo sotto il quale qui la Vergine è venerata.
Storia e leggenda si intrecciano sull’origine di questo antico luogo di culto mariano. Sono Siciliani, e più particolarmente Messinesi, che nel sec. III° – durante l’imperversare delle persecuzioni contro i Cristiani – lasciano la loro terra e vengono in esilio in una delle più profonde e sperdute valli dell’Aspromonte. Qui erigono una prima Chiesetta, sormontata da una Croce greca. Poi nel 1313, anno dell’Editto di Costantino che concede libertà di culto, gli esuli fanno ritorno alla loro terra d’origine e la "colonia" di Polsi viene abbandonata.
Bisognerà attendere l’anno 1144 perché un pastore si spinga fin quassù, alla ricerca di un giovenco che si è perduto: lo trova inginocchiato davanti ad una Croce di ferro che l’animale ha scoperto, scavando con le zampe.
Il reperto più misterioso e, per certi versi inquietante, è la strana piccola Croce di ferro, dalla cui asta centrale si sviluppano due braccia dalle volute irregolari e singolari, non riscontrabili in nessun altro tipo di Croce. Sarebbe la Croce scavata dal torello e rinvenuta dal pastore vagante per i monti, alla ricerca del bovino smarrito, da cui è nato il culto polsino.
In quel medesimo istante, al pastore di nome Italiano che sosta in preghiera appare la Vergine Madre che indica il punto dove si dovrà costruire una Chiesa. [Un’altra tradizione colloca al posto del pastore il Conte Ruggiero, spintosi fin qua durante una battuta di caccia]. Ma sono i Monaci Basiliani a coltivare e a propagare la devozione alla Santa Croce ed alla Madonna [sotto il titolo di "Madre del Divin Pastore"], comunemente detta "Madonna della Montagna" di Polsi. Sono essi, infatti, a dare inizio alla costruzione del Santuario, con annesso Cenobio. Estintosi nella seconda metà del sec. XV° il rito greco in Calabria, i Basiliani di residenza a Polsi si ritirano a Grottaferrata, portando con sé rari e preziosi documenti. L’attuale edificio sacro, restaurato nella prima metà del sec. XVIII°, nel suo complesso è di stile barocco. Nel 1784 la Cassa Sacra, istituita per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni colpite dal terribile terremoto del 1783, fece requisire al Santuario tutti gli arredi preziosi e le suppellettili sacre. L'ufficiale che eseguì la requisizione mise insieme più di un quintale tra oro e argento. Il Monastero subì anche la razzìa del bestiame e delle derrate alimentari. Nel 1881 è avvenuta l'incoronazione della Vergine: rito che si è ripetuto nel Cinquantenario del 1931 [XV° Centenario del Concilio di Efeso] e, con ancora maggiore solennità, il 2 Settembre 1981, nel Centenario della prima incoronazione.
Nel periodo che va da primavera ad ottobre, la zona intorno all'area sacra si anima con una consistente presenza di pellegrini, provenienti da tutta la provincia di Reggio Calabria, dalla provincia di Messina e da altre zone della Calabria.
l pellegrinaggio alla Madonna di Polsi rappresenta l'esperienza collettiva di un popolo unito in preghiera, una manifestazione di fede che - nel custodire l'antico - si evolve in sintonia con la nostra società.
Il pellegrinaggio alla Madonna di Polsi rappresenta l'esperienza collettiva di un popolo unito in preghiera, una manifestazione di fede che - nel custodire l'antico - si evolve in sintonia con la nostra società. Il Cardinale Giuseppe Caprio, nell'omelia del 2 settembre 1981 - data d'incoronazione della Santa Vergine, ha affermato: "Maria è colei che ha creduto al messaggio e alle parole del Signore e le ha adempiute con fedeltà e amore filiale. Senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà, si è affrettata verso la montagna per raggiungere la cugina e prestarle aiuto. E' la