Bitola – Skopje 2010

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( Continua dalla sezione ” Grecia ” )

GIOVEDI 4 GIUGNO 2010: BITOLA – SKOPJE.

Al levarsi del sole, ancora dormienti e sotto una fine pioggerellina, ci rechiamo alla ricerca della fermata del bus che ci condurrà all’autostazione cittadina, ubicata in piena periferia. Dall’esterno, la stazione, architettonicamente, ci sembra un grosso circo, considerata la forma circolare dell’area partenze – arrivi, mentre per il resto si presenta come una piccola ma moderna costruzione sulla falsariga di quelle di Sofija e Pristina.
Entusiasti, ci imbarchiamo sul primo bus diretto a Florina, penultima località prima del confine tra Grecia e Republika di Makedonija.
L’ultima nostra volta nei Balcani, ci fermammo a Sveti Naum nel Parco Nazionale della Galičica, al confine tra Makedonija e Albania.
Idealmente, questo viaggio, riprende da Thessaloniki, ultimo lembo dei Balcani, per ricongiungerci dove avevamo interrotto, sul confine sud della Republika di Makedonija.
Il bus salpa da Salonicco e le condizioni climatiche volgono sempre più al peggio con tuoni, fulmini ed una incessante e scrosciante pioggia che non lasciano presagire niente di buono per il nostro prosieguo. Il tintinnio della pioggia e la lenta andatura del bus richiamano l’antico Dio di queste zone, Morfeo, che inizia a cullarci dolcemente.
Un semplice sobbalzo del bus mi risveglia. La pianura, la conformazione delle colline all’orizzonte, le coltivazioni ininterrotte di agrumi, la strada, tutto mi porta a pensare di trovarmi nelle terre ubicate al di là del mar Ionio, anticamente conosciute come Magna Graecia. Solo ora, dopo aver messo piede anche nella regione ellenica, riesco davvero a carpire delle similitudini ed una sorta di continuità territoriale tra la terra dell’Ellade e l’antica Magna Graecia. Il nostro pullman si inerpica sulle montagne e raggiunge la cittadina di Edessa completamente allagata. La pioggia di queste ore con il continuo incessare della stessa hanno trasformato le strade del paese in una enorme palude. Le macchine ed i pochi passanti presenti sono sommersi alla stregua del fenomeno dell’acqua alta di Venezia.
Dopo circa tre ore di lento arrancare per pianure e montagne, approdiamo finalmente a Florina.
La pioggia ha lasciato spazio ad un flebile sole.
Purtroppo non abbiamo tempo a disposizione per visitare questa cittadina abbarbicata sulle montagne del Verno e contrattiamo subito con un taxi per farci accompagnare al punto di frontiera con la Republika di Makedonija, nel vicino villaggio di Niki.
Da oramai veterani dei passaggi di frontiera a piedi in Europa, ci lasciamo abbandonare direttamente sul confine e, senza esitazioni, sfondiamo la frontiera stessa a piedi. Al controllo dei doganieri greci passiamo indisturbati e senza clamori o perdite di tempo e, nella totale indifferenza comune, proseguiamo la camminata verso la Makedonija.
Nel territorio tra i due stati, sul versante greco, campeggia una grande statua di Alessandro Magno il Macedone.
E’ una sorta di rivendicazione da parte delle Grecia circa l’appartenenza del grande condottiero e, di conseguenza, delle origini e del nome Macedonia alla nazione ellenica. Tra Grecia e Makedonija, infatti, vige una aspra ed a volte violenta diatriba tra quale dei due stati debba essere indicato come Macedonia. Ognuno dei due ne rivendica l’originalità del nome e del territorio, tant’è che la Republika di Makedonija è volgarmente riconosciuta dalla comunità internazionale con il termine FYROM- Makedonija (Repubblica Ex Jugoslava di Macedonia).
La questione, annosa e spinosa, riporta le cause a tempi davvero lontani.
La nostra passeggiata da una frontiera all’altra prosegue verso il lato macedone dove sono quasi ultimati i lavori per l’apertura di un nuova dogana figlia della modernità, in completa antitesi con la vetustà della precedente e della dirimpettaia greca.
La dogana di Medzitlija ci accoglie benevolmente e, all’italiana e noncuranti delle auto in sosta, ci presentiamo all’ingresso della Makedonija saltando la fila. Il doganiere gentilmente si incazza e ci fa tornare indietro di tutte le caselle, ricollocandoci al punto di partenza.
