Chisinau. Capodanno 09/10 (parte 2)

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( Continua dalla sezione ” Romania ” )

Il Capodanno ha lasciato i segni.
Un vero e proprio giallo attanaglia le stanze della nostra centralissima accomodazione. Con una trama da far impallidire il giocatore più esperto di Cluedo. Un artistico preparato intestinale di un colore marrone vivo, ancora caldo e fumante ed emanante una fragranza dolciastra diffusasi per tutte le stanze dell’ostello, è stata dimenticata da qualcuno in un cestino per la raccolta dell’immondizia, in bella vista.
A chi appartiene?
Alle callarone svizzere? Alle due coppie bulgare? Al tedescone esperto in fiati? O addirittura ad uno di noi?
Il mistero si infittisce sempre di più quando si scopre che, all’anagrafe, il nostro Brunello è registrato come Severino Cicerchia, il famoso “cugino scorreggione” di Artemio di Borgo Tre Case. A scagionarlo quasi del tutto però, accorre una jam session ensamble mattutina tra Gc ed il tedescone che accompagnano con le loro trombe le altisonanti ronfate di Marxim. In quella confusione è impossibile quindi trovare il colpevole dell’intrigo internazionale di Capodanno e la denuncia viene derubricata “verso ignoti”.
Rimessici alla meno peggio in sesto nel primo pomeriggio, ci apprestiamo a lasciare Bucuresti e l’Unione Europea.
“Alla cosentina”, ci rechiamo in bus alla gara du nord, la stazione ferroviaria da cui muoveremo alla volta di Chisinau, la capitale della Repubblica di Moldova. La stazione è quasi completamente deserta vista la giornata festiva ed optiamo per trascorrere l’attesa del nostro treno in una saletta privata dell’unico barraccio aperto, insieme ad un gruppone di nullafacenti di etnia rom che fumano e bevono alla salute di noi italiani.
Nel priveè del barraccio, istruiamo l’ultimo briefing preparatorio della missione moldava e concordiamo gli ultimi dettagli. Brunello Cicerchia si chiama fuori dal prendere decisioni, Gc delega i suoi voti al suo mentore Jena che dice la sua, Marxim è d’accordo a metà, io esprimo il contrario.
Senza decidere niente, lasciando tutto all’estro ed all’improvvisazione di ogni partecipante, come in fondo ci piace, siamo pronti a recarci a Chisinau.
Sulla banchina del binario attendiamo l’arrivo del nostro convoglio. L’aria è tetra, nebulosa, umida, con una folta coltre di fumo assemblatasi dall’attrito delle ruote dei vagoni del treno combinata con la sottile nebbia della sera. Le sagome dei pochi passeggeri presenti sembrano tanti fantasmi persi nelle nebbie londinesi.
Prendiamo possesso dei nostri scompartimenti in un classico vagone in stile sovietico e udendo il fischio del capostazione locale, salpiamo alla volta della Repubblica di Moldova.
In uno scompartimento si attestano, Jena, Brunello e Marxim, in quello attiguo il sorteggio mi affida Gc.
Per ingannare la lunga notte in treno, organizziamo come tradizione comanda sui convogli sovietici, un festino a base di birra e chaj bollente (thè) gentilmente offerto dalla konduktor in persona.
Aperte le nostre coscienze dai fumi del thè romeno, le nostre conversazioni da basso e squallido livello, si alzano aulicamente in maniera esponenziale e svariano verso l’arte; quella con l’A maiuscola.
Ne nasce un’improvvisazione teatrale dal titolo: “ Calboni legge Cangaceiro”.
I passi dell’Autore del famoso volume riguardante le sue gesta in Chisinau, si diffondono magicamente nell’atmosfera surreale che pervade il vagone fantasma in viaggio verso la Repubblica di Moldova.

SABATO 2 GENNAIO 2010:
Un brusco movimento del treno ci sveglia, disturbando il nostro riposo all’interno delle nostre cuccette. L’arrivo in frontiera del convoglio, ci riporta alla realtà.
