Crimea. Da Borispol a Kerc’ (parte 1)

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Reduci dalla “tappa di acclimatamento” a Katowice, io e Pingo, salpiamo alla volta del luogo d’incontro prestabilito con Jena, di rientro da una sua personale campagna di Turchia. La località in cui ci ritroviamo e facciamo, quindi, partire ufficialmente la nostra spedizione in Caucaso è Borispol.
Borispol è più che altro conosciuta, alla massa, come città ospitante, nel suo territorio, l’aeroporto internazionale di riferimento per Kijev, la capitale dell’Ukraijna.
A differenza dall’ultima volta in cui transitammo per questo aeroporto, l’aerodromo si mostra molto più vivo e trascorrerci l’intera nottata risulta più piacevole di quanto ci eravamo prospettati prima del nostro arrivo.
La notte ci servirà anche per effettuare la prima vera e propria riunione pianificatrice del viaggio, in quanto, fino ad ora, ci eravamo organizzati giusto per sommi capo.
Dopo il briefing notturno in una saletta dell’aeroporto di Borispol, ne sappiamo ancora meno circa la prosecuzione della nostra missione. Come al solito, decideremo giorno per giorno, tappa per tappa.
In orario antelucano, ci imbarchiamo finalmente per la Crimea, da dove inizieremo il nostro tour via terra e mare verso il Caucaso russo.
Attracchiamo a Simferopol’ mentre il gallo sta cantando il buongiorno. La temperatura già la si avverte cambiata rispetto al fresco polacco o a quella notturna di Borispol. Il sole la farà da padrone per quasi tutto il prosieguo del viaggio.
L’aeroporto di Simferopol’ mi risulta il più caratteristico in cui abbia volato. Un enorme spiazzo d’asfalto, dal colore sbiadito e presentante qualche sconnessione, e una piccola costruzione a fare da terminal partenze / arrivi vero e proprio. Le similitudini mi si sprecano nella mente. Personalmente mi sembra di trovarmi in un luogo simile per alcuni versi all’aeroporto di Constanta in Romania, per altri alla stazione ferroviaria di Terespol in Polonia sul confine bielorusso.
Ma siamo in Krim (Crimea) . E ce ne accorgiamo dal vetusto nastro per i bagagli, quasi simile ad un nastro cingolato, ubicato all’aperto in un angolo della pista sotto la copertura di una tettoia in metallo. E dai cessi. Si, proprio da quelli. Un sotterraneo dove i vespasiani hanno le pareti divisorie all’altezza dei fianchi e solo se accovacciato, in piena tensione muscolare, sul buco “alla turca”, risulti nascosto alla vista del tuo vicino di urinatoio ed acquisti un pò di privacy. Solo visiva ovviamente. Quella sonora è un miraggio.
L’architettura dei cessi, in cui ci imbatteremo durante il nostro viaggio, sarà motivo di discussioni auliche e potrebbe esser affrontato come argomento di tesi di corso di laurea in architettura urbanistica.
Davanti il piccolo aerodromo, scansati i caratteristici tassisti abusivi che ti propongono di accompagnarti fino alle mete più in della Crimea, optiamo per prendere un bus urbano al volo. Il primo che si dirige verso il centro. La nostra meta è l’autovokzal, la stazione degli autobus extra-urbani.
Il motivo?
Nel frattempo è passata la mozione supportata da Jena: tralasciare Simferopol’ e recarci direttamente a Sudak, cittadina ubicata sulla costa orientale della penisola di Crimea.
Durante il tragitto aeroporto – autovokzal altre similitudini territoriali mi affiorano in testa. Mi sembra di essere tornato ad un anno prima e di stare recandomi dall’aeroporto di Baku a Baku città. Sarà per le schiere di case base, sarà per i chilometrici tubi del gas presenti ovunque, sarà per la natura del paesaggio che si ammira dal finestrino.
Di Simferopol’ abbiamo giusto un assaggio che ci fa rimanere con l’amaro in bocca. Ma la scoperta della capitale della Crimea è solo rimandata ad un prossimo viaggio.
Repentinamente ci imbarchiamo su di un bus con destinazione Sudak.
Il paesaggio a noi prospiciente dai finestrini del bus è particolarmente accattivante. Il verde della natura di Crimea, le sue montagne che lambiscono il mare, le decine di chilometri di viti da cui si produce un rinomato vino locale, il caldo sole già alto nel cielo, la vegetazione a tratti fitta a tratti rada, ci fa carpire che questa è una terra che meriterebbe una visita a sé. Si avverte una sensazione diversa. L’Ukraijna, Kijev, L’viv, sono una cosa, la Repubblica Autonoma di Crimea un’altra. E questa sensazione verrà poi confermata dall’incontro con la gente del luogo, con il notare i lori usi, con l’assistere a scene di vita quotidiana. Sarà l’aria di vacanza al mare, sarà la temperatura prettamente estiva ma alcune personali perplessità sull’Ukraijna in genere, qui in Krim si volatilizzano.
