Ossezia del Sud 2016

IMG_0230

Si intravede la luce all’ uscita del lungo tunnel, la vista si allarga e si apre la spettacolare vallata che scende verso il centro del piccolo stato caucasico e poi prosegue giù fino alla sua capitale. Una strada a serpentina perfora l’ intensissimo verde che colora le pendici delle montagne e regala in questo angolo di mondo delle sensazioni uniche.
L’ essenza della Natura Bucolica è qui, nei pochi chilometri che separano il tunnel d’ entrata nel paese con il villaggio di Ruk e lo spartano check point che delimita il punto d’ accesso ufficiale nella Repubblica dell’ Ossezia del Sud.
Con la mente torno indietro di qualche mese quando mi immersi in questo spettacolo naturalistico con
l’ intenzione di superare la frontiera. Mancavano dei documenti ed insieme al mio compagno di viaggio fummo gentilmente respinti dai giovani militari di guardia.
E’ da allora che è rimasta indelebile nella mia testa questa immagine dello scenario che accoglie il villaggio di Ruk e la sua frontiera. Un chiodo fisso da allora, quello di tornare a godere dello splendido paesaggio e poter riuscire a visitare uno degli stati più piccoli d’ Europa con il quale ero già entrato in contatto nel 2008.
Una sorta di destino o magari solo una coincidenza quella che porta ad interessarmi con sempre maggior interesse alle vicende di questo stato. In quel periodo mi trovavo più a sud, in viaggio dall’ altra parte del confine, per pura causalità proprio nei giorni a ridosso della guerra. Guerra, un termine che è sempre accompagnato da una forte propaganda mediatica la quale spesso àltera e distorce la realtà della situazione in essere a piacimento di chi riesce a far passare la propria versione della verità. Verità che magari il più delle volte non è mai una ma solo quando ti trovi faccia a faccia con i fatti riesci a comprenderli e ripulirli della sporcizia della propaganda.
Il viaggio in auto da Vladikavkaz è un remake del precedente di alcuni mesi fa.
Dal bivio di Alagir lo scenario cambia e le imperiose montagne dell’ Ossezia, lato nord, ti si stagliano di fronte. Subito dopo Tamsik, San Giorgio, immortalato in un enorme scultura sospesa nel vuoto su un costone di una montagna ti indica la strada. Pochi metri più avanti è invece Stalin, in una delle sue rarissime statue ancora in piedi e tutte nella zona, che ti guarda proseguire il viaggio verso Mizur, un paesino dall’ architettura sovietica in un angolo sperduto di montagna.
Un ultimo posto fisso di controllo della milizia stradale, uno dei tanti che si trovano per le strade della Russia, offre il lasciapassare per l’ ultimo avamposto russo verso l’ Ossezia del Sud: la frontiera vera e propria.
La precedente volta da questi parti, oltre al solito lungo controllo amministrativo tipico in frontiere che vedono molto raramente viaggiatori o stranieri, fui sottoposto ad interrogatorio da parte dei servizi di sicurezza nazionali.
Straniero in una frontiera isolata ed inusuale e con vari timbri e visti sul passaporto che potevano attirare una certa attenzione. Come quella volta in Kosovo, prima del riconoscimento ufficiale dello stato da una parte della comunità internazionale, quando mi accingevo ad attraversare il ponte che divide in due, parte albanese e parte serba, la cittadina di Kosovska – Mitrovica ed il militare della missione UNMIK che controllava la zona diede il suo assenso al passaggio: “Tourist? Why not…”, cercando di auto-convincersi della nostra totale estraneità a temi diversi da quelli strettamente da viaggiatori.
Questa volta la sosta alla frontiera lato russo con l’ Ossezia del Sud, seppur molto meticolosa, non mi offre la possibilità di un secondo interrogatorio. Vengo però fatto accomodare in una spartana stanza dove un militare registra il mio passaggio. A futura memoria?
Ed eccomi al villaggio di Ruk, che presenta tante affinità con il villaggio sperduto nelle montagne dell’ Altaj kazako dove sostammo per qualche ora prima di proseguire il nostro viaggio, fermo alla sbarra d’ ingresso della piccola Repubblica. Godo della vallata, guardo con più attenzione la grande scritta “spasibo Rossija che campeggia su all’ inizio della discesa e rivolta proprio verso il versante russo in segno di eterna gratitudine per aver salvato il popolo sud osseto da un possibile sterminio e non lontano da essa la costruzione oramai in disuso del vecchio motel , tipica cattedrale nel deserto ed oramai assunta ad esempio di archeologia architettonica.
