Monte Athos 2012

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Erano i faboulos anni ’80 quando, sui banchi di scuola, all’ improvviso, spunta fuori, una località per molti aspetti strana e misteriosa, una protuberanza della Calcidica ed appendice della Grecia: il monte Athos.
Ma cosa ha di strano, in fondo, un monte in Grecia che non sia il mitologico monte Olimpo? Di strano niente, di fiabesco molto.
Il monte Athos è un antichissimo territorio per molti aspetti ancora incontaminato nel mezzo del mar Egeo, laddove in Grecia si estendono le meglio conosciute “tre dita”. Ebbene proprio il “dito” più orientale vanta tutta una storia a se.
La leggenda narra che Maria, la Madonna, insieme a Giovanni l’ Apostolo persero la rotta a causa delle condizioni atmosferiche avverse del mare ed attraccarono alle pendici del monte Athos. Da quei tempi immemori queste terre furono consacrate al culto di Maria e fu vietato l’ ingresso a qualsiasi donna. Molti religiosi, monaci, eremiti nel corso dei secoli si sono alternati su questo particolare lembo di terra divenendo una sorta di repubblica autonoma dai vari stati di cui fece parte, dall’ Impero Ottomano all’ odierna Grecia.
Senza stare a ripercorrerne qui la storia, il territorio della piccolissima penisola è un’ oasi naturalistica dove non vigono le regole dei giorni, delle ore, del tempo. E dove, una mattina di un po di anni fa, decisi che un giorno ci avrei messo piede.

MARTEDI 30 OTTOBRE: Firenze -Milano.
Per una missione del genere, in un territorio ad alta densità religiosa, non potevamo prescindere dall’ avere come compagno di viaggio e guida spirituale nonché referente per gli Affari Religiosi, il Gran Cancelliere , già Cappellano, Perpetuo e Ministro del Culto di Otra al secolo Porcaccia Bidet. Ovviamente la squadra è completato dal sottoscritto e dall’ onnipresente Jena. Alle 23:30 stranamente sincronizzati, io e Porcaccia da Firenze, Jena da Savona ci incrociamo nella stazione centrale di Milano dove il fido Christian è venuto a recuperarci offrendoci un giaciglio per la notte. Tra noi in partenza ufficialmente per la Grecia e Christian per Mosca le chiacchiere non si sprecano davanti ad ottime prelibatezze alcoliche giunte dalle varie riserve personali. Si tira tardi un po esaltati ma quando la compagnia è buona il tempo resta fermo. E per noi resterà cristallizzato per altri quattro giorni.

MERCOLEDI 31 OTTOBRE: Thessaloniki – Ouranopoli.
Con buona lena raggiungiamo l’ aerodromo di Orio al Serio dal quale salpiamo per il capoluogo della Macedonia greca: Thessaloniki.
Sono giorni festivi e l’ aerostazione è completamente overbooking tanto che la fila per i gates raggiunge le porte di accesso esterne. La pazienza è nostra alleata e ci mettiamo in coda trascorrendo il tempo a notare le varie tipologie di viaggiatori. Il nostro volo, a differenza dei soliti per l’ Europa orientale è prevalentemente composto da famiglie, signori di mezza età, qualche giovane studente ellenico che rientra a casa per alcuni giorni.
I grupponi di maschioni italici si sbraneranno l’ un l’ altro in Polonia od Ungheria, noi ci sollazzeremo al clima mite e dal sapore antico del monte Athos. Approdati a Thessaloniki scommettiamo con il tempo. In 30 minuti dobbiamo abbandonare l’ aeroporto, raggiungere la stazione dei bus per la Calcidica, acquistare i biglietti, prendere il pullman al volo. Siamo sfiduciati ma ci proviamo lo stesso, tanto comunque l’ autostazione va raggiunta. Affittiamo un tassista e la sua Mercedes intimandogli di seguire un auto immaginaria in maniera tale che egli sferzi i cavalli tedeschi all’ impazzata. Come a Warszawa, come a Sofija ancora una volta una corsa contro il tempo. Ma quale tempo? E’ già da ieri sera che il tempo sembra scorrere lento e fermarsi sempre di più. Agguantiamo la secondaria stazione cittadina dei bus , adagiata nell’ area industriale, con sufficiente anticipo sulla partenza del nostro pullmanaccio. Ai nastri di partenza non esistono binari, qui basta sostare sul piazzale ed aspettare il tuo collegamento come un qualsiasi bus urbano. Ci accaparriamo i nostri posti e via verso l’ oriente greco. L’ Armavir – Nalchik, l’ Ayagoz – Ust-Kamenogorsk, i bus in Albania, l ‘ Herceg Novi – Budva, il bus per la trasferta ultras del Cosenza ad Avellino nel 1995, il nostro automezzo si attesta nelle prime posizioni della classifica dei pullman più volgari della storia.