serva del Signore, che adora il mistero che si è prodotto in lei: il Creatore che si fa sua creatura, il Figlio di Dio che si incarna in lei per diventare nostro fratello per redimerci e arricchirci della sua divinità". Polsi, amena località del Comune di S.Luca nel cuore dell'Aspromonte, è la dimostrazione solenne di questa missione che ogni calabrese - ed in particolare ogni credente della Piana di Gioia Tauro - almeno una volta deve sperimentare. Gli ineffabili frutti spirituali che ne derivano sono sufficienti a preservarci dalle pericolose tentazioni di ogni giorno.
Ma a parte il lato religioso, Polsi ha un’altra faccia meno piacevole. E’ risaputo che la Madonna della Montagna sia di fatto la madonna della ‘ndrangheta. Ogni anno infatti, durante i festeggiamenti in occasione dell’incoronazione della statua della Madonna, i capi delle ndrine si danno appuntamento proprio lì, per decidere strategie, pianificare omicidi, fare affari, stringere alleanze o dichiarare guerre. Un rito a dir poco pagano che per anni ha accompagnato la Festa cristiana. Questo sembra sia accaduto anche tre anni fa, prima dell’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Francesco Fortugno e dopo la strage tedesca di Duisburg del Ferragosto 2007. Per non parlare del cosiddetto “albero della Scienza” fortemente legato alla storia del santuario.
"L'albero della scienza è una metafora di come è strutturata la società, da un codice rinvenuto durante un rito di affiliazione rivela che l'albero della Scienza è diviso in 6 parti: «Il fusto rappresenta il capo di società; il rifusto il contabile e il mastro di giornata; i rami i camorristi di sangue e di sgarro; i ramoscelli i picciotti o puntaioli; i fiori rappresentano i giovani d'onore; le foglie rappresentano la carogne e i traditori della 'ndrangheta che finiscono per marcire ai piedi dell'albero della scienza". » Alla base dell'albero è rappresentata anche una tomba per simboleggiare la fine delle foglie.
La ‘ndrina, afferma Malafarina nel Il codice della 'Ndrangheta viene rappresentata come un giardinetto di rose e fiori con in mezzo una stella dove si battezzano picciotti, camorristi e giovani d’onore. Il picciotto entra nel “giardinetto” a fronte scoperta con i ferri alle braccia ed i piedi alla tomba.
I figli dei figli dei pastori sanluchesi che a Polsi ci vivono tutto l’anno, affermano che l’albero della scienza non è soltanto una metafora, ma un vero e proprio arbusto ai piedi del quale si riuniscono i capi per “battezzare” i nuovi arrivati all’interno del clan, con dei giuramenti che mettono il boss gerarchicamente prima della famiglia e della vita stessa del nuovo affiliato. I nuovi membri o chi per loro, devono successivamente recarsi ai piedi della madonna e raccomandarsi ad essa, oltre a lasciare una ricca offerta in ricordo del fatidico giorno.
Ecco indicativamente, il rito di iniziazione per nuovi affiliati della ‘ndrangheta:
“Buon Vespro, siete conformi !!! Su' di chè a battezzare società, conformissimo battezzo e ribattezzo questa società cosi come la battezzarono i nostri tre fondatori : conte Quilino, conte Rosa e cavaliere di Spagna se loro lo battezzarono con fiori rosa e gelsomini alla mano destra io lo battezzo con fiori rose e gelsomini alla mano destra se loro lo battezzarono con ferri, catene e camicia di forza io lo battezzo con ferri, catene e camicia di forza se prima questo locale era transitato da sbirri carogne infami e tragediatori, da questo momento lo conosco come un posto sacro, santo e inviolabile e con parola d'umiltà e battezzata località.”
Ecco le due facce di Polsi, un connubio tra bene e male che in questo caso vivono l’uno accanto all’altro in perfetta armonia.