Questa volta ho i documenti in regola: entro ufficialmente in uno degli stati che concede permessi
d’ ingresso a stranieri in maniera molto centellinata.
Anche il mio operatore telefonico mi da il benvenuto con il solito sms quando si arriva in un nuovo paese. Solo che la compagnia telefonica italiana è rimasta un po indietro con i tempi. Mi da infatti il benvenuto in Georgia.
La strada prosegue verso Tskhinval, la capitale.
Prima di arrivarci, però, è ovviamente d’ obbligo sostare in uno dei numerosi ristoranti rustici disseminati sulla tratta. Sorta di autogrill locali dotati di salette riservate che invece di offrirti camogli e coca-cola ti preparano sotto i tuoi occhi enormi shashliki di carne alla brace, accompagnati da pirogì, le tipiche focacce ossetine ripiene di dzhingka (formaggio locale), patate o erbette, e poi insalate, salsicce anche esse cotte alla brace, trote, il tutto innaffiato da ottimo vino della casa e le classiche, da queste parti, bevande alla menta o alla mela.
Una goduria per il palato, magari un po meno per la linea. Ma in Ossezia ci sono ora, meglio mangiare queste delizie che poi rimpiangerle in Italia davanti ad una gustosa pizza.
Satollo senza il senso della misura ( e sarà così per tutta la mia permanenza in loco) è d’ obbligo abbeverarsi per digerire forse alla più famosa fonte d’ acqua gassata della zona, la fonte di Baigata. L’ acqua sgorga direttamente da una roccia rosso ocra nel terreno e ricorda per sapore l’ acqua di Borjomi, situata qualche centinaio di chilometri più a sud in territorio georgiano e molto famosa ai tempi dell’ Urss. Lo faccio notare con molta timidezza ai miei accompagnatori, cercando di non incorrere in qualche gaffes di diritto internazionale, e mi viene risposto, uscendo dall’ empasse con molta dimestichezza, che Borjomi però viene oramai lavorata con l’ aggiunta di additivi chimici. A detta loro.
Giungo finalmente a Tskhinval, la vecchia Staliniri, la capitale collocata proprio sulla linea di confine con la Georgia e fonte proprio questo di drammatici problemi non solo in passato.
Non essendo molto grande, si riesce a prendere subito confidenza con Tskhinval, la “Città degli Eroi”.
Le vie centrali, la piccola chiesa di Maria, il monumento a Pushkin, le stradine sconnesse della Tskhinval vecchia, la storica bettola della birreria cittadina dall’ arredamento spartano ed antico dove già dalla mattina un paio di vecchi ed oramai nullafacenti si fanno versare della birra artigianale alla stregua delle cantine oramai quasi del tutto sparite del sud Italia, il memoriale a caduti nella guerra del 1991/92, il funzionale stadio adagiato su una sponda del fiume Liakhvi non lontano dal memoriale della Grande Guerra con la fiamma eternamente accesa, il Museo Nazionale, il “ponte vecchio”, il parco pubblico, i moderni edifici del Governo e del Parlamento ricostruiti dopo i bombardamenti del 2008.
Il 2008, l’ anno più drammatico della storia della piccola Repubblica.
La città rischiò di essere rasa interamente al suolo essendo stata invasa nottetempo da carri armati ostili che iniziarono a sparare su tutto quello che si trovavano di fronte. Molte delle notizie che in quei giorni arrivavano da noi riguardo questo guerra-lampo erano spesso travisate. Io ed i miei compagni di viaggio ce ne rendemmo conto, come accennato, trovandoci in viaggio al di qua del fronte. Ora mi trovo, invece, sul terreno protagonista di quei drammatici giorni e nonostante fossi al corrente di versioni dei fatti differenti da quelli fatti trapelare verso l’ opinione pubblica “occidentale” mi rendo ancor di più conto che la realtà è stata davvero più tragica.
