La Berlino “chiusa fuori” e la sua “liberazione” aiutata

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Dopo un lungo viaggio notturno, il treno si fermava nel cuore della notte in aperta campagna dove una piccola stazione segnava il confine tra le due Germanie: quella della Repubblica Federale e quella della Repubblica Democratica.
Salivano le Guardie di Confine Federale, i doganieri dell’ovest, e poi quelli dell’est, i Grenzer che effettuavano doppi accurati controlli, soprattutto al checkpoint “democratico”. Mentre alcuni agenti delle Truppe di Frontiera apponevano i timbri di transito per attraversare una parte di Germania Est e raggiungere nuovamente l’ ovest a Berlino, altri giravano con pastori tedeschi negli scompartimenti, facendo aprire bagagli, smontando sedili e parti degli scompartimenti con l’ intenzione di cercare possibili nascondigli o merci occultate. Fuori si scorgevano muoversi delle luci di torce elettriche che controllavano esternamente i vagoni, per cercare qualcuno o qualcosa di nascosto.
Il sordo rumore metallico dei martelli dei verificatori ferroviari che battevano sulle ruote del treno controllandone i freni, nel frattempo, completava la scena.
Si ripartiva, era ancora buio, poi iniziava a fare giorno e dai finestrini si vedeva il panorama di passaggio composto da campagne desolate e qualche casa sparsa oltre a piccole cittadine in cui il treno non si fermava. Infine si arrivava alla mitica stazione di Zoologischer Garten: di nuovo ad ovest dopo aver attraversato l’ est.
E poi, continuando per la stazione di Potsdam Griebnitzsee, eri di nuovo ad est.
Quasi un gioco in cui si passava da ovest ed est e da est ad ovest e dove lo scenario architettonico e sociale cambiava completamente.
Le storiche, oramai da collezione, Trabant, le auto simbolo per eccellenza della DDR insieme alle concorrenti Wartburg ti passavano davanti sulle strade poco trafficate della Berlino “orientale” mentre eri fermo all’ incrocio dove, l’Ampelmannchen, l’omino col cappello stilizzato ai semafori, cambiava colore da rosso al verde e ti autorizzava o ti vietava l’ attraversamento della strada.
Stanco dal viaggio, uno spuntino con un Raider ed un sorso di Vita – Cola ed eri nuovamente pronto per affrontare una interessante camminata e magari raggiungere Pankow, il quartiere di Ost Berlin (Berlino Est) dove era solita alloggiare la dirigenza comunista e considerato dunque il quartiere più prestigioso della città e considerato dalla leggenda come “la capitale nella capitale” per via di quel suo nome dal suono slavo.
Lo stesso nome che in Italia fu preso in prestito dall’ omonimo gruppo di musica elettronica, i Pankow appunto, e reso molto più celebre dal brano “Live in Pankow” dei CCCP – Fedeli alla Linea che nacquero ed ebbero i loro primi successi proprio tra Berlino Est e e Berlino Ovest.
Poi, un giorno, dal 9 novembre 1989, l’ atmosfera della città divisa ed il mito storico delle due Germanie svanì ad opera di un giornalista italiano.
Riccardo Ehrman, il corrispondente dell’ agenzia di stampa Ansa a Berlino, ricevette una telefonata in codice da un suo contatto, il direttore dell’ Adn, l’ agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Democratica, Günter Pötschke, il quale gli suggeriva una domanda da porre al ministro della Propaganda Günter Schabowski che stava per tenere una conferenza stampa sull’ emanazione di alcune leggi che permettevano una certa libertà di circolazione per i cittadini della DDR che già da tempo stavano clamorosamente pressando il loro Governo.
Ehrman fece la domanda: “ Da quando le restrizioni di viaggio saranno tolte?”.
Credo anche subito”,fu la risposta del Ministro che imbarazzato era all’ oscuro della risposta giusta.
Da lì partì la riunificazione della Germania.
Da una imbeccata suggerita ad arte, a quanto pare, da sembrare così frivola ma che ebbe l’ onda d’ urto di un meteorite e costruì la storia.
Questa domanda suggerita fu, però, solo la punta dell’ iceberg delle operazioni che portarono alla dissoluzione di tutto il Patto di Varsavia e che ad effetto domino crearono degli effetti politici e sociali in tutta la restante parte del mondo, molti dei quali continuiamo a viverli ancora oggi.
Era già cosa diffusissima infatti, anche se segreta, lo scambio tra detenuti politici rinchiusi nella DDR con prodotti alimentari o altri generi di necessità da parte della Repubblica Federale o di paesi del blocco “ovest” che andavano a rimpinzare l’ economia dello stato “orientale” e magari anche qualche cassa privata di gerarchi vari.