Il viaggio dura circa tre ore ma nessuno le sente, neanche l’ orologio.
Il paesaggio fuori scorre lento e, come avvenne durante il mio primo giro da queste parti, ancora una volta mi attanaglia quella sensazione di dejavu, di conoscenza dei luoghi, di averli vissuti, di esserci nato. Ne sono sempre più convinto, la Grecia è la prosecuzione naturale e naturalistica della Calabria, della Calabria jonica, della Magna Grecia. Anche se qui già ci troviamo nella Macedonia, nella Calcidica ma le assonanze del territorio, delle architetture, dell’ accogliente stile alla rinfusa di uomini e luoghi sono tante. I colori, le conformazioni, le usanze che si estrapolano dal paesaggio sono del tutti simili alla Calabria che c’ era e che sta scomparendo, quella dei compianti anni ’80. In fondo, non molti secoli fa, facevano parte entrambe della stessa civiltà.
Man mano che ci si inoltra verso oriente e verso il territorio consacrato a Maria ed alla religione ortodossa si nota come la stessa impregna il popolo. Ogni giardinetto, ogni orticello, ogni casa, ogni azienda, ogni boschetto mostra la sua fede con una sorta di altarino a forma di chiesa bizantina. Da altarini della grandezza di una casa di bambole si passa a quelle più grandi come cucce per cani fino ad arrivare ad altezza di forni a legna per pizze o vere e proprie chiesette per nani. Ma ognuno consacra a Dio un angolino del suo terreno.
A metà pomeriggio attracchiamo nell’ ultimo avamposto greco prima del confine con la regione speciale e semi autonoma del monte Athos: Ouranopoli, il villaggio campo – base da cui bisogna partire per raggiungere il territorio del Sacro Monte. E da cui inizia ufficialmente la nostra spedizione. Il paesino si presenta piccolo, spoglio, lontano nel tempo. La strada maestra è tutto un susseguirsi di negozi di icone sacre, souvenirs religiosi, souvenirs dell’ Athos e dei suoi monasteri, di oggetti legati all’ arte sacra. E’ fine ottobre, non è freddo ma si avverte una certa malinconia. La stessa che ti sale al cuore quando passeggi per le stradine di un qualsiasi villaggio ubicato sul mare in inverno. Molti affittacamere ed un paio di pseudo hotel però lasciano intuire che questo posto non è mai vuoto o disabitato in quanto è l’ unico punto di partenza per l’ Athos e migliaia di pellegrini da tutto il mondo ortodosso ci passano almeno una volta nella vita. L’ Athos in fondo è come La Mecca per i musulmani o il Vaticano per i cattolici. E tutto questo fiorire di pellegrini lo noti dalle scritte, da alcune bandiere esposte, da qualche targa d’ auto, dagli idiomi ascoltati in giro. Ouranopoli e poi vedremo anche il territorio dell’ Athos, non è solo Grecia. E’ anche Russia, Ukraijna, Bulgaria, Serbia, Romania.
C’è un po aria di casa per noi, aria di est, aria di volgarità.
Senza grosse difficoltà ci attestiamo nella nostra accomodazione già prescelta dall’ Italia. Per circa 15 euro a testa noleggiamo una piacevole stanza in una sorta di hotel a conduzione familiare gestito da una famiglia composta da una sola persona: una signora che si presenta a nome… Marulla. Marulla? Come Gigi? La mitica bandiera del Cosenza calcio 1914? La signora si chiama di nome col cognome del bomber? Il padre sarà stato un fan dei rossoblu? Davanti ad una tazza di benvenuto di caffè greco e non turco, come tende a sottolinearci l’ omonima di Gigi, la mia mente dipana il mistero e ne insinua uno più forte. L’ albergatrice si chiama Marula (con una sola L), nome comunque diffuso in Grecia, derivante da quello dell’ eroina Marula di Lemnos che lottò alla strenua contro i turchi per salvare la sua città. Quindi il nome Marula con Marulla il calciatore non c’ entra niente. Oppure si… Marula di Lemnos, Gigi Marulla, nato a Stilo in Calabria antico insediamento della Magna Grecia, sede di una importante Cattolica ortodossa bizantina… ma no, i tempi storici non tornano… o magari si…
Il caffè alla greca nel frattempo è terminato e mi risveglio dai miei pensieri nel frastuono delle risate e delle battute che il nostro Ministro Religioso Porcaccia Bidet sta affrontando con la vecchia Marula. Sembra ci sia feeling tra i due anche se il disavanzo d’ età è notevole. Ma Jena ed io siamo per la vecchia signora inesistenti, lei ha di fronte solo Porcaccia. Anche quando siamo noi a porgli delle domande lei risponde rivolgendosi esclusivamente alla nostra guida ecclesiastica. La sceneggiatura di “Non ci resta che piangere”, con Benigni e Troisi nella parte di Mario sembra esser nata qui ad Ouranopoli.