Ci eravamo addormentati con le gesta di Cangaceiro in testa, ora però stiamo per oltrepassare davvero e per la prima volta quella frontiera di un paese tanto decantato da molti negli ultimi tempi. La sosta ad Ungheni è necessaria per espletare le formalità doganali e per cambiare le ruote al nostro treno, in quanto nei paesi dell’ex Unione Sovietica è utilizzato un sistema differente di scarto delle ruote. Le operazioni doganali vengono effettuate senza alcun problema, prima dagli agenti romeni in uscita e poi dai loro colleghi moldavi in entrata. Nessun problema di sorta, tanto che restiamo comodamente accucciati nei nostri giacigli durante le relative operazioni. E neanche il frastuono ed i sobbalzi del cambio ruote scalfiscono il nostro riposo.
Un addetto alla dogana moldava ci formula la classica domanda: ”Motivo del viaggio?”.
Gc, con ancora la prosa del libro di Cangaceiro in testa, risponde: “Skizzare il più possibile!”.
Questo è, in realtà, quello che Gc si è rappresentato in testa sognando in quegli attimi di confusione onirica.
Si affaccia però davvero, nel nostro scompartimento, un barbone avvolto nel suo pastrano di montone usurato e maleodorante che ci farfuglia qualcosa in romeno. Pensando ad una sua richiesta in denaro, fingiamo di non intuire le sue parole ma in un inglese sgarbato si annuncia come dottore diplomatosi a pieni voti all’università di Briceni nel 1982 e ci chiede lumi sul nostro stato di salute. Dopo averlo rassicurato sulle nostre condizioni fisiche, lo salutiamo calorosamente.
Pare davvero che, in alcune frontiere ferroviarie dell’ex SSSR, sia previsto un controllo medico per sedare alcuni eventuali malori che i passeggeri potrebbero avvertire a causa dei movimenti brutali del cambio ruote del treno.
Quando si parla di paesi civili…
E’ già mattina, quando in perfetto orario, attracchiamo a Chisinau, la tanto mitizzata città, ultimo baluardo, per me e Jena, dei paesi aderenti al Patto di Varsavia da noi visitati. L’emozione che ci pervade è tanta.
La prima cosa che notiamo è la scarsa presenza di tassisti abusivi e nullafacenti che assillano l’incauto viaggiatore offrendo egli prestazioni e servizi di vario genere, al contrario di tanti altri posti con la regione caucasica russa come epicentro.
Dopo esserci ricompattati ed orientati ad occhio, testiamo repentinamente il servizio pubblico urbano di Chisinau, infilandoci in un vetusto ma ancora in forma filobus.
Essendo per noi la prima volta in città, chiediamo lumi sulla nostra meta alla konduktor che, scomodando autista e passeggeri tutti, cerca di elargirci l’informazione che cerchiamo. Il russo stretto con il forte accento romeno non è di facile comprensione per noi, per questo fatichiamo a comprendere i nostri gentili interlocutori finchè non ci viene in soccorso un anziano signore polacco trasferitosi a Chisinau molto prima del dissolversi dell’Unione Sovietica.
In pieno polacco stretto riusciamo a carpire le informazioni che ci abbisognano ma, naturalmente, non ci fidiamo.
O meglio, visto il datato feeling che mi porto dietro per la terra polacca, sono l’unico a dargli retta e credere alle sue parole.
Il tempo darà ragione alle sue affermazioni.
Insabbiati nella melma della neve disciolta, sferzati da un gelido vento, confusi dal traffico roboante, esaltati dall’architettura sovietica della città, ansiosi di liberarci dei bagagli, optiamo per il più classico dei taxi. Che in cinque, uno sopra l’altro in tutt’uno con le nostre valigie, ci scarrozza a destinazione. Secondo alcuni studi di settore, l’hotel Zarea, doveva garantirci il miglior rapporto qualità – ubicazione – prezzo.