Dopo alcuni minuti in coda a piedi dietro le auto, facciamo finalmente il nostro ingresso nella Republika di Makedonija.
Oltre la dogana, davanti ai nostri occhi si presenta il nulla.
Il villaggio di Medzitlija si trova solo a qualche chilometro di distanza e non notiamo nessuna connessione con Bitola, la prima città venendo da sud, confine ultimo dell’ex Jugoslavija ai tempi e nostra meta odierna.
Ci riassettiamo nei cessi locali e sotto una nuova e leggera pioggia optiamo per chiedere di un taxi all’ufficio postale della dogana, uno stanzino con un unico dipendente che trascorre il suo tempo a guardare la desolazione, interrotto, di tanto in tanto, da una sua necessità fisica di dover sputare.
Ben attenti a non essere colpiti dalle sue necessità ed in lingua serba elementare, esaudiamo il nostro desiderio e dopo alcuni minuti un taxi si materializza davanti a noi.
Col solito serbo elementare ci lasciamo condurre fino alla stazione ferroviaria di Bitola, città non molto distante dalla frontiera.
Solo una volta giunti a destinazione il tassista si accorge di avere a che fare con due italiani ed inizia a conferire in fluente lingua italica, avendo egli lavorato nel BelPaese.
Scaricatici davanti la vetusta stazione ferroviaria, terminale di scarsi collegamenti locali, ci buttiamo alla ricerca del famigerato bar Amburgo che, il solito metronotte, nottambulo inguaribile, ci segnalò prima della nostra partenza come unico posto in cui poter abbandonare i bagagli per qualche ora alla stregua di un deposito.
Tra le baracche adibite a bar, presenti nella zona, del bar Amburgo nessuna traccia.
Le soffiate del solito metronotte, nottambulo inguaribile, sono assolutamente valide esclusivamente col buio.
Con i nostri fardelli ci incamminiamo verso il centro città, attraversando il verde parco cittadino. In pochi minuti siamo sul corso principale.
Tramite le nostre altolocate amicizie nella capitale macedone, un nostro contatto locale ci lancia un segnale e l’incontriamo giusto davanti il miglior albergo della città.
Ci concediamo una rilassante pausa in un moderno bar e, grazie ai buoni uffici del nostro contatto, abbindoliamo le nostre valigie ai baristi, congediamo il nostro agente a Bitola e con Jena ci inoltriamo alla scoperta della città.
Riscaldati da una piacevole temperatura, ridiscendiamo il corso cittadino affollato di gente e di locali con i tavolini all’aperto che sparano musica con l’ausilio di alcuni dj che sostituiscono radio e cd.
Ammiriamo la Cattedrale cattolica; il monumento a Tito, sempre ricordato da queste parti; la piazza principale; la Torre dell’orologio; la moschea di Ajdar Kadi; guadiamo il fiume Dragor; ci perdiamo tra i vicoli dell’antico bazaar di discendenza turca.
Il bazaar, seppur di dimensioni minori rispetto ad altri, è un classico esempio di architettura ottomana mista ad elementi di volgarità dei nostri giorni.
E’ un piacere aggirarsi tra le sue stradine, voltare gli angoli, osservare antichi bagni turchi oramai adibiti a botteghe, léggere le vecchie insegne, respirare la stessa aria, anche se molto più provinciale, dei bazaar di Sarajevo e Skopje e delle strade di Tirana.
E’ l’ora di masticare qualcosa.
Ci addentriamo in un vicolo ed optiamo per consumare dei burek in un bugigattolo gestito da una vecchia. Degustiamo le prelibatezze locali, arriva il conto, insisto per pagare io la parte della quota in spiccioli. Tanto mi sono rimasti in tasca dall’ultimo viaggio di circa due anni fa da queste stesse parti. Paghiamo e ci defiliamo.
Cosa c’è di strano in questa azione?
Lo scopriremo la notte stessa a Skopje.
Soddisfatti della nostra visita in città, recuperiamo i bagagli nel bar sempre più affollato di giovani e, a ritroso, rientriamo in zona stazione.
Questa volta usufruiamo di quella dei pullman.
Mentre acquistiamo i biglietti, il nostro bus per Skopje ha appena alzato le passerelle e sta levando le àncore. La bigliettara schiamazza verso un nullafacente dell’atrio della piccola stazione e costui, come prima azione quotidiana in pieno pomeriggio, frena i motori dell’automezzo ed il capitano ci carica a bordo.