Pettinati alla meno peggio, vista l’ alta densità di uomini e la bassissima percentuale di donne, ci buttiamo alla ricerca di una trattoriaccia in cui poter finalmente gustare dei piatti locali. Il presunto lungomare si slarga con tutta una serie di ristoranti uno attaccato all’ altro, segnale di una discreta attività locale in estate ma semi deserto in questi giorni. Gruppi di maschioni pellegrini sbafano lo sbafabile in attesa di traghettare l’ indomani per Agion Oros, il nome greco del monte. Da viaggiatori esperti ci lasciamo sedurre da un cammarero albanese parlante italiano che, davanti a souvlaki e birra, ci presenta altri suoi conterranei e sviluppiamo una discussione intuendo che qui, ad Ouranopoli, la manodopera è tutta costituita da forze immigrate dall’ Albania. Il cammarero epiro ci saluta con un sibillino “arrivederci a domani a pranzo”.
Ed anche qui in Grecia, sul mar Egeo, in Calcidica, come in moltissime tappe del nostro vecchio giro nella terra di Skanderberg si prospetta il dover andare a letto presto. Non c’è assolutamente niente da fare, il tempo scorre lento ed a tratti, fuori non c’è nessuno, solo un paio di ristoranti che stanno già chiudendo mostrano delle luci. Ci concediamo una esaustiva passeggiata, soffermandoci sotto il luogo simbolo del paesino, una antica Torre Bizantina che lo rende visibile da lontano dall’ orizzonte marino. Optiamo per tornare nella nostra accomodazione e riposarci in previsione della levataccia dell’ indomani quando un presunto abbandonato pub o almeno simil tale, ci invoglia ad entrare diffondendo dal suo unico televisore una partita del campionato italiano di calcio: Juventus – Bologna. Unici avventori del locale, costringiamo i gestori ad un surplus rispetto l’ orario di chiusura abituale.

GIOVEDI 1 NOVEMBRE: – Ouranopoli.
Il galletto calcidico ci butta giù dal letto all’ alba. Lasciamo la stanza e salutiamo con poca attenzione la vecchia Marula, tutti eccitati di non far tardi al ritiro del Dhiamonitirion ed all’ imbarco per il monte Athos. Corsi in strada, una sferzata di pioggia mista a vento ci dà il buongiorno, il tempo non è dei migliori ma nulla turba il nostro buonumore e nulla lascia presagire l’ arrivo di una vecchia quanto indesiderata compagna di viaggio: la Cappa negativa. Ci ripariamo dalle intemperie nell’ ufficio addetto al rilascio del Dhiamonitirion, il documento, il lasciapassare, una sorta di visto che ci concede l’ ingresso al Sacro Monte. Le procedure di rilascio sono alquanto veloci poiché avevamo prenotato il “pass” già da mesi. Per i non ortodossi, infatti, vige la regola dell’ accesso limitato al Monte. Solo un numero predefinito all’ anno ed al giorno di visitatori eretici può varcare il confine della penisola ortodossa. Questo costringe il viaggiatore ad organizzarsi per tempo e a stabilire con esattezza il giorno di arrivo e di partenza. La regola concede al massimo cinque giorni di sosta estendibili però, in alcuni casi e su richiesta dell’ interessato, una volta in loco. Essendo quindi già prenotati per questa mattina, il rilascio del Dhiamonitirion risulta rapido, previo pagamento della tassa di 30 euro. Con il prezioso lasciapassare in tasca ci affrettiamo alla biglietteria del traghetto per l’ Athos. La pioggia scende e stranamente notiamo l’ ufficio semi sederto. Il mistero è presto svelato: oggi non partirà nessun traghetto per Agion Oros a causa di vento e pioggia.
Siamo increduli ! Che disdetta !