Sudak è una località rinomata nella penisola per la viticoltura e la villeggiatura estiva. Nel corso dei secoli vide, oltre la sosta di Marco Polo, le dominazioni più disparate, da quella greca, a quella tatara, a quella genovese, a quella ottomana fino a quella più recente di stirpe russa.
E proprio alla dominazione genovese, gente che si spinse fino le odierne coste russe del mar D’Azov, che Sudak deve la sua maggior attrazione turistica: una fortezza tutt’oggi ben conservata.
La fortezza è adagiata su un promontorio a picco sul mare, da cui domina l’intera baia sottostante dalle attraenti acque.
Il panorama che si gode da lassù è davvero piacevole.
Per il resto, la città, non presenta grossi segni caratteristici se non fosse per la sua rinomata stazione balneare. In Italia ci sono alcune delle spiagge più belle del mondo ed il paragone è difficile farlo reggere con altri mari ma la baia di Sudak ha qualcosa da offrire.
La zona marina della città vorrebbe ergersi ad attrattiva per i turisti della balneazione ma ci riesce fino ad un certo punto. Locali all’aperto, negozietti di souvenirs, mercatini di cianfrusaglie estive, botteghe alimentari, attrazioni per bambini e non solo, bancarelle di pesci secchi, segnano su ambo i lati la strada che dalla città conduce al mare. La confusione, anche se è settembre inoltrato, regna incontrastata. La similitudine che balza nel mio immaginario malato è quella con Ohrid in Makedonija e Monterosso in Liguria. Niente di più falso ovviamente. O forse no. Forse Ohrid e Monterosso alcuni decenni fa erano àncorati anch’essi su questo stile volgare.
Di sicuro non credo vi fossero enormi coperture di metallo dove i bagnanti trovano riparo dalla canicola sulla spiaggia, accomodati su eleganti assi di legno che formano dei lettini da sole con tanto di cuscino di duro compensato.
Alla stregua di Oronzo Canà sulla spiaggia di Copacabana, anche noi, io, Pingo e Jena, ci incamminiamo vestiti di tutto punto sotto il sole cocente facendo slalom tra culi parlanti, castelli di sabbia e statue inermi sdraiate a catturare gli ultimi scampoli di abbronzatura.
Il nostro abbigliamento da nord Europa è altamente fuori luogo.
Osserviamo i locali venditori ambulanti che, al posto del coccobbello di italica memoria, qui propinano pesci secchi dal sapore marino.
Ci attestiamo nella più centrale accomodazione dell’area marina di Sudak. Dalla nostra stanza dominiamo il mare, la piazzetta principale, il ristorante e la pista della discoteca del nostro albergo.
All’orizzonte, non tanto lontano, la fortezza ci ricorda le nostre origini italiane.
Ci concediamo una sosta ristoratrice sull’affollatissima spiaggia, riuscendo ad ottenere alcuni centimetri quadrati per mostrare i nostri corpi.
La serata inizia presto. Con una lauta cena nel ristorante all’aperto del nostro albergo abusivo, arredato in stile tataro. O all’antica Roma se vogliamo. Sdraiati su confortanti cuscini – divanetti, attingendo cibo e vivande dal tavolinetto centrale a nostra disposizione.
In Crimea, come nel resto dell’Ukraijna ed in tutta la Federazia Rossijskaia l’usanza è quella di recarsi in un locale e completarci la serata: cena, festival e dopo festival.
Noi, ci atteniamo alle usanze locali. Ceniamo lautamente annaffiando il tutto con ottima birra russa (anche se siamo in Ukraijna), continuiamo a bere per digerire al meglio e, al momento giusto, ci scateniamo nelle danze aperte degnamente da un Jena in grande spolvero.
In questi paesi civili, hai il tuo tavolo riservato tutta la notte e puoi mangiare e bere a tutte le ore. E cosa non di poco conto, il tuo tavolo non te lo tocca nessuno. Le tue pietanze, i tuoi drinks, restano lì sul tavolo fin quando non sei tu ad invitare gentilmente il personale di sala a farlo sparire dalla tua vista. Hai un bicchiere di birra pieno sul tavolo e vai a scatenarti in pista a circa duecento metri, perdendo la visibilità del tavolo a te riservato? Nessun problema. Al tuo ritorno, distrutto ed assetato, il tuo bicchiere sarà lì intatto ad aspettarti, certo con un po’ di fragranza in meno.
Nei paesi incivili, invece, se ti distrai un solo attimo la tua birra è stata già requisita dal solerte cammarero che esegue gli ordini superiori di sequestrare tutto quello inanimato che il suo sguardo imbatte in sala.
Aperta la serata come primi avventori, non possiamo esimerci dal chiuderla completamente. Considerato anche il fatto che la nostra stanza dà direttamente sulla pista da ballo.
L’ osservazione che facciamo è quella che questa sia praticamente la serata che chiude la stagione estiva. Gli altri locali sono infatti vuoti ed inizia ad avvertirsi la triste aria di dismissione che avvertimmo qualche settembre fa a Budva in Crna Gora.

LUCA PINGITORE

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