I carri armati entrarono in città con violenza dal viale intitolato agli Eroi Caduti nel 1991/92, beffa del destino, ed iniziarono a bombardare i primi blocchi abitati. A cadere subito furono un negozio di generi alimentari ed uno attiguo di mobili, mai più riaperti ed rimasti un po il simbolo di quelle ore. I tanks avanzarono sparando a destra e a manca senza curarsi del fatto che si trattavano tutte di abitazioni civili. Arrivarono comunque fino al Palazzo del Governo ed al Parlamento, distruggendo anche quelli. Ascolto le tristi storie di quella notte, quella tra il 7 e l’ 8 agosto 2008 dai diretti protagonisti, da chi ha avuto le proprie case bombardate e che è riuscito a sopravvivere a quelle bombe per miracolo. Cosa che magari non è riuscita a congiunti stretti nel maggio del 1992 durante lo “stato di guerra” precedente che durò per circa due anni.
Tskhinval oggi, nonostante sia trascorso del seppur pochissimo tempo presenta ancora i segni di quei momenti.
Quasi tutti i palazzi, comunque quelli che non sono stati ricostruiti o più che altro restaurati, sono crivellati di colpi d’ artiglieria. Come nella Krajna croata, Sarajevo, Vukovar, Mostar anche Tskhinval mostra questi macabri segni sui palazzi che riportano ad una guerra e ad un passato ancora presente. Non mi aspettavo di ritrovarli anche qui tra le montagne del Caucaso ed immaginandomi lo sferragliare dei carri armati in città mi chiedo quale fossero i progetti di quella invasione: raderla al suolo? Penetrare in una città piccola come la capitale ossetina, una località il cui intero territorio si attraversa in un lasso di tempo esiguo, ed iniziare a sparare su tutto quello che si trova davanti non può avere nei piani niente di diverso dalla mia supposizione.
Tskhinval mostra anche gli effetti dell’ essere la capitale di uno stato completamente montuoso e già quindi di per se dalle vie di comunicazioni difficili ma anche quelli di trovarsi in un territorio chiuso dall’ esterno che presenta un accesso al suo interno controllato e dosato e con
un’ unico punto d’ entrata.
I maggior contatti, ovviamente, sono con la Russia con la quale c’è un rapporto di profonda stima, amicizia e riconoscenza. Ma qui siamo in Ossetia non in Russia. Ed è quello che tutte le persone con cui avrò a che fare durante il mio dorato soggiorno in loco mi faranno intendere. Ad iniziare dall’ uso della lingua, l’ osseto che tutti parlano fluentemente tra di loro e che appare nelle iscrizioni ufficiali e sulle insegne delle strade, scritte in doppio idioma: osseto e russo. In molti ambiti dipendono dalla Russia ma loro sono l’ Ossetia. E questo lo rivendicano da decine di anni e con l’ indipendenza che vogliono far riconoscere da tutta la comunità internazionale. A questo proposito mi informo in giro anche sul presunto e prossimo referendum che si dovrebbe tenere e che potrebbe portare all’ annessione con la confinante Russia. Praticamente tutti quelli che sento, campione comunque non esemplificativo, mi rispondono che sarebbe meglio restare indipendenti: hanno lottato per lungo tempo per poter diventare uno stato autonomo, se si annettessero alla Russia sarebbero solo una regione periferica della vastissima Federazione. E loro comunque, ribadiscono, sono ossetini. E non si trovano caratteri di altre culture in giro se non quelle delle antiche Torri e Fortezze appartenute al popolo degli Alani e disseminate in giro per l’ impervio e meraviglioso territorio. Del periodo sovietico si trovano, invece, alcune forme d’ architettura e dei piccoli memoriali anche essi disseminati nei posti più impensabili o qualche statua di Lenin, come quelle a Kvaisa o a Znaur. Di tradizione prettamente georgiana in Ossetia del Sud se ne trova poca traccia se non in alcuni numeri civici delle vie, in alcune terrazze di legno tipiche di case oramai abbandonate o nell’ unico, forse, cartello stradale nascosto sul ciglio di una strada di campagna e reso quasi illeggibile dall’ incedere del tempo che presenta ancora le scritte nell’ alfabeto usato dal poeta Rustaveli.
