Kaliningrad 2010 (viaggio 2)

DSCN0278

Tornare dopo due mesi esatti dalla mia prima visita a Kaliningrad, ha fatto nascere in molti, supposizioni fino ai limiti della fantasia.
“Per tornare la seconda volta a Kaliningrad a distanza di due mesi c’è qualcosa sotto”, questa l’affermazione tipica al comunicare, di volta in volta, il mio imminente ritorno in città.
La realtà, invece, è molto più semplice.
Da circa tredici anni il mio interesse prioritario è sempre stato quello di visitare, conoscere e scandagliare i paesi, gli stati che venivano considerati, fino ai primissimi anni ’90, facente parte del cosiddetto “blocco sovietico”, del Patto di Varsavia, quelli ubicati “oltre la cortina di ferro”. Tutto ciò per una naturale passione verso la loro storia, la loro cultura, la loro semplicità.
Avere, lo scorso febbraio, completato la visita di tutti questi paesi proprio visitando l’oblast’ di Kaliningrad, ha avuto per me un forte significato.
Quasi il compiersi di un cerchio alla ricerca del luogo ideale tra le terre che frequento da anni e che sono per me, oramai, una seconda casa.
La seconda occasione per tornare a Kaliningrad mi viene servita grazie ad un misto di cause: la voglia di ritornare in un posto che ho apprezzato fin dal primo momento in cui ho calcato il suo suolo, forse mai come altri e la gita a Gdańsk organizzata da Jena, Pingo e Brunello.
Il connubio sembra perfetto.
Si salpa.
A poche ore dalla partenza, la Cappa negativa che sta sempre in agguato, se ne inventa un’altra delle sue. Questa volta si rivela nella sua propria essenza di nuvola maligna proveniente dall’Islanda dove, uno dei suoi vulcani, erutta da giorni emanando una Cappa negativa sui cieli d’Europa dando luoghi a cancellazioni di voli e chiusure d’aeroporti.
Un rapido briefing telefonico sull’asse Firenze – Ronta – Savona determina quello che ognuno dei partecipanti ha, in realtà, già stabilito autonomamente: si parte in treno.
La Cappa scompiglia i piani originari ma non ne intacca l’essenza, la sosta, cioè, nella città del filosofo Kant.
Jena, Pingo e Brunello avrebbero dovuto effettuare una gita a Gdańsk, città in cui non sono mai stati, attendere il mio arrivo un paio di giorni dopo tramite una triangolazione aerea Pisa – Londra – Gdańsk appunto e muovere tutti insieme alla volta di Kaliningrad.
A causa della Cappa salta la gita a Gdańsk dei tre ma resta salva la scampagnata in Russia.

LUNEDI 19 APRILE 2010:
Alle 21:40 mi presento alla stazione ferroviaria di Firenze, in tempo per saltare a bordo del treno per Vienna, titolare di un biglietto fino a Tarvisio, visto che il treno, secondo le varie biglietterie, risulta affollatissimo. Il convoglio giunge con circa mezz’ora di ritardo ma riesco a prender posto in uno scompartimento semi vuoto. Come lo è il resto del treno d’altronde.
L’intercity tarda a partire. Giunge notizia che si è rotto il locomotore. Necessiteranno ben due ore per sistemare la faccenda e poterci finalmente muovere. La Cappa cerca di metterci i bastoni tra le ruote in tutte le maniere possibili.