Oltre al danno di dover tagliare un giorno, in base ai nostri programmi, di permanenza all’ Athos la beffa di dover restare altre intere 24 ore in questo villaggio fantasma. La Cappa negativa, anche questa volta, ci ha concesso un esaltante scherzo.
Proviamo a riordinare le idee in un barraccio in zona da dove, all’ improvviso, spunta a servirci il già noto cammarero albanese. Ci viene in mente la sua profezia della sera prima, gli mandiamo qualche impropéro. Non c’è niente altro da fare che non fare niente per tutta la giornata. Ci sentiamo un po come i vecchi patrioti italiani di fine ‘800 mandati al confino in sperdute località dove godevano tutta la libertà di non fare niente. Come primo passo rientriamo dalla vecchia Marula che per intercessione del nostro Cappellano Porcaccia, oramai sempre più nelle sue grazie, ci riconcede la stanza della sua pensione per una notte ancora.
Piove e tira vento che fare? Una leggenda narra che il confine terrestre tra la Grecia vera e propria ed il monte Athos è ubicato a pochissimi chilometri fuori dal piccolo centro abitato di Ouranopoli. Da vecchi appassionati di frontiere e sfondamento delle stesse, optiamo per cercare questo confine e visitarlo. L’ impresa si mostra più difficoltosa del previsto, il vento ti ricaccia indietro e la pioggia ti concede una doccia gratuita. Purtroppo dopo uno scarso tentativo, l’ armata Brancaleone di Otra nulla può contro il maltempo e la Cappa negativa che lo comanda.
Il pio religioso Porcaccia, a questo punto, decide di prendere in mano le operazioni e ci conduce nell’ unica chiesa, ortodossa bizantina ovviamente, del paesino. Chiederà la Grazia.
Chiesta la Grazia e visitata l’ unica cosa diciamo degna di nota del luogo, Torre Bizantina a parte ma non visitabile dall’ interno, non ci resta che accomodarci nella nostra magione dorata. E’ ancora tarda mattinata, il tempo non scorre mai. Chi dorme, chi legge, chi fuma, chi nota un movimento strano. Da alcuni fogli presi in visione in segreto dal tavolo della vecchia Marula e poi confermataci dalla stessa, la stanza di fianco la nostra è presa in affitto per la durata di una settimana da una misteriosa signora proveniente dalla Repubblica Ceka. Marula ci confida che due loschi figuri russi l’ hanno parcheggiata nella sua pensione e l’ accompagnano o la requisiscono a svariate ore del giorno e della notte, spesso rinchiudendosi tutti e tre nella stanza stessa. Di provenienza ceka per una settimana ad Ouranopoli in autunno con due personaggi che la gestiscono, i pensieri sui motivi si infittiscono. Il giallo non viene risolto. Neanche quando l’ indomani rivedremo il trio alla nave con la signora che, ovviamente, resterà sulla banchina di Ouranopoli mentre i due russi salperanno con noi verso il Monte.
La giornata trascorre in totale lentezza e nullafacenza alternandoci tra il letto, il cesso, il balconcino e la trattoriaccia sottostante che non vedeva un cliente italiano dai tempi di Santorre di Santarosa durante i moti insurrezionali ottocenteschi. Lo scemo del villaggio è oramai nostro amico e ci apostrofa sempre con frasi in greco stretto con l’ unica parola comprensibile risultante quella di “Berlusconi”.
La pioggia, il vento, il camino acceso, il souvlaki, la feta, l’ ouzo riempiono una parte della nostra giornata nel fantastico mondo dell’ ozio.

VENERDI 2 NOVEMBRE: Monte Athos.
Il gallo della Calcidica, questa volta, cinguetta. E’ il segno che la Cappa ha abbandonato il campo, tanto il suo intento l’ ha realizzato, quello di scombinarci i piani. Alla buon’ ora, quindi, abbandoniamo, questa volta in maniera definitiva il nostro giaciglio del campo base e ci affrettiamo all’ acquisto dei biglietti del battello. Ovviamente, quest’ oggi, la fila c’è ed è composta da soli uomini, pellegrini e monaci ortodossi tutti in coda molti in attesa dal giorno precedente, come d’ altronde lo siamo noi. Assicuratoci un posto in nave, ci concediamo l’ attesa in un barraccio vista attracco del traghetto. L’ unica cammarera, albanese e parlante italiano anch’ essa, stride con la numerosa presenza maschile che occupa gli spazi della bettola. Fattasi l’ ora dell’ imbarco, ci si ingorga sul pontile di cemento utilizzato come porto per il battello che ci porterà al tanto agognato monte Athos.