L’ubicazione: grossomodo centrale ma situato in una sorta di conca stradale dove una spessa coltre di ghiaccio dell’anno prima ha creato una sorta di canyon per le ruote degli automezzi. La neve diventata ghiaccio cementizio, mai spalato, rende l’approdo degno di una tappa della Parigi – Dakar.
Il prezzo: molto economico.
La qualità: in linea con gli standard di alcune gostinize sovietiche mai ristrutturate, di cui siamo stati ospiti, con in più, una sorta di strano movimento di coppie che hanno appena terminato di usufruire dell’albergo, per incontri galanti innaffiati da fiumi di denaro contante.
Tutto bene quindi. Se non fosse per la sospetta penuria di acqua corrente.
Ma non abbiamo tempo ora da perdere dietro a questo quisquilie, Chisinau ci attende.
Come prima tappa, per masticare qualcosa, è d’obbligo assaggiare la nobile cucina del mitico Andy’s Pizza, onnipresente in Moldova ed egregiamente sponsorizzata dal Maestro Cangaceiro nella sua Opera.
L’emozione di calcare le scene di Cangaceiro e sedersi al tavolo dove Egli è solito abbuffarsi durante i suoi soggiorni moldavi, è commovente.
Degustato, è tempo di visitare la città.
La capitale si sviluppa lungo la sua arteria principale, Boulevard Stefan Cel Mare, dedicata al principe, Santo ortodosso ed “Atleta di Cristo”, vero cuore pulsante della città, e si dipana nelle sue traverse e parallele. Strada facendo scorriamo il Teatro, il Parlamento, la Residenza Presidenziale, il Palazzo del Governo, il Municipio, la Cattedrale, fino a giungere al Monastero di Sfanti Mare Mucenic Teodor Tiron, che ci riporta alla mente Kijev ed in clamoroso contrasto cromatico ed architettonico col dietro stante dismesso hotel National.
La città è viva, soprattutto all’interno del suo storico magazzino Unic, dove si concentra l’essenza europea della volgarità, e dove stands di mercanzia di ogni genere proviene dai più rinomati centri commerciali e mercati all’aperto d’Europa: dal Lungo Crati di Cosenza, a quello di Bar in Crna Gora, passando per quelli di Kosovska Mitrovica, Brest, Minsk, Rostov-na-Don, Kijev, Skopije, Dublin, Tirana, Zagreb, Riga, Lublin.
L’attenta passeggiata, immersi per la prima volta nella realtà moldava, molto vicina per alcuni versi alla realtà romena di Bucarest, prosegue senza sosta. Fino a quando non sopraggiunge una segnale divino.
Inaspettatamente Cangaceiro si materializza tramite sms, diffondendoci in esclusiva il suo Verbo, con rivelazioni mistiche riguardo la città e le sue pieghe. Esaltanti da cotanta attenzione nei nostri riguardi, ci rechiamo a meditare nel tempio del consumismo di Chisinau.
Giunge l’ora di rientrare negli spogliatoi per pettinarsi come si deve, in occasioni di gala del genere.
Rientrati in albergo, l’amara sorpresa. L’acqua corrente non è tornata e non ha intenzione di farlo fino a data da destinarsi.
Dopo un velocissimo e concitato briefing, optiamo per sgommare senza esitazioni nel centralissimo hotel Chisinau, senza ovviamente saldare il conto, per un servizio di cui non abbiamo usufruito se non quello di guardaroba per i bagagli.
E’ sera, sta per scoccare l’inizio della match, fra poco scatteranno le ostilità tra l’equipe italiana ed il team nazionale moldavo.
L’aria inizia ad essere tesa, i volti sono tirati, le menti concentrate.
Il campo si presenta in perfette condizioni ma si avverte la pressione della solita stampa italiana che, si sa, anche da lontano non ti perdona niente.