MARTEDI 20 APRILE 2010:
Con un ritardo clamoroso, come solo in Italia è prassi e consuetudine quando ci si affida ai treni, si giunge alla stazione di Mestre dove Jena, Pingo e Brunello convenuti, per motivi vari, da Savona e Verona, attendevano oramai da svariate ore. Nonostante la Cappa continui ad imperversare, riusciamo ad unirci e a continuare il nostro viaggio verso il nord Europa ed una sua effimera distrazione ci consente di trovare posto nello stesso scompartimento e di poter implementare, senza sovrapprezzi vari, il nostro biglietto fino a Vienna.
Con più di due ore di ritardo e col sole alto nel cielo attracchiamo nella capitale austriaca.
Contro il parere della bigliettara di turno, che ci sconsiglia per troppo affollamento, ci imponiamo e ci facciamo vendere quattro biglietti per Warszawa. Abbiamo due ore di tempo in attesa del nostro treno per la Polonia e, memori delle nostre svariate avventure sui treni russi, optiamo per dedicarci allo shopping in un attiguo supermercato, così da rimpinguarci di generi di conforto per l’intera durata del viaggio.
Lasciamo l’Austria, attraversiamo la Repubblica Ceka, abbiamo un sobbalzo al cuore quando sostiamo dalla città di Ostrava, che tante volte ci ha visti protagonisti durante la sua night life, sfrecciamo per le campagne, osserviamo le ciminiere delle fabbriche e delle miniere di carbone, entriamo in Polonia, ci commuoviamo al ricordo delle svariate gite trascorse nella terra delle pianure (da cui il nome Polska), transitiamo da Katowice snobbata dai più ma tenuta da noi sempre in grande considerazione, proseguiamo per la capitale, Warszawa, dove approdiamo intorno le 21:30.
Praticamente un giorno esatto da quando ho preso posto sul treno a Firenze.
Optiamo per trascorrere la notte qui e proseguire poi il nostro viaggio l’indomani al canto del gallo.
Pingo è assente dalla città da anni, Jena vi è stato una sola volta, io sono sempre stato ospitato in città o comunque sistemato da amici locali.
A memoria cerchiamo un ostello nelle vicinanze della stazione. I nostri ricordi sono ottimi (personalmente manco dalla città solo da pochi mesi) ma l’ostello è pieno e veniamo respinti. La stessa sorte ci riserva il secondo ostello che visitiamo.
A piedi, valigiati, ci rechiamo in un’altra zona speranzosi di un successo.
La Cappa non si schiude, altro ostello, altro diniego.
Non ci resta che prendere il tram e raggiungere una zona più centrale. Lo agguantiamo al volo, le porte non si sono ancora neanche chiuse che subito veniamo braccati dai controllori. La Cappa non va mai a dormire. In due fermate, comunque, riusciamo a scendere indenni dai controlli.
Ci assestiamo in un ostello per gite scolastiche e chierichetti in vacanza a pochi minuti dalla sua chiusura notturna, a mezzanotte. L’ostello è infestato da una gita di giovanetti alle prime armi ma a noi interessa solo una doccia ed il meritato riposo su di un materasso.