Una fila di automezzi, fuoristrada e camion carichi di materiale, si incanalano sullo stretto ponte ingarbugliati con il centinaio di maschioni ortodossi anelanti il monte Sacro. Il ponte è colmo di uomini e bagagli, gli automezzi sono nella pancia del traghetto, i numerosi monaci sono assiepati sotto coperta, i pellegrini ed i tre turisti italiani si accomodano invece sul ponte più alto. Il capitano fischia, il mozzo molla gli ormeggi, il portuale ritira la passerella, la signora ceka saluta i suoi due mentori russi dalla presunta banchina. La giornata, a dispetto di ieri, è splendida. Una placida giornata primaverile con un mare che ti chiama alla stregua delle sirene di Ulisse, i gabbiani volteggiano leggiadri nell’ aria e scendono in picchiata a raccogliere qualche tozzo di pane che alcuni viandanti gli porgono tendendo il braccio. La navigazione è piacevole e dopo pochi minuti eccoci sfondare il confine. E’ la seconda volta che proviamo l’ emozione di sfondare una frontiera via nave. Qui è quasi simbolica, l’ altra volta fu più reale passando dall’ Ukraijna alla Russia.
Sul ponte l’ idioma greco si mescola a quello bulgaro, al russo, all’ ucraino, al rumeno, al serbo. Il nostro italiano stona. Le penisola, il dito che ospita all’ estremità della sua punta il monte Athos, appare in tutta la sua bellezza e asperità. Il mare a destra, il promontorio a sinistra. Il verde delle montagne scivola già nell’ azzurro del mar Egeo. Il battello vira a sinistra e raggiunge l’ attracco del monastero di Dochiariou, incastonato sopra la montagna. Un manipolo di pellegrini scende. Ripartiamo e via via attracchiamo ai moli di altri monasteri come quelli più famosi di Xenofonte e di Pantalemon. Perle di architettura ortodossa a picco sul mare. Scorre circa un’ ora di lenta e piacevole navigazione, un’ ora che potrebbero esser stare due o magari mezz’ora. Chi lo sa? Finalmente si intravedono le quattro costruzioni di Dafni, il villaggio che serve da approdo per l’ Agion Oros.
Gli automezzi del traghetto si mettono in moto, gli omaccioni si accalcano a prua ansiosi di scendere e toccare il Suolo Sacro. In pochissimi istanti la nave attracca e si completa lo sbarco. Due pullman già con i motori rombanti attendo i pellegrini e li caricano in men che non si dica. Non resta altro che una povera marshrutka per noi e qualche altro ritardatario. Ci inerpichiamo su per la strada sterrata e viaggiamo per circa mezz’ora su quella che prima era una mulattiera. Raggiungiamo Karyes, la capitale più piccola del mondo. La marshrutka ci abbandona nello spiazzo principale dove un clamoroso via vai di pellegrini e monaci sono indaffarati ad acquistare scorte nei piccoli negozietti o a recuperare un passaggio per il monastero in cui andranno a trascorrere qualche giorno. Noi ci godiamo la scena con calma e visitiamo il minuscolo agglomerato di costruzioni da cui partono le strade per i vari monasteri e sede del “governo” del monte. Oltre ad una sorta di “Cattedrale” ortodossa intorno alla quale sono raccolte le poche costruzioni. Il posto regala una sensazione di calma nonostante il movimento di uomini e mezzi che in meno di mezz’ora termina. Si sono dileguati praticamente tutti. Noi invece ce la prendiamo ancora con calma e ci concediamo un frugale pasto nell’ unica bettola di tutto l’ Athos. E’ giunta l’ ora che anche per noi di recarci al nostro monastero.
Ma la Cappa negativa che sembrava essersi volatilizzata, riappare ancora una volta. E’ praticamente quasi impossibile raggiungere il nostro monastero a piedi e l’ unico mezzo è una classica marshrutka all’ oscena cifra di 60 euro da dividere in tre.