Il viaggio in bus verso la capitale affronta praticamente tutto lo stato da sud a nord. Le montagne, le vaste coltivazioni di viti, il verde dei paesaggi, ci accolgono nel suo interno. Viaggiare nei Balcani è viaggiare lentamente in bus. Solo così ne puoi cogliere l’essenza, catturare le sensazioni, conservarle a lungo.
Classica sosta in una bettola per viandanti isolata sulla strada dove l’autista divora, a qualsiasi ora del giorno intercorra la sosta, capretto, agnello, pollo, grigliata di manzo e tutto quello che può divorare nei canonici quindici minuti di sosta. Nei Balcani, nel Caucaso russo, in Armenia funziona così.
Gli autogrill sono niente altro che stamberghe sul ciglio della strada dove puoi abbuffarti all’infinito con prelibatezze degne di un banchetto nuziale tradizionale. Anche questa è un’usanza locale sacra che soddisfa il palato.
Dopo circa due anni di assenza, rimettiamo piede a Skopje.
Già nelle ore antecedenti ci permettiamo di rifiutare in maniera educata l’ospitalità offertaci da una nostra vecchia amica, di cui fummo già ospiti la volta precedente, ben curati dalla madre di lei. Tramite una salutare passeggiata verso il centro ci mettiamo alla ricerca di una accomodazione incline ai nostri bisogni.
La Cappa negativa, giustamente, si fa sentire, considerato il fatto che si era attardata in Italia e solo dopo alcuni tentativi andati a vuoto e tortuose passeggiate da animali da soma con bagaglio annesso, riusciamo ad individuare una location per noi accettabile. Non prima di aver litigato con la vecchia receptionist.
Dopo circa dieci minuti di controversia in cui noi chiediamo una stanza doppia e lei insiste per darci un piccolo bilocale a completa nostra disposizione ad un prezzo superiore. Alla fine riusciamo a spuntarla noi. La stanza doppia ci viene accordata. Ma no!
La vecchia insiste ed allo stesso prezzo ci concede l’uso del bilocale. Accettiamo di buon grado ovviamente.
Seguiamo la vecchia nell’appartamento ubicato nella strada laterale, ci pettiniamo davvero bene e siamo pronti per la prima serata a Skopje, la città che tanto ci era piaciuta la prima volta, speranzosi di poter confermare le nostre impressioni.
Sotto la statua di Nëna Terezë o Majka Tereza, a seconda che si usi l’albanese della cittadinanza od il macedone del luogo di nascita, ci incontriamo benauguratamente con la nostra amica ed il di lei ragazzo.
Commoventi convenevoli di rito lasciano presto il posto a discussioni diverse: dai ricordi, agli aggiornamenti, alle solite ed immancabili minchiate quando siamo noi i protagonisti di queste storie. La coppia ci porta dall’altra parte del fiume Vardar che attraversa la capitale, nel famigerato antico bazaar di ottomana memoria e ad odierna tradizione turco-albanese.
Da un pò di tempo a questa parte vige una sorta di riqualificazione della zona e subito ci attestiamo in un paio nuovi localini per abbuffarci con portate locali, rivangare la nostra amicizia ed affogarci di Skopsko, la birra del luogo di cui non ne assaporavamo il gusto da tempo.
E la Cappa negativa? Giunta a Skopje in ritardo e fallito l’attentato nei nostri confronti tramite le difficoltà a reperire una degna accomodazione per i nostri gusti elevati, riprova a crearci scompiglio sotto forma di un classico acquazzone estivo.
L’acqua e l’orario comunque tardivo accelerano le nostre manovre di commiato per la serata e, tramite taxi, ci lasciamo portare nelle adiacenze del nostro appartamento. Non prima, di aver comunque effettuato un infruttuoso giro di prova in alcuni locali notturni nelle nostre adiacenze.
Il contratto di società che lega me e Jena ce lo impone.
Tergiversiamo comunque in zona e decretiamo di accomiatarci in un burekkaro notturno dalle invitanti leccornie balcaniche.
La parte del conto in spiccioli, come avvenuto a pranzo a Bitola, decido di offrirla io per liberarmi delle monete in eccesso, rimasugli del viaggio precedente. Il burekkaro rifiuta gli spiccioli e si prodiga in strane rimostranze nei miei confronti. Insisto nel voler pagare ma il burekkaro mi diniega il permesso.