A dispetto di ciò che si possa pensare, l’ Ossetia del Sud, presenta però una mentalità aperta verso la Georgia della quale era una Regione Autonoma. La maggior parte dei georgiani si sono trasferiti, per ovvie ragioni, al di la del confine ma i due popoli dopo numerosi anni di convivenza presentano molte interconnessioni. A partire dai matrimoni misti, i quali ancora oggi, nonostante tutto, restano in essere.
O come il passaggio, nell’ esiguo numero generale di stranieri che riescono ad avere la fortuna di poter visitare il paese, di turisti georgiani che decidono di concedersi delle escursioni da queste parti.
Nell’ agosto del 2008, a Tblisi, nel pieno svolgimento della guerra, alcuni nostri contatti ci dissero a riguardo che trattavasi solo di “una guerra politica”. Perché dovevano avercela con russi, osseti ed abkhazi se fino a quel momento avevano convissuto insieme per decine di anni e si erano creati tra di loro forti vincoli anche parentali?
Una considerazione, questa, che mi viene fatta anche in Ossetia del Sud.
E che mi sarebbe piaciuta ascoltarla in maniera più diffusa e più forte anche in Ukraijna negli ultimi tempi.
Incedo per le strade cittadine della capitale che mi regala della sensazioni uniche. Per prima cosa
l’ inenarrabile ospitalità della sua popolazione dalla quale mi sento trattato come un prezioso ospite di riguardo in ogni momento.
Sono l’ unico straniero in città, in una città che per certi aspetti, di notte, mi riporta a Pristina, la capitale del Kosovo, dove dopo una certa ora si incontravano raramente delle persone e saltava la corrente elettrica con i più fortunati che potevano ovviare a ciò con i generatori a benzina. Non è così problematica la situazione a Tskhinval ma in fondo è praticamente una grande cittadina dove i pochissimi ristoranti chiudono alle 23, le strade si svuotano anche prima ed in alcuni punti sono presenti dei black out elettrici. Black out elettrici a parte, potrei trovarmi anche a Tiraspol in effetti.
E proprio a Tiraspol mi imbattei per la prima volta in un ufficio di rappresentanza dell’ Ossetia del Sud e dell’ Abkhazia. Come qui a Tskhinval si trova quello dell’ Abkhazia stessa e l’ ambasciata russa, uniche diplomazie estere presenti in città.
La capitale è, in alcuni punti, a pochissimi metri dal confine con la Georgia e proprio in uno di questi punti che mostra la sua forza una base militare posta a difesa del territorio.
L’ Ossetia del Sud non è, però solo Tskhinval che è anzi, forse, la località meno rappresentativa della bellezza clamorosa del suo territorio.
I ghiacciai innevati sono li, quasi a portata di mano. Sono immerso nella catena montuosa del Caucaso e vengo accompagnato in delle escursioni incredibili su terreni sconnessi e corsi d’ acqua percorsi a bordo di un fuoristrada come se fosse un impermeabile mezzo anfibio. Avevo avuto una esperienza simile sugli Altaj proprio nell’ angolo di territorio dove il Kazakhstan incontra la Russia, la Cina e forse la Mongolia.
Ma qui è un’ emozione differente, unica.
Come il raggiungere dopo chilometri di off-road i ruderi di castelli o delle antiche chiese come quella del Tirski Monastir, sospeso nel tempo e nel vuoto ed emanante una forte sensazione di pace e raccoglimento tra le sue pietre ed iscrizioni risalenti a secoli lontani.
Come il trovarsi spesso davanti mucche, tori, cavalli, maiali liberi e per una volta padroni loro del territorio.
Come sostare sulle rive del lago Ersto che per un effetto strano mi riportano indietro di parecchi anni a sollazzarmi tra i bacini idrici delle montagne della Sila.
Come la piccolissima radura sul fiume, una sorta di piccolissima isola, raggiungibile in jeep solo con incredibili guadi e dopo aver utilizzato il letto stesso del fiume come strada maestra.
Come aver assaggiato delle piante selvatiche ed averle trovate gustose tanto di chiederne una seconda razione.
Come gli entusiasmanti panorami assaporati sulle verdi vallate sottostanti.
Questa è l’ Ossetia del Sud.
Un paese che deve ancora crescere ma che offre già moltissimo rispetto a quello che si potrebbe trovare in vari altri posti.

LUCA PINGITORE

Leave a Reply