Altri tipi di aiuti monetari come lingotti d’ oro e moneta liquida viaggiavano con regolarità in Fiat 128 dalla Città del Vaticano fino a Danzica sul mar Baltico della Polonia per finanziare le lotte di Solidarnosc e del suo leader Lech Walesa.
Il tutto coordinato da un figlio di immigrati lituani in fuga dal loro paese e riparati in USA divenuto monsignore prima e direttore dello IOR, la Banca Vaticana, dopo e che esercitava anche il “controllo” del Banco Ambrosiano di Calvi tramite il faccendiere Pazienza.
Paul Marcinkus, un prete statunitense in un ruolo chiave dei Poteri mondiali che, caduto il Muro, è tornato in USA ed è finito nell’oblio fino alla sua morte.
L’ uomo giusto, immigrato lituano naturalizzato statunitense, al posto giusto, il Vaticano?
Singolare anche che le due figure più potenti in Vaticano fossero un americano – lituano ed un polacco.
Due personaggi dell’ est Europa.
Tra l’altro, fino a quel momento, non veniva eletto un papa straniero da centinaia di anni.
E proprio un altro polacco, Zbigniew Brzezinski, il potentissimo consigliere strategico della Casa Bianca, anche esso immigrato negli USA di cui prese la cittadinanza, teorizzò l’uso della religione come strumento per distruggere l’impero sovietico, sostenendo ad est la resistenza polacca del solito Walesa e del suo Solidarnosc e a sud i mujaheddin che in Afghanistan contrastavano gli stessi sovietici dando poi in seguito origine, tra l’ altro, ad Al Qaeda. Brzezinski già un paio di anni prima della salita al soglio pontificio del papa suo connazionale, ebbe con lui un incontro riservato ad Harvard e da lì nacque una lunga amicizia. Sarebbe stato Brezinski stesso, attraverso il cardinale Krol anch’ esso di origine polacca, a mobilitare la conferenza episcopale americana per sostenere poi l’elezione del papa di Wadowice.
Ma non c’ era solo il Vaticano e gli onnipresenti USA a soffiare verso la dissoluzione dei regimi socialisti in Europa.
Infatti già praticamente il giorno dopo le proclamazioni d’indipendenza dei vari stati dell’ “est” venivano aperte in loco repentinamente sedi di banche straniere e aziende multinazionali.
Istituti finanziari, Mcdonalds, la Coca-Cola, certamente non hanno lasciato perdere un secondo per entrare in quei mercati anzi praticamente erano già là, quasi non lasciando trascorrere neanche dei naturali tempi logistici -organizzativi che già avevano aperto sedi nei centri delle varie capitali.
Nei primi mesi del 1990 l’Ikea era già a Berlino Est.
Mentre i suoi abitanti sfondavano il Muro verso occidente, in quelle stesse ore Coca-Cola, Raffahausen Bank, Ikea, Burger King, risalivano la corrente umana come i salmoni al contrario e si installavano in oriente.
O forse erano già lì ed i cancelli sono stati aperti grazie ai loro soldi.
La Pepsi, ad esempio, era già diffusa in Unione Sovietica. Forse l’unico prodotto “alimentare” “capitalista” che era fabbricato (ogni stato la produce in modo differenziato ), distribuito e venduto regolarmente. Tanto che le bottigliette dell’epoca sono oramai da collezione.
Lo stesso dicasi per la Fiat che teneva, oltre ad interessanti intrecci politici, un grosso stabilimento a Togliattigrad (città che prende il nome dal noto politico italiano tra l’ altro).
La cosa appare ancora più bizzarra se si pensa che la Pepsi è uno dei maggiori finanziatori dei vari governi statunitensi che si sono succeduti nel tempo.
Magari quindi la dissoluzione della politica dei paesi dell’ est Europa è avvenuta proprio con capitali esteri che premevano in maniera (s)fondamentale (mi si passi questo termine) in barba agli ideali filosofici -politici che sono tanto propinati al popolo medio.
Come l’ idea di cui è stato fatto pervadere l’ immaginario collettivo in generale, secondo il quale , la città “chiusa”, il “ghetto”, la “prigione” era la famigerata Berlino Est circondata da una barriera muraria che la separava dall’ ovest. Per tutti era la parte est che era chiusa.
Senza magari sapere, almeno riferendomi ai più, che trattavasi invece proprio di Berlino Ovest di un’ “isola”, un “neo”, un’ “oasi”, come la si voglia chiamare a seconda dei casi se non con il suo termine corretto di exclave, della Germania Federale dell’ ovest in territori della Germania Democratica dell’ est.
Berlino Ovest, l’ enclave incuneata nella Germania orientale e che circondata dai quattro lati gridava all’ est: “ Vi siete chiusi fuori ”.

LUCA PINGITORE

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