MERCOLEDI 21 APRILE 2010:
Ad un usuale orario antelucano, ci svegliamo e ci rimettiamo in marcia verso la nostra meta finale.
Salpiamo da Warszawa con un treno diretto a Malbork. La giornata non è delle migliori, meteorologicamente parlando, considerato che fuori piove e sferza il cattivo tempo. Buongiorno Cappa.
Scesi a Malbork, tramite un vecchio trenaccio locale, raggiungiamo Elbląg, il campo base per l’approdo a Kaliningrad.
Senza esitare, considerata anche la mia precedente esperienza, ci rechiamo nell’autostazione cittadina e ci rendiamo titolari dei nostri biglietti per Braniewo. Il tempo di masticare qualcosa e, dalla moderna autostazione di Elbląg, muoviamo in pullman verso il confine polacco.
Il maltempo sferza sempre di più e per noi è un problema in quanto dovremo poi sfondare la frontiera in autostop.
La tratta da Elbląg a Braniewo, con la neve disciolta, mi appare sotto tutta un’altra luce rispetto alla mia precedente esperienza di due mesi fa.
Ora si possono notare nella sua interezza gli scenari tipici della zona: boschi simili fino in Estonia, villaggi rurali, aperta campagna, il mar Baltico all’orizzonte nei dintorni di Frombork.
Il pullman, come consuetudine, ci abbandona alla stazione ferroviaria di Braniewo.
Come avvenne anni fa, disperso con i miei compagni di avventura di allora, nel villaggio di Medyka, mentre mi accingevo a sfondare sempre a piedi il confine tra Polonia ed Ukraijna, si materializza all’improvviso una vecchia parlante italiano.
Risulta davvero strano ma è già la seconda volta che mi accade di fare strani incontri su una linea di confine. La vecchia deve, anch’essa, raggiungere la nostra stessa meta ma si nota sin dalle prime battute che è poco avvezza a sfondare frontiere e quella in cui ci troviamo in particolare. Siamo noi che diamo una mano a lei.
Ella si limita giusto a convocare telefonicamente un taxi e a farsi accordare un doppio passaggio, più economico di quanto ai tempi ci costò con la spedizione dei Notabili, fino a Gronowo. Fino al bar Kalinka ubicato in un container subito fuori Gronowo per l’esattezza, dietro mio suggerimento.
In compagnia della vecchia, io e Jena raggiungiamo il nostro quartier generale sul confine polacco – russo.
Rimettere piedi sul confine, essere di nuovo cliente del bar Kalinka, rivedere alcuni personaggi nullafacenti, ammirare il paesaggio senza neve sortiscono in me una profonda emozione.
La vecchia col suo pesante bagaglio, imballato sotto i più rigidi dettami del Professionista che tanto ha fatto scuola, è ansiosa di sfondare nell’oblast’ russo. Recupera un passaggio e ci da l’arrivederci.
Io e Jena restiamo in attesa di Pingo e Brunello che tardano ad arrivare. La nostra preoccupazione svanisce quando notiamo il taxi all’orizzonte in ritardo a causa della lentezza disarmante del suo guidatore.
Il tempo volge al peggio e bisogna cercare un passaggio oltre confine al più presto.
Siamo quattro maschioni stranieri sul ciglio della strada a cento metri dal confine russo, chi mai si fermerebbe per caricarci?
Il tempo trascorre e le macchine transitano senza caricarci.
Ma attenzione!
Una vecchia Audi frena di tutto punto. Il vecchio autista scende e ci chiede, in russo stretto, chi siamo e dove dobbiamo andare. Egli è nativo di Chisinau ma vive a Kaliningrad ed è disposto a portarci in città. Non appena rivela le sue origini moldave ridiamo come bambini pensando al Maestro Cangaceiro che ci è venuto in soccorso tramite un vecchio guidatore. Rimembriamo al vecchio alcuni quartieri di Chisinau, la squadra cittadina, luoghi vari cittadini e lo facciamo esaltare. Tanto da chiederci 100 euro per sfondare in Russia.
Dal bar Kalinka, il prezzo base per raggiungere Kaliningrad per uno straniero si attesta sui 7 euro a testa.
Arriviamo ad offrirgliene 50 in tutto diretti fino all’hotel.
Il vecchio si rifiuta, si incazza e se ne va. E vieta anche ad una sua amica, di lì transitante, di offrirci un passaggio.
Sul ciglio della strada continua la nostra ricerca di un passaggio, sotto un’altalenante pioggia e con il miraggio della Russia a non più di cento metri.
Dopo svariato tempo, una signora si muove a compassione e ci carica nella sua auto, a quanto pare gratis.
Sicuri di berci il confine polacco, veniamo fermati dai doganieri ed i nostri documenti sequestrati. Circa quaranta minuti fermi prima di lasciarci andare. Strano, i “cattivi” dovrebbero essere i russi in entrata, come la volta precedente che ci scandagliarono i documenti e fummo trattenuti per due ore.
Usciti dalla Polonia, solita trafila. Stop per compilare le immigration card e per dare spiegazioni al doganiere di turno e via verso la dogana russa vera e propria, dove ci aspettiamo una pessima accoglienza.
Il doganiere di turno, apre il primo passaporto e va nella disperazione chiedendo aiuto ad una collega, la quale, non raccapezzandosi neanche lei per via delle scritte in latino e non in cirillico, gli consiglia di limitarsi ai controlli di rito senza infilarsi in un ginepraio. Questo è chiaro da quanto si intuisce da discorsi e gesti della coppia di doganieri. I passaporti vengono controllati uno ad uno elettronicamente e timbrati col benvenuto in Russia.
Noto come può cambiare il passaggio di una frontiera a seconda dei turni dei doganieri. La prima volta due ore fermi e controlli serrati, questa volta controlli veloci per non avere eventuali grattacapi ulteriori rispetto ad una lenta giornata lavorativa.
La signora polacca sfreccia con la sua