La festa più animata della Calabria
Corrado Alvaro
, il più grande scrittore calabrese dei tempi moderni, è nato a San Luca. Ha concluso la sua interessante monografia "Calabria" [Firenze, 1931] con la descrizione della festa al Santuario di Polsi: la festa più animata della Calabria, che si celebra per tre giorni, all’inizio di Settembre.
Scrive l’Alvaro: "Ognuno fa quello che può per fare onore alla Regina della festa: la gente ricca può portare, essendo scampata da un male, un cero grande quanto la persona di chi ha avuto la grazia, o una coppia di buoi, o pecore, o un carico di formaggio, di vino, di olio, di grano; ci sono tanti modi per disobbligarsi con la Vergine delicata, come la chiamano le donne. Uno, denudato il petto e le gambe, si porta addosso una campana di spine che lo copre dalla testa ai piedi, spine lunghe e dure come crescono nel nostro spinoso paese, e che ad ogni passo pungono chi ci sta in mezzo. Una femminella fa un tratto di strada sulle ginocchia; e così le ragazze fanno la strada ballando, e balleranno giorno e notte per le ore che hanno fatto il voto, fino a che si ritrovano buttate in terra o appoggiate al muro, che muovono ancora i piedi. E i cacciatori, poi, che fanno voto di sparare alcuni chili di polvere; in quei giorni non si parla di porto d’armi, e i Carabinieri lo sanno. Gli armati si dispongono nei boschi intorno al Santuario e sparano notte e giorno […].
Si vedono le mille facce delle Calabrie. Le donne intorno dicono le parole più lusinghiere alla Madonna, perché si commuova. […] Sul banco coperto di un lino, le donne buttano gli orecchini e i braccialetti; gli uomini tornati da una fortunata migrazione le carte da cento e da più: è una montagna d’oro e di denaro che per la prima volta nessuno guarda con occhi cupidi.
La Vergine guarda sopra tutti, e i gioielli degli anni passati la coprono come un fulgido ricamo […].
Al terzo giorno di Settembre si fa la processione e si tira fuori il simulacro portatile […] tra lo sparo dei fucili che formano non si sa che silenzio fragoroso, non si sente altro che il battito di migliaia di pugni su migliaia di petti, un rombo di umanità viva tra cui l’uomo più sgannato trema come davanti a un’armonia più alta della mente umana. Le semplici donne che non si sanno spiegare nulla, si stracciano il viso e non riescono neppure a piangere […]".