Sala l’ansia da risultato, anche perché alcuni elementi sono in piena “sindrome di Jancker”, nome dell’affezione derivante dal famoso centravanti tedesco che segnò un solo gol in due stagioni, ed alcuni non hanno mai avuto la possibilità di giocare insieme.
Mister Marxim, coach duro ma esperto che non lascia nulla al caso, schiera la seguente formazione:
Gc tra i pali, Brunello Cicerchia cagnaccio difensivo, Calboni a dettare le geometrie a centrocampo, Jena seconda punta e lo stesso Marxim centravanti di sfondamento.
La squadra, così assettata, dovrebbe garantire ampie garanzie di risultato ed essere impavida davanti ad ogni eventuale occasione si presenti.
Ma non si è fatto i conti con lo scherzo che, a prima vista, il solito metronotte, nottambulo inguaribile, sembra tirarci.
Terminata la cena, momento prestabilito, veniamo raggiunti da tre strani personaggi, già precedentemente contattati.
Fanno il loro ingresso in scena un gay brizzolato sulla quarantina, una lesbica e la sua compagna: una matrona romena da far invidia alla dottoressa Tirone e non degna dell’appellativo di callarona, addobbata con fuseaux attillati leopardati, pelliccia di cincillà dal pelo lungo, cappello pellato da matallaro, occhiali da sole ammiccanti e truccata dal visagista di Cindy Lauper nel video di “Girls Just Want To Have Fun”.
Lo sgomento scende in sala.
Ci guardiamo in faccia un rapido secondo: “Ma chi se ne frega? Siamo qui per divertirci e ci divertiremo…”
L’atmosfera si scioglie in men che non si dica ed il gruppone si affiata.
Il Trio ci propone di seguirli ad una festa esclusiva in un locale cittadino. Appena sussurrano il nome del locale in cui ci recheremo, gioiamo come bambini, davanti ai loro occhi increduli. Ci porteranno allo Star Track, il celeberrimo locale sede principale delle gesta di Cangaceiro.
Il solito metronotte, nottambulo inguaribile, non si è sbagliato neanche questa volta consigliandoci l’incontro del Trio. Il Destino ci vuole comunque sulle tracce di Cangaceiro.
Attraversiamo la città in taxi, in sette più i due autisti su di uno, la cugina della dottoressa Tirone da sola nell’altro, e raggiungiamo lo Star Track.
Il locale fino ad ora solamente sognato ed immaginato attraverso i Versi dell’Autore prende forma.
Il Trio in nostra compagnia si dimostra cordiale e simpatico e ci lasciano anche il tempo di giocare le nostre partite.
Brunello e Gc rispettano le consegne del mister, restando in copertura in difesa, Calboni a centrocampo cerca di scardinare una difesa avversaria a fatica, vista l’impenetrabilità dell’idioma russo stretto con forte accento moldavo, Jena e Marxim spaziano a tutto campo in area avversaria.
Il risultato finale sarà il seguente: Gc e Brunello fischiati dal pubblico, Calboni impatta sullo 0 -0 rimandando così l’eventuale qualificazione al ritorno (peccato, però, che trattasi di turno unico…), Jena discreta prestazione segnalandosi anche per un tiro terminato sulla linea di porta, Marxim vincitore dell’ambito premio Panchina d’Oro.

DOMENICA 3 GENNAIO 2010:
Dopo le estenuanti fatiche della notte precedente, ci concediamo un meritato riposo.
Ma gli angoli reconditi di Chisinau ci aspettano. Come quelli solcati dal nostro Cangaceiro.
Come Sankt Peterburg custodisce il quartiere Sennaya, location dei capolavori di Dostojevski, così Chisinau porta nel suo grembo Botanica, il quartiere dove Cangaceiro alloggiò durante il suo primo soggiorno da queste parti.
Ai tempi visitammo Sennaya sulle tracce di Dostojevski, ora tocca a Botanica con il libro del Canga tra le mani.