Cosa c’è che non va?
Forse gli spiccioli sono andati fuori corso?
Il burekkaro si muove a compassione e ci abbona la parte spicciola del conto.
Non capisco, controllo comunque gli spiccioli e…scoppio in una fragorosa risata intuendo l’equivoco.
Non trattasi di spiccioli macedoni ma bensì di bosniaci…
Chiedo scusa al burekkaro e, con Jena, pensiamo alla vecchia cammarera di Bitola che si è ritrovata pagata con gli spiccioli bosniaci…
Evitiamo eventuali ed ulteriori nostre azioni dequalificanti e ci accomodiamo con Morfeo nella nostra accomodazione privata.

VENERDI 4 GIUGNO 2010: SKOPJE.

Potendoci riposare sfruttiamo al meglio il nostro bilocale conversando con Morfeo fino a tarda ora.
Oggi, però, le nostre strade, quella mia e quella di Jena, si divideranno a causa della fitta agenda politica condensata di incontri e faccende private da svolgere.
Salutato Jena, mi dirigo al classico posto eletto da noi a meeting point cittadino, la statua di Madre Teresa, la cui scelta è dettata anche da influenze mistico-religiose ed auspici benéfici dettate da una certa scaramanzia.
Al’ora stabilita mi incontro con un mio contatto locale e ci attestiamo in un centralissimo bar della capitale. La discussione prosegue allegramente finchè purtroppo non sopraggiunge il gong finale. I presupposti ci sono ma si rimanda a data da destinarsi una eventuale firma del contratto.
Accomiatatomi con una vena di tristezza, ho giusto qualche ora libera prima di un nuovo incontro d’affari.
Impiego il tempo a gustarmi Skopje, il suo centro, i suo bar alla moda, la sua fiumana di gente, il fiume Vardar e l’antico bazaar.
Passeggio ininterrottamente sui luoghi già da me visitati durante il mio primo viaggio e ne scopro di nuovi, intersecandomi in strade, viali e sul lungofiume del Vardar. Skopje mi affascina anche questa volta.
Dopo aver sgomitato nel centro, affollato e con musica sparata da ogni bar col jukebox umano di un dj, mi dirigo nelle vecchia stazione. Girovago tra i suoi resti, distrutta, come gran parte della città d’altronde, dal terremoto del 1963; osservo il discorso di rinascita che il Maresciallo Tito fece alla cittadinanza, impresso a futura memoria su di un muro e mi soffermo nell’ufficio dell’Unione delle Forze di Sinistra di Tito, una fantomatica associazione di nostalgici che vive nel ricordo di un passato non troppo lontano e mai comunque dimenticato dalla gente. Mi presento al presidente e ad i suoi aiutanti, tutti in età avanzata con gli anni e ne esce fuori una conversazione in serbo – italiano di aulico livello politico.
Saluto con garbo con la promessa che sarei ritornato presto con un amico e mi dirigo nuovamente verso piazza Makedonija, una delle piazze più ampie che mi ricordi in Europa insieme a quelle di Vilnius e Bălţi, guado il fiume Vardar attraverso l’antico ponte di pietra e mi immergo nella parte cittadina più volgare.
Inizio dal bazaar di stile ottomano, molto più esteso di quello di Bitola, e mi sembra di esser tornato tra le strade di Tirana o nella vecchia Sarajevo.
Poco comunque è cambiato da quando misi piedi qui la prima volta.
Ma qualcosa, purtroppo sta per cambiare e per deturpare la città.
Enormi palazzoni da adibire a musei o palazzi governativi o addirittura ad hotel extra lusso stanno venendo su finanziati dal governo americano, senza tener conto del paesaggio e della distruzione di alcuni parchi o antiche costruzioni.
Interrogando i nostri contatti locali, tutti sono concordi all’unisono: è uno scempio voluto dai loro politici per arruffianarsi i capitali stranieri ed una eventuale entrata nell’EU.
Mi inoltro per il bazaar, transito in visita al noto ristorante Kalabria, saluto Giorgio Castriota Skanderberg immortalato in una statua a cavallo e raggiungo il vero obiettivo della mia pomeridiana: il mercato.