«Simu venuti di tantu luntanu…», «Mi partu de ‘sta terra alla bonura mu vaju alla città di Siminara…» Sono due incipit , tra i mille possibili, dei canti che i fedeli intonavano nei loro pellegrinaggi che li portavano dal loro paese ai luoghi, alle «città», ai santuari di zone distanti, lontane a volte molti chilometri, quasi due giorni di cammino tra viaggio di andata e viaggio di ritorno. I canti narrano il sentimento della lontananza, la fatica del viaggio, la tensione verso un centro sacro, ma anche l’abitudine a muoversi, il piacere di spostarsi, di evadere in comitiva, a piedi.
Parliamo però stavolta solo del pellegrinaggio a Polsi nel cuore dell’Aspromonte, luogo lontano e difficilmente raggiungibile. Il convento basiliano dove si svolge la festa della Madonna della Montagna, che ancora oggi si conclude il I e il 2 settembre, risale all’XI secolo e a questo periodo ci porta anche il rinvenimento della Croce greca, oggetto di devozione e ancora oggi celebrata il 14 settembre. La statua della Madonna è opera siciliana del XVI secolo e da questo periodo sono attestati il culto, la devozione, i comportamenti religiosi, i rituali alimentari e ludici che ritroviamo ancora in anni a noi recenti. In questo periodo Polsi, analogamente ad altri luoghi di culto montani, si afferma come un centro religioso, ma anche commerciale ed economico. Alvaro ricorda che i pellegrini giungevano da tutti i versanti, da Messina, da Reggio, dalla Piana, da Caulonia, da Bagnara, da Gerace. Nei paesi lungo il percorso rimanevano soltanto i vecchi.
Seguiamola ancora, con Francesco Perri, la folla «varia e tumultuante», con le sue diversità di comportamento e di linguaggio, con le mille piccole attività commerciali. Vi sono quelli di Oppido Mamertina, i Sanluchesi, i pastori «selvaggi di Solano, coi berretti di lana», le donne di Bagnara «con le tradizionali sette sottane a piccole pieghe, strette intorno ai fianchi, e aperte a campana in fondo», e poi i mulattieri di Platì, i pastori di Natile, i Benastaresi «con accanto le loro donne dai busti fortemente colorati», «le popolazioni della marina, vestite di chiaro, e col volto di un bronzo particolare», le donne di Cardeto famose come le più abili e resistenti danzatrici di tarantella.. Ogni gruppo di pellegrini arriva seguendo la propria via, cantando le proprie canzoni, fermandosi lungo il percorso a danzare e a mangiare, a bere. La montagna, come scrive ancora Alvaro, «fa tutto un anfiteatro intorno a quel luogo».
Gli abitanti di diversi luoghi, ma non quelli di Oppido ( che- com’è ormai consuetudine - mai si sono messi d’accordo tra loro per acquistare una casa comune a Polsi come hanno fatto tanti altri paesi), possiedono, dentro o in prossimità del convento le loro stanze, dove sostano, si riposano, mangiano, dormono.
Le adiacenze del santuario sono invase dai mercanti e dai rivenditori di ogni genere. Francesco Perri ricorda i venditori di stoffe e fazzoletti dai colori vivaci, quelli delle zagarelle, i «piccoli nastri di seta d’ogni tinta, da legare sul braccio ignudo come talismano» e poi i venditori di medaglie e d’immagini e le donne che vendono la calia, i ceci abbrustoliti, e quelli che vengono da Serre e da Soriano Calabro con i mostaccioli, a forma di cuori, galli, anfore, bambole, guarniti di confetti colorati. E i fabbri che espongono i prodotti delle loro forge: scuri roncole, roncigli, lame per coltelli, vomere, pale e altri arnesi. E, naturalmente, i macellai che vendono i montoni e gli agnelli e i capri squartati. Alvaro ricorda anche i dolcieri della Sicilia, coi loro torroni dai colori sgargianti sui tavoli coperti di lino bianco, i mendicanti, l’uomo che spiega, su un cartello dipinto a quadri successivi, le gesta dei Paladini, la frotta degli zingari, la sonnambula, i carabinieri. E si vedono «le mille facce delle Calabrie».
L’ultimo giorno della festa si fa la processione con la statua della Madonna. Hanno il privilegio di portatori gli uomini di Bagnara, «gente di mare, audaci e ricchi migratori, pescatori accaniti di pescespada e di tonni. Sono loro i più abili a far correre, come se volasse, l’immagine della Madonna sul suo pesante piedistallo, mentre le buttano intorno grano, confetti, fiori…». E le affidano le ansie e le angosce, le speranze e i progetti di un popolo che appare miracolosamente unito, indissolubilmente unito. E’ l’incontro, il collegamento, il dialogo tra montagna e mare, tra luoghi, mondi, economie, culture, saperi lontani e separati, è il teatro dove si rappresentano le «mille Calabrie» accomunate tutte da un’unica grande tradizione che unisce.
Una dimensione mediana, quella di Oppido in quell'epoca, tra montagna e mare, chiarissima e condivisa.
Una dimensione tra antico e nuovo, tra tradizione e modernità, tra attaccamento alle proprie radici e novità ad ogni costo in cui purtroppo Oppido oggi si dibatte e soccombe nel vuoto assoluto che ne deriva e che a molti - non si sa come e perché – piace. Piace molto. Forse perché segna un’irrimediabile sconfitta delle culture subalterne che erano l’unica ricchezza di tanta nostra gente e il contestuale trionfo del turismo religioso milionario e del conformismo massmediale in genere, molto insipidi entrambi… o molto salati. A seconda dei punti di vista.





Non ho mai avuto la possibilità di visitarlo ma presto credo un giro da quelle parti glielo dedicherò.
Sarebbe bello anche durante la festa, da immagini e riprese anche antiche di anni che ho avuto la possibilità di vedere, credo meriti davvero.
"Stiamo attenti, siamo contenti, comportiamoci bene e mangiamo la semplicità".

Nella vita le cose serie, alla lunga, ti fregano. Gustiamoci le cose effimere che proprio in quanto tali non ti tradiscono mai.

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Re: Monastero di Polsi (RC)

Messaggioda geom.Calboni » 17/07/2009, 20:11

Alcune foto della zona e del monastero:
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