Ma come? Stiamo scherzando? Il monopolio delle marshrutke è in mano ai russi. Anche in russo stentato non ne vogliono sapere: 60 euro il costo della corsa. Studiamo la situazione e sveliamo il triste arcano, il prezzo della marshrutka è fisso ed in base al monastero varia fino a 90 euro… non importa quante persone trasporti, una o tredici (il massimo) l’ autista deve incassare la cifra fissa. Oramai costernati a pagare una cifra per noi esagerata, ci vengono in aiuto altri viandanti, spuntati non si sa da dove diretti al nostro stesso monastero. Bene, ora si può partire. La marshrutka imbocca una strada sterrata e scende in picchiata verso il mar Egeo, dall’ altro latro rispetto a quello dove siamo attraccati. Circa un’ ora di off road tra mulattiere, attraversamento di cascate, natura semi incontaminata. Nel suo piccolo mi ricorda la sorta di camel trophy che affrontai sulle alture dell’ Altai in Kazakhstan. Costeggiamo il mare, risaliamo in collina, passiamo da una altro monastero e finalmente raggiungiamo il nostro, il monastero di Filoteo, l’ unico che nei giorni precedenti , via fax, ci abbia concesso ospitalità.
Sono circa le 15:00 del mondo reale quando il nostro autista ci abbandona davanti il monastero e sgomma via a ritroso. Il nostro monastero si trova in collina e domina le campagne circostanti ed il mare Egeo fino all’ orizzonte lontano della Turchia.
Oltrepassiamo la soglia d’ ingresso e veniamo accolti da silenzio e deserto. Non c’è anima viva ne voci. Ci inoltriamo seguendo i tre pellegrini greci nostri compagni di marshrutka che si muovono, al contrario nostro in piena sicurezza. E’ evidente che sono abitudinari del posto.
A noi appare infatti un po strana come cosa ma nel mondo ortodosso è buona norma che i fedeli di genere maschile si rechino ad un ritiro spirituale sul monte Athos. Notare centinaia di vecchi, uomini, giovani, qualche bambino di tutte le estrazioni sociali sostare al Monte, seguire le varie liturgie, osservarli pellegrini ti lascia pensare. Nel mondo cattolico è giusto una minoranza l’ uomo davvero devoto e veramente religioso ma allo stesso tempo quanti di questi ortodossi incontrati qui sono ferventi credenti o magari molti di essi non lo fanno esclusivamente perché almeno una volta nella vita devono farlo?
Seguiamo i tre pellegrini e ci inerpichiamo su una scala di legno entrando nella zona del monastero adibito a foresteria per i visitatori. Un vecchio monaco spunta dal buio ed in greco stretto ci indica di registrarci su un grosso librone dove apponiamo i nostri dati. Nel mentre ci indica la nostra stanza nel corridoio e sparisce da dove era venuto. I tre pellegrini greci, lasciati i loro borsoni, si buttano nella chiesa dove sta avvenendo la celebrazione di una liturgia. Lo stesso faccio io mentre Jena e Porcaccia sbrigano alcune proprie incombenze.
Dalla chiesa provengono le preghiere ed i canti, faccio il mio ingresso nell’ antichiesa vera e propria molto timoroso. Non so come comportarmi, mi sento un po fuori luogo, quasi un estraneo. Ma ci pensa un monaco a far sparire subito il mio senso di disagio. Con parole incomprensibili mi fa capire che, essendo io non ortodosso, mi è assolutamente vietato l’ accesso alla chiesa e la partecipazione alle liturgie. Sinceramente non mi aspettavo una mossa del genere. Tra l’ altro, riesco ad intuire che tra poco sarà servita la cena a cui noi tre non saremo ammessi. I non ortodossi non sono degni di consumare i pasti con monaci e pellegrini ma devono farlo a parte. Comunico subito la rivelazione ai miei due compagni di viaggio. Porcaccia Bidet, essendo venuto all’ Athos come Ambasciatore del Dialogo tra le Religioni si sente profondamente offeso e apprende la notizia con altissima delusione. Al suo rientro a Bagno a Ripoli scriverà una lettera di protesta al suo parroco.
Dopo alcuni minuti la liturgia termina e monaci e pellegrini fuoriescono dalla chiesa per recarsi da commensali nella sala da pranzo. Un monaco nota con la coda dell’ occhio l’ orecchino portato da Jena, si infervora e gli intima di levarselo all’ istante. Si apre una porta, Il gruppone vi entra e la porta si richiude. Noi tre restiamo inermi nel cortile senza sapere cosa fare e sentendoci un po di troppo in quel luogo.