Voglio respirare e vivere la volgarità pura, la volgarità che pian piano sta sparendo dall’Europa e quale mercato più si addice a ciò se non quello di Skopje? Mi butto a capofitto nei sui stretti vicoli, mi faccio largo tra gli ortaggi, sfondo penzolanti vestiti esposti, sfioro obsoleto materiale elettrico, osservo vecchi cellulari, salto la frutta, contrasto con il popolo di origine albanese, scanso carretti trasportanti carcasse di animali da macello, respiro i fiori, ascolto i venditori dalle bancarelle improvvisate sui cofani delle loro auto, mi imbatto in schiere di vecchie agli angoli dei marciapiedi, inciampo in tappeti di scarpe, fuoriesco dalla baraccopoli inebriato ed altamente soddisfatto.
Ho dato un senso al mio pomeriggio.
Occupo il restante tempo a disposizione esplorando alcune zone sconosciute e rientro in piazza Makedonija giusto in tempo per il secondo appuntamento in agenda: un vecchio cliente locale.
Temendo azioni sconsiderate, piloto l’incontro in un moderno bar alla moda. Le mie benevoli intenzioni vengono utilizzate alla stregua di carta straccia e vengo tradotto sul fiume Vardar in visita ad uno dei più bei naturalistici lungofiumi, gusto personalissimo, che abbia visitato, a pari merito con quello di Sarajevo.
Sei in pieno centro città ma allo stesso tempo sei in aperta campagna.
Transitiamo sotto lo stadio del Vardar Skopje, la principale squadra di calcio cittadina.
Dalla collina di fronte mi balza all’occhio in maniera inevitabile l’immensa ambasciata americana con un coacervo di parabole, isolata e recintata, occupante l’intera collina. Come a Bratislava, come a Firenze, gli statunitensi necessitano di ciclopici spazi anche a costo di fortificare un pezzo di territorio cittadino che acquistano a suon di cartaccia verde.
La visita nel parco prosegue, come temevo, alla stregua delle mie sortite offensive nel parco Maksimir di Zagreb in gioventù.
Il far della sera aiuta le mie intenzioni eclissatorie e, tramite una mossa di alta ingegneria narrativa, riesco a raggiungere Jena giusto qualche secondo prima di abbandonare la casa per recarsi al concerto di Bob Dylan in compagnia dei nostri amici macedoni in comune.
Rimessomi in sesto e con interessanti prospettive per il futuro serale, mi reco alla ricerca di una soffiata, di una dritta, di un segnale che giunga in aiuto della mia solitaria uscita. Ed il segnale non tarda a raggiungermi: la Cappa negativa.
Sotto le sembianze di un vero e proprio giudizio universale mi coglie in pieno bazaar.
Riparo sotto un cornicione ma ben presto ho l’acqua alla scarpa. Gondole di giovani comunque festanti guadano gli spazi allagati, barconi di fanciulli, scialuppe di salvataggio con signore imbellettate, tender di maschioni, gommoni di coppie avvinghiate transitano davanti il torrente appena formatosi nella mie adiacenze.
Il castigo dura poco più di un’ora. Per una intera ora Skopje viene scalfita dalla prepotente pioggia.
Quando già sto per meditare l’abbandono a nuoto verso casa, giungono in soccorso Jena e la coppia di nostri amici.
Tramite i buoni uffici di Jena, derivanti da vecchi affari in società che annoveriamo in città, siamo stati scritturati per un festino privato nella periferia della capitale.http://www.on-the-road-again.it/administrator/index.php?option=com_content&sectionid=6&task=edit&cid[]=111
Mai campo di gioco più adatto alle nostre caratteristiche tecniche.
Il terreno si presenta subito in ottime condizioni, gli avversari degni di nota, il pubblico in stile Roland Garros e si entra in scena con il per molti superato schema di gioco dell’”italiano minchione” che tante soddisfazioni ha regalato in passato.
D’altronde anche Trapattoni continua a riproporre e a vincere col suo “catenaccio” nonostante sia oramai considerato dai sofisti uno schema da albori del calcio.
Tempi regolamentari, tempi supplementari, rigori, rigori ad oltranza, solo il lancio della monetina ci obbliga a lasciare per ultimi il rettangolo di gioco. Scortati dal cinguettio degli usignoli mattutini, in taxi, raggiungiamo il nostro burekkaro di fiducia, già vicino di casa, dove consumiamo un pasto frugale scambiando quattro chiacchiere in serbo con la cammarera callarona, già conosciuta in precedenza, sempre più esaltata dalla nostra visita in città e dalla nostra conoscenza elementare della lingua.
Morfeo ci accoglie a braccia aperte.

LUCA PINGITORE

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