Per una strana congiunzione astrale, sbagliamo l’orientamento e saliamo sul bus urbano in direzione totalmente opposta a quella da noi bramata. L’autista, il suo secondo e la ragazza dell’autista desiderosa di trascorrere comunque la domenica sera con lui, accortisi della nostra gaffe ci prendono ironicamente per il culo.
Da parte nostra, poco male, ci concediamo una visita sommaria ma quasi completa alla città al prezzo di pochi spiccioli.
Solo Brunello sembra apprezzare poco e, come la notte di Capodanno a Bucuresti, si addormenta per tutto il tragitto.
Il bus ci scarica davanti lo stadio dello Zimbru, la principale squadra di calcio cittadina.
A ritroso, con il libro in mano, risaliamo a piedi verso Botanica, costellato da chilometrici palazzoni di architettura sovietica, veri alveari di esseri umani, quasi senza soluzione di continuità. Uno dei quartieri a più alta densità volgare d’Europa, senza dubbio.
Passo dopo passo calchiamo le orme dell’Autore e respiriamo quell’atmosfera che ci eravamo già figurati durante le numerose letture del suo libro.
Libro che nasconde Verità assolute.
Solo i prescelti riescono a leggere tra le righe e carpire gli insegnamenti profondi che emana.
Come aiutò la sera prima mister Marxim, ora viene in soccorso di tutti, rivelandoci il locale adatto per masticare qualcosa a cena.
Cena nell’elegante ristorante La Roma, confusi tra tavolate altamente qualitative e pre-serata nel sottostante locale dove una sequenza mixata di hit commerciali russe, apprezzate precedentemente in altri viaggi, porta a me e Jena a commuoverci in pista mescolati a numerosi maschioni esaltati.
Dopo le Letture, seguiamo la soffiata del solito metronotte, nottambulo inguaribile, che ci indica la rotta verso un noto locale cittadino.
Corsa in taxi che ci abbandona nella piazzola di un distributore di benzina perso nella periferia della città. Il locale in questione non dà segni di vita.
Siamo isolati nel bel mezzo del nulla. Ma una luce in lontananza è la nostra salvezza, un nuovo taxi di passaggio ci porta in pieno centro dove, ci giochiamo la seconda carta a nostra disposizione.
Per essere domenica sera il locale è frequentato ma, d’altronde, nell’ex CCCP, funziona spesso così, locali pieni dalla domenica al sabato.
Questo addirittura nega l’accesso a tre callarone addobbate di tutto punto. Il livello qualitativo interno non è stratosferico ma un locale che non ammette le callarone si poteva solo sognare.
Con in testa le tattiche della sera precedente, apriamo le danze.
Questo, però, si rivela un campo ostico tanto che Brunello chiede la sostituzione dopo solo pochi minuti dal fischio d’inizio e rientra in solitaria negli spogliatoi dell’hotel Chisinau. Gc, invece, si accomoda in panchina ai bordi del campo. Calboni girovaga all’interno dello stesso senza idee e lontano dalle azioni di gioco. Jena freme al ritmo della musica, noncurante dei richiami in partita da parte del mister Marxim. Il coach, con gli schemi oramai saltati, tenta in solitaria il tutto per tutto, seguendo alla lettera una Rivelazione decifrata da un passo del Maestro.
Ma quando non è serata lo si avverte subito.
La coppia d’attacco decide comunque di resistere fino al termine delle ostilità mentre, Gc ed il sottoscritto, a pochi minuti dalla fine, abbandoniamo il terreno di gioco e ci concediamo una lunga e romantica passeggiata fino in hotel, sotto una leggerissima nevicata in un’atmosfera ovattata.
La neve si posa leggiadra sul suolo della capitale moldava creando una sorta di patina che, riflettendo le luci della notte, regala un effetto di lucentezza che inebria le nostre emozioni.
( continua nella sezione ” Pridnestrovie ” )

LUCA PINGITORE

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