Trascorrono circa dieci minuti, la porta si riapre, il gruppo fuoriesce e si disperde. I monaci spariscono per sempre. A parte un paio di sfuggita, non ne incontreremo più all’ interno o nelle adiacenze del monastero. L’ultimo monaco ci concede l’ ingresso alla mensa. Una enorme sala scura ma affrescata, alcuni monaci stanno sparecchiando e riapparecchiando per l’ indomani. Uno di essi ci spinge verso i tre posti a noi assegnati. La cena consiste in un piatto di lenticchie servito in una scodella per cani, tre pomodori, un tozzo di pane ed acqua. Ingurgitiamo in silenzio e timorosi di qualche gaffe. I monaci sistemano la sala in maniera veloce, anche i posti di fianco a noi, mettendoci ansia mista a timore e delusione. Non riusciamo neanche a volgere il nostro sguardo più di tanto altrove che nella nostra scodella. Per i monaci sembriamo trasparenti, non una parola, uno sguardo sfuggevole. Siamo per loro del mobilio. Ci strafochiamo in circa cinque minuti ed usciamo dalla sala dove la tensione finalmente ci cala.
Bene. Sono le 16:30. Abbiamo già cenato e saputo che siamo eretici ai loro occhi. Cosa fare ora per il prosieguo della serata? Ovvio che niente. Ancor meno che niente della giornata persa ad Ouranopoli. Porcaccia si richiude nella sua delusione sotto l’ abside di una antica fontana. Io e Jena passeggiamo nel cortile del monastero, per molti aspetti simile all’ architettura di quelli di Decani e Gracanica in Kosovo, e nella terrazza naturale antistante da cui si domina l’ orizzonte. Alcuni pellegrini fanno gruppetto e conversano tra di loro. Dei monaci neanche più l’ ombra. Sembriamo prigionieri durante l’ ora d’ aria in una galera di un’ isola. Ci sarebbe piaciuto poter conversare con qualche monaco, scoprire la storia, visitare le varie aree del monastero ma niente di tutto questo. Siamo lasciati, pellegrini ortodossi compresi, alla totale libertà ed indifferenza. In pratica chiunque può arrivare ed andarsene senza neanche esser visto. Trascorso il nostro tempo all’ aria aperta essendo le tenebre iniziate a calare e per paura che il grande portone d’ ingresso venga chiuso, ci ritiriamo nella nostra stanza. Ci concediamo un ultimo giro di ispezione e notiamo, infatti, che alle 18:00 qualcuno ha sbarrato il portone d’ accesso. Osserviamo anche un misterioso sacco di juta abbandonato in un angolo: fagioli dal Canada. Strano, i monaci mangiano solo quello che producono; allora cosa ci fanno questi fagioli giunti dalla terra dell’ acero? Un mistero che resterà tale per sempre forse.
Opto per prepararmi a trascorrere una lunga notte e, di rientro dal cesso, mi accomodo anche io nel salottino dove Porcaccia ha iniziato ad instaurare una conversazione con i pellegrini del monastero aiutandosi con l’ unico giovane del gruppo tra l’ altro parlante inglese. Si conversa del più e del meno, dell’ Italia, della Grecia, delle differenti usanze religiose e ci confermano che il monastero che ci ha accolto, questo di Filoteo, trattasi di uno dei monasteri più intransigenti e conservatori dell’ Athos. Rispetto ad altri è quello dove i non ortodossi devono seguire linee differenti rispetto ai pellegrini veri e propri e dove i monaci vivono meno a contatto con le persone.
Già preoccupati su come riuscire a raggiungere l’ indomani Dafni e l’ imbarco per Ouranopoli visto che è già tempo di rientrare, veniamo aiutati dal giovane che ci indica un appuntamento per l’ indomani mattina presto fuori dal monastero, dove un monaco in marshrutka verrà a prendere alcuni pellegrini e potrà condurre anche noi almeno fino a Karyes.
Terminata la piacevole conversazione è il momento di ritirarmi. Sono le 19:00 quando mi infilo sotto le coperte a leggere e ad addormentarmi con il libro in mano. Nessun rumore avvolge il monastero, fuori è buoi pesto e solo la luna si ricorda di illuminare un po la zona. Porcaccia ne approfitta per qualche fotografia notturna da un balconcino del corridoio, Jena gli fa compagnia concedendosi le ultime sigarette della giornata.
Verso l’ 1:00 odiamo dal cortile un monaco cantare annunciando l’ ora dell’ inizio delle liturgie, sentiamo svegliarsi anche gli altri pellegrini e recarsi in chiesa dove tutti si barricano a pregare per più di cinque ore.

SABATO 3 NOVEMBRE: Monte Athos – Thessaloniki.
