Kazakhstan 2010. Una giornata sugli Altai

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Bebegul è in ritardo. L’appuntamento con lei era fissato per le 8 ma sono quasi le 9 e non si è ancora fatta viva. L’avevamo conosciuta il giorno precedente cercando un alloggio a Katon Karagaj, l’ultima cittadina lungo la strada per l’Altai kazako. Io, Pingo ed il geom.Calboni, non volendo soggiornare nell’unico e desolatamente vuoto albergo della località, ci eravamo messi a fermare la gente per strada chiedendo un alloggio qualunque, una stanza o un appartamento. Nessuno parlava una parola di inglese, ma con il nostro russo di base riuscivamo comunque a farci capire.
Bebegul, una donna di circa 45 anni, occhiali tondi da miope e capelli neri a caschetto, stava andando chissà dove accompagnata dal figlio, si era fermata e ci aveva detto che saremmo potuti stare nella casa di una sua amica, e per 10000 tenge totali, 50 euro, avremmo avuto vitto e alloggio per due giorni. L’amica abitava poco lontano, in una palazzina di stampo sovietico, e il suo appartamento, molto accogliente, era composto da una camera da letto, una sala e una cucina, oltre al consueto e inutilmente ampio ingresso ruba spazio che caratterizza sempre le abitazioni costruite alcune decine di anni fa nei paesi dell’ex URSS.
Assem, questo il suo nome, una trentacinquenne con sul volto molti più anni di Bebegul, si era dimostrata fin da subito molto ospitale e la serata era trascorsa piacevole, con le due donne a cucinare e poi cenare con noi, cercando di intavolare una qualche discussione nonostante l’evidente barriera linguistica che ci impediva di approfondire degnamente ogni argomento trattato.
Prima di andarsene le donne ci avevano dato appuntamento per la mattina seguente: la padrona di casa, che avrebbe dormito in casa della madre, sarebbe venuta alle sette per prepararci la colazione, Bebegul sarebbe invece arrivata alle otto per accompagnarci all’ufficio del parco dove avremmo potuto registrarci e prendere l’auto che ci avrebbe condotto a Rakhmanovskie Klyuchi, nel cuore dell’Altai Kazako.
Finalmente Bebegul appare in fondo alla strada e con passo rapido ci conduce nella stanza dove si trova Alexander, un militare suo amico che ci aiuta con le pratiche burocratiche. In pochi minuti siamo pronti, sulla strada una Uaz ci aspetta, l’autista si chiama Rogi, noi ci accomodiamo nel sedile posteriore, Alexander ci accompagna e si siede davanti. Alexander ha 27 anni, è un russo alto e biondiccio con gli occhi celeste chiaro che paiono quasi trasparenti e la faccia timida, è silenzioso e gentile. Rogi invece è un kazako esplosivo, moro, occhi scuri, barba incolta. Ha 23 anni e parla a raffica anche se solo di due argomenti, le donne e il sesso, e adora farlo mentre guida, accompagnando le parole con gesti di entrambe le mani a simulare vari atti sessuali. Il suo preferito, che ripeterà di continuo, è il battere velocemente come uno stantuffo il palmo della mano sinistra sull’incavo formato da pollice e indice della mano destra chiusa a pugno, ululando e ridendo, guardandoci complice in cerca di approvazione, con l’auto che nella strada dissestata spesso sbanda e Alexander che, impassibile, afferra il volante senza controllo impedendoci di finire nei campi.
Abbiamo circa 130 chilometri di strada davanti noi e sono previste 4 ore di viaggio.
Dopo 20 minuti c’è la prima sosta sigaretta, noi ne approfittiamo per fare delle foto. Poi un controllo di polizia, registrazione dei documenti e via. Dopo circa un’ora, arriviamo a Berel, i due si fermano a fare spesa, comprano del pane del salame, una bottiglia di aranciata e una di vodka, noi passeggiamo per il paese. Gli abitanti sono incuriositi e ci chiedono da dove veniamo. Ripartiamo ma appena fuori dal piccolo centro abitato ci rifermiamo.
Rogi è sovraeccitato, si volta verso di noi e con il tipico segno dell’indice sbattutto sul collo ci fa segno che è tempo di una bevuta. Tre bicchierini di vodka a testa buttati giu di un sorso, risate, mi gira già la testa. Rogi, pur essendo l’autista, vorrebbe continuare a bere, ma visto che è il solo a volerlo fare alla fine rinuncia. Riprende allora il suo argomento preferito e chiede informazioni su quanto costi andare con una prostituta in Italia, spariamo 100 euro.
Lui comincia a ridere e gridare, saltellando qua e là dice che con quella cifra ne potremmo avere venti di prostitute in Kazakhstan.
Continua sull’argomento e ci chiede se siamo interessati a quel tipo di merce. Noi diciamo di no e lui insiste, ma visto che noi non cediamo cambia discorso e ci chiede la traduzione in inglese e italiano di molte parti del corpo femminile che ci descrive a gesti eloquenti dicendone il corrispondente nome russo e kazako. Evidentemente regge poco la vodka perchè adesso si lascia andare in fragorosissime risate accompagnate da gesti con mani, bocca e bacino a simulare vari atti erotici, molto più spinti di quelli che già faceva da sobrio.
Ripartiamo, e visto lo stato in cui è non mi sento troppo tranquillo. Alexander nel frattempo sta armeggiano con il suo walkie-talkie, cerca di parlare con qualcuno ma nella gola stretta in cui ci troviamo non pare esserci molto segnale. Finalmente ci riesce, sembra comunicare la sua posizione e segnalare il nostro arrivo. Probabilmente ci stiamo avvicinando ad un posto di blocco militare.
La strada per Rakhmanovskie Klyuchi prosegue dritta, ma l’auto svolta a sinistra, attraversa un ponte e sale su ripida. Rogi ci guarda, ride, lascia il volante e batte la mano sinistra su quella destra nel suo gesto ormai diventato tipico, ulula e dice “Prostitut! Prostitut” e altre parole in kazako che, pur non ricordando la lezione di lingua impartita pochi minuti prima, immagino possano essere tradotte letteralmente con “Scopare, fica, culo” visti i gesti inequivocabili che le accompagnano.
Arriviamo in un piccolo villaggio composto da una decina di abitazioni e ci fermiamo di fronte ad una casa di legno ben curata, le pareti sono bianche, porte e finestre colorate di celeste. Appena fuori l’ingresso, in piedi, c’è una ragazza, è alta e attraente, avrà circa 25 anni. Alexander scende e va a salutarla, si salutano molto calorosamente. Nel frattempo Rogi, come in trance, riprende il suo turpiloquio kazako intervallato da risate, ululati, gesti e parole in russo che lasciano pochi dubbi su cosa stia per succedere. Nello stesso istante arriva una camionetta, parcheggia di fianco a noi e ne scendono quattro militari che vanno verso la coppia, ma la ragazza dice loro qualcosa e li indirizza verso l’abitazione adiacente da dove sbucano immediatamente due giovani donne vestite entrambe di rosso. Ormai tutto è chiaro, ed è pure chiaro a chi Alexander stesse segnalando il nostro arrivo. Il geom. Calboni scoppia a ridere e sbotta sarcastico “Siamo finiti nel villaggio delle puttane!!!” e visto che ci siamo accordati per pagare l’utilizzo di auto e autista a ore aggiunge ‘Speriamo che almeno questo tempo ce lo scalino dal totale!!’
Alexander e la ragazza si appartano, Rogi ci fa accomodare su un divanetto in una specie di sala dentro la casa, ci offre del the e continua a chiederci se pure noi vogliamo usufruire dei servizi della donna. Visto che finchè Alexander non ha finito non se ne parla di ripartire e che di stare in quella stanzetta ben curata ne ho poca voglia propongo al geom.Calboni e a Pingo di fare un giro per il villaggio. Tutti gli altri abitanti sembrano semplici contadini e pastori, ci sono famiglie e donne anziane, uomini e bambini, e forte indizio del fatto che questi abbiano lavori più normali è il parco auto di tutto il paese, composto da due sole automobili, due belle bmw piuttosto nuove, e mi pare superfluo aggiungere nei giardini di quali case le autovetture siano parcheggiate.
Dopo un’ora, stanchi di aspettare, diciamo a Rogi che vogliamo andare via, lui annuisce, accende il motore della UAZ e comincia a suonare il clacson. Poichè dalla casa nessuno si muove, decide finalmente di scendere dall’auto ed entrare, lento e circospetto. Non passano due secondi dal momento in cui la porta si chiude dietro le sue spalle che questa si spalanca di colpo verso l’esterno, con il giovane kazako che ne esce come sbalzato fuori, correndo, ridendo, gridando e facendo cenni inequivocabili su cosa stiano facendo Alexander e la ragazza. Ancora pochi minuti e finalmente anche il biondo militare esce, rosso in volto e tutto sudato. In mano ha un’altra bottiglia di vodka, piena.
La strada sale ed è in condizioni disastrose, ci mettiamo un’ora per percorrere i primi dieci chilometri. L’auto però ha dei problemi, pare si sia forato il serbatoio del liquido dei freni. Non una bella notizia visto la pendenza della strada e lo stato decisamente alticcio di Rogi. Il ragazzo risolve mettendo una bottiglia di plastica vuota sotto il buco per recuperare il liquido che esce e riabboccando di tanto in tanto il serbatoio con quello nel frattempo accumulatosi in quell’improvvisato recipiente di recupero. Pingo, l’unico tra noi che ci capisce qualcosa di meccanica non pare troppo convinto della procedura, anche perchè la bottiglia non riesce a raccogliere tutto il liquido e buona parte di questo finisce per terra, e forse anche per questo è l’unico di noi ad accettare il nuovo invito di Rogi a bere vodka. Il nostro amico butta giù tutto d’un fiato il bicchierino ma storce la bocca, la vodka della prostituta è di bassa qualità e brucia la gola. Rogi ride fragoroso e gli grida “I love you!”. Vorrebbe fare bere pure me, ma rifiuto, gli prometto però che berremo insieme la sera, tornati a Katon. Mi dà la mano e solennemente mi chiede di rispettare questa promessa.
Ci mettiamo un’altra ora per percorrere gli ultimi dieci chilometri, procedendo lentissimi tra le buche. La strada adesso è in pari e scorre tra foreste di abeti, purtroppo un incendio ha devastato buona parte degli alberi e di questi in molte zone sono rimasti solo degli scheletri abbrustoliti. Scorgiamo il Belukha, il monte più alto della Siberia, ma purtroppo la vetta è celata dalle nuvole e non riusciamo a vederla.
Un’altra sosta è necessaria per riabboccare il serbatorio del liquido dei freni con la bottiglia di raccolta, Rogi e Alexander ne approfittano per un’altro paio brindisi, già oltre metà della seconda bottiglia di vodka se n’è andata. Finalmente il cartello Rakhmanovskie Klyuchi ci accoglie, ci sono dei bungalow, un lago, una specie di caserma della polizia. Attorno a noi montagne e foreste, facciamo due passi ma non troppi che si sta facendo tardi e molto lunga è la via del ritorno. Fa effetto pensarmi in quel luogo a pochi chilometri dal quale ci sono Russia, Cina e Mongolia, probabilmente potremmo raggiungerle tutte a piedi nell’arco di una giornata.
Il rientro è più tranquillo nonostante le fermate necessarie per riabboccare il serbatoio dei freni, pure Rogi beve meno, solo un paio di volte nelle quattro ore di viaggio. Arriviamo a Katon che è completamente buio. Ci riaccompagnano alla palazzina di Assem e lasciamo loro un paio di euro in più di mancia per una vodka. Rogi mi ricorda che in ballo c’era una promessa, mi dice di aspettarlo perchè la vodka la berremo insieme, il tempo di andarla a comprare e in pochi minuti sarà di ritorno.
Saliamo e Assem sta preparando la cena, non facciamo in tempo a posare la roba che Rogi è già tornato e sta suonando il clacson, dobbiamo di scendere. Apriamo la porta e incrociamo un uomo alto e robusto che sta entrando nell’appartamento. Sgrana gli occhi quando ci vede, diventa rosso e pare che la faccia gli si riempia di rabbia. Noi non gli diamo troppo peso e lo salutiamo allegri, lui non risponde in alcun modo e, senza muovere un muscolo del viso, ci fissa mentre gli scorriamo di fianco. Al pianerottolo del primo piano incontriamo Rogi, si dirige verso la prima porta a sinistra, la apre ed entra, è casa sua, anche lui abita in quel palazzo. Ha una bottiglia di vodka, del salamino e del pane, prende dei bicchieri e ci accomodiamo al tavolo. Facciamo brindisi alla sua salute, alla nostra, all’amicizia tra Italia a Kazakhstan e ovvio alle donne, suo argomento preferito. Non finirebbe mai di bere, vorrebbe aprire un’altra bottiglia di vodka, ma cerchiamo di spiegargli che siamo a cena da Assem e che non sarebbe educato rimanere con lui. Ci prega di tornare dopo cena, per una bevuta, ci promette donne, alcol, di tutto, ma siamo stanchi e gli diciamo che ci rivedremo per un altro brindisi un’altra volta, magari in Italia. Ride, ci chiede delle donne italiane, quando ci rivedremo vuole che gli presentiamo un sacco di donne italiane.
Barcollanti di alcol saliamo al piano di Assem ed entriamo nell’appartamento con la chiave che la donna ci aveva consegnato. L’uomo di prima è seduto su una sedia di fronte alla porta, ci fissa in silenzio, l’aria è pesantissima e ci rendiamo subito conto che c’è qualcosa che non va. Lo salutiamo sorridendo e lui con la faccia più incazzata che abbia mai visto si alza e senza dire una parola ci viene incontro. Letteralmente ci ordina di andare nell’altra stanza e di sedere sul divano, noi ubbidienti e non sapendo cosa altro fare lo facciamo. In russo ci dice che dobbiamo andare via immediatamente e che ci accompagnerà in hotel. Poi tira fuori una mazzetta di soldi e fa discorsi che non riusciamo a capire.
Dall’altra stanza si affaccia una poliziotta, non l’avevamo notata, non sappiamo chi l’abbia chiamata, se lui o la moglie o se sia capitata lì per caso.
Assem quasi non la vediamo, è chiusa in cucina. In pochi minuti siamo pronti per uscire. Il geom.Calboni, l’uomo e la poliziotta scendono per primi, io e Pingo ci attardiamo per salutare Assem che ci chiede i soldi per la prima notte, per non complicare la situazione glieli diamo, lei sorride e dice di non preoccuparci perchè la poliziotta è una sua amica. Mettiamo gli zaini nel portabagagli dell’auto dell’uomo, la poliziotta siede davanti, noi tre dietro.
Ci portano alla caserma. Provo ad aprire il portabagagli ma è chiuso, l’uomo fa cenno di seguire la donna, i bagagli li prenderemo dopo, lui ci aspetterà fuori. Non abbiamo ben chiaro cosa ci faranno e se siamo accusati di qualcosa, siamo certi di non avere commesso alcun reato ma ci troviamo pur sempre nella zona più remota del Kazakhstan e potrebbe succedere di tutto. Il fatto di essere in tre e non da solo in quella situazione mi conforta solo in parte e comincio ad essere pervaso da un po’ di preoccupazione. Neppure il geom.Calboni e Pingo hanno i lineamenti rilassati.
A complicare le cose ci sono le difficoltà linguistiche, il nostro russo è davvero scarso, sufficiente per viaggiare ma non abbastanza buono per tirarci fuori dai guai, il loro inglese è assolutamente inesistente. Appena entriamo nell’edificio l’atmosfera si fa però più leggera, la poliziotta sorride e ci porta nel suo ufficio, altri uomini in divisa vengono a vederci e ci fanno domande sull’Italia. Il cellulare di uno di loro squilla e parte una suoneria, Calboni ne riconosce il motivo, è una canzone russa, tutti ridiamo. Ci guardano i passaporti, la carta di immigrazione, i visti, il permesso per l’Altai, so che tutto è perfettamente in regola e comincio a tranquillizzarmi. Loro fanno le fotocopie di ogni cosa, ci chiedono però un documento di colore verde di cui non sappiamo l’esistenza, probabilmente il modulo dove in passato facevano le registrazioni e che adesso non si usa più (in Kazakhstan, al contrario di ciò che accade in Russia, adesso ci si registra in automatico all’arrivo in aeroporto ad Almaty), ma forse loro non lo sanno, o forse fingono di non saperlo. La poliziotta esce dalla stanza, probabilmente va a telefonare a qualche ufficio centrale per informarsi meglio sulla procedura da seguire, quindi rientra e sorridendo ci dice che tutto è a posto ma che avremmo dovuto passare in questura all’arrivo per dichiarare la nostra presenza. Nel frattempo è arrivato pure Rogi scortato da un poliziotto, forse volevano verificare che ci conoscesse e che era stato tutto il giorno con noi. Lui continua a ridere e barcolla da quanto è ubriaco, e tra me e me penso che il fatto di conoscerlo non porti acqua alla nostra causa. Siamo comunque liberi di andare.
Prima di uscire il poliziotto della suoneria si avvicina a Calboni e gli consiglia di stare alla larga da Rogi, gli fa capire che beve troppo e che porta sempre guai, bell’autista avevamo scelto!
Intanto l’uomo, dallo sguardo sempre più arrabbiato ci aspetta fuori. L’hotel è a cento metri, non ha senso andare in auto ed è certo più saggio andare a piedi, ma il portabagagli è chiuso. Lui fa cenno di salire, ci vuole accompagnare. Visto che siamo di fronte alla caserma della polizia, che tutti ci vedono andare via con lui e il suo aspetto fondamentalmente da grosso coglione, riteniamo che la cosa non sia troppo rischiosa e saliamo. Appena parte mi rendo subito conto della grossa cazzata fatta perchè l’uomo, invece di prendere la via dell’hotel, si dirige nella direzione opposta.
Io gli dico ‘Gastiniza!! Gastiniza!!’ e gli indico la direzione giusta. Lui non si scompone, prosegue per un centinaio di metri, accosta in un punto buio e inizia a cercare roba sotto il sedile anteriore.
Una pistola! Penso subito che abbia una pistola sotto il sedile e che siamo decisamente fottuti!
Cerca per qualche secondo ma non trova nulla, allora si volta e accende la luce interna, ci guarda minaccioso e quasi gridando dice di avere due mogli, che le deve mantenere e che ha bisogno di soldi per mantenerle. Vuole soldi, vuole dollari. Con il senno di poi uno avrebbe potuto dirgli “Ma chi cazzo te lo ha ordinato di prendere due mogli, coglione???” ma in quel momento la voglia di scherzare era poca.
Provo ad uscire ma il mio sportello è bloccato e non potendo far altro continuo a far finta di non capire cosa ci dice e a ripetergli con la faccia più innocente possibile ‘Ia ne panimaio! Ia ne panimaio!’ e ‘Gastiniza! Gastiniza!’ indicandogli la direzione dell’hotel. Pare cedere, spenge la luce, si volta in avanti e riparte, stavolta nella direzione giusta. Ma non è ancora finita perchè invece di andare davanti all’albergo va sul retro, in un cortile buio, dal punto dove siamo per arrivare all’hotel a piedi dovremmo attraversare un campo recintato. Lui minaccioso riprende le sue richieste. Io non posso uscire ma la porta di Calboni non è bloccata e in due secondi siamo tutti fuori, pure il portabagagli adesso è aperto e prendiamo gli zaini. L’uomo è vicino a noi in piedi, pare enorme adesso, buio totale, lui grida ‘Sto dollar! Sto dollar!’, vuole cento dollari. Il geometra ha già superato la prima staccionata ed è già nel campo, io e Pingo siamo ancora vicini all’uomo che grida ancora più forte ‘Sto dollar’, pure io e Pingo superiamo la staccionata, lui ci viene incontro, afferra un palo di legno verticale del recinto e lo spezza come un fuscello cominciando a rotearlo minaccioso verso di noi. Dei cani abbaiano, si accendono le luci dall’hotel, lui getta il bastone e noi approfittiamo del momento per correre via attraverso il campo.
Sotto gli occhi divertiti e sopresi degli impiegati dell’hotel superiamo la seconda staccionata, alta almeno un paio di metri, e affannati, forse anche un po’ ridicoli, come se nulla fosse, facciamo il check-in.
Entrati nella stanza mi accorgo di avere ancora in tasca la chiave dell’appartamento di Assem. Dopo rapida discussione decidiamo di liberarcene buttandola nel campo adiacente l’hotel la mattina seguente, prima di prendere il bus per Ust Kamenogorsk.
E proprio a Ust Kamenogorsk incontreremo per caso il figlio di Bebegul che ci chiederà notizie della chiave, e noi, cadendo dalle nuvole: ‘La chiave? La chiave l’abbiamo lasciata sul tavolo del salotto!’.

ANDREA SABATINI

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