In orario davvero antelucano ci destiamo. E’ molto presto ma il sole è già alto. Siamo in Grecia. Chiudiamo i nostri zaini e ci rechiamo al luogo previsto per il recupero da parte della marshrutka. Puntuale il monaco autista si presenta e carica noi ed alcuni pellegrini. Percorriamo a ritroso l’ off road del giorno precedente. Con una piacevole sorpresa: una sosta al monastero di Iviron. Un paio di nostri compagni di marshrutka, ucraini, vogliono concedersi una breve visita al monastero. Tutti i passeggeri della marshrutka accettano di buon grado ed in gruppo muoviamo all’ interno di Iviron che ci sembra più bello e forse più amichevole del nostro Filoteo. Mescolatoci al gruppo, un monaco addirittura ci concede di rendere omaggio ad una antichissima icona della Madonna conservata in una stanza sbarrata a chiavistelli nell’ interno sicuro del monastero stesso.
I pellegrini si inginocchiamo davanti l’ immagine e abbozzano delle preghiere. Noi restiamo in disparte a goderci l’ icona e la scena ad alto tasso religioso.
E’ tempo di rimetterci in marcia verso Karyes dove il monaco tassinaro ci abbandona. Il pullman per Dafni parte tra poco. C’è ancora il tempo per concederci chi un caffè, chi una brevissima escursione subito fuori il villaggio. E’ quello che faccio io inoltrandomi per una stradina verso l’ esterno dove posso ammirare con maggior cognizione il paesaggio, il villaggio semi fantasma della capitale, la natura. Rientro in piazza giusto alla partenza del pullman. Che ci scarica al porto già affollato di Dafni. Tutti sono in attesa del battello per Ouranopoli. Che arriva in pochi minuti. Osserviamo lo sbarco dei pellegrini di oggi. Alla mia mente corrono subito le immagini, con le dovute proporzioni ovviamente, dell’ 8 agosto 1991 quando a Bari attraccò il traghetto Vlora proveniente dall’ Albania. Un centinaio di maschioni si accalcano a prua pronti a sbarcare sul territorio sacro dell’ Athos.
Ci imbarchiamo, salpiamo e navighiamo a ritroso verso Ouranopoli con i classici approdi ai monasteri sul mare. Il nostro pullman, l’ ultimo utile, per Thessaloniki, parte circa dieci minuti dopo il nostro attracco al molo. Di conseguenza, non appena intravediamo la Torre Bizantina, ci attestiamo a prua proprio davanti la passerella declinabile che consente l’ accesso alla nave. L’ unico modo per andar via da Ouranopoli è l’ automobile o il nostro bus per Thessaloniki. Non possiamo permetterci di perderlo o veder esaurire i posti a disposizione sotto il naso. Attracchiamo al piccolo paesino greco e approdiamo in stile “sbarco in Normandia” affrettandoci, correndo come ai tempi delle gite scolastiche per accaparrarci i posti migliori, verso il pullman. Arriviamo per primi e ci accomodiamo. Nel giro di cinque minuti il bus è tutto esaurito. Non solo i posti sono esauriti ma anche le menti di qualche passeggero e dell’ autista che ben presto vengono ad un accesissimo scontro verbale e quasi fisico per il gran caldo da forno che versa all’ interno del pullman. Il caldo è insopportabile, gli animi sono ancor più bollenti e a noi comunque scappa da ridere seppur nella tragicità del momento. Non avendo dormito abbastanza in questi quasi tre giorni di ozio e nullafacenza, mi addormento risvegliandomi praticamente nell’ autostazione secondaria di Thessaloniki. Resici conto della quasi impossibilità di attendere un bus urbano per la città, ci affidiamo nuovamente al taxi.
Raggiunto il nostro hotel, il tempo di sistemarci e pettinarci dopo tre giorni di capelli al vento e siamo già per strada con l’ intenzione di raggiungere la città alta e goderci lo spettacolo della città stessa e del mare sottostanti. Ridiscendiamo verso il centro città camminando senza meta e rivisitando i posti più degni di nota da noi già conosciuti nelle nostre precedenti soste in città. Per Porcaccia si tratta della prima volta qui e ne rimane anch’ esso colpito. Salonicco ci piace ed è bello passeggiare tra le sue strade vivissime. E’ sabato sera e si vede. Le strade, le piazze, i ristoranti, i locali sono pieni e c’è fermento. Un fermento a cui ci accodiamo con piacere finchè non giunge l’ ora del triplice fischio finale della serata e dell’ intero viaggio.

DOMENICA 4 NOVEMBRE: Italia.
Anche questo viaggio, questa esperienza mistica è volta al termine. Una località amena, particolare, per molti aspetti strana. In cui ritirarsi almeno una volta nella vita.

LUCA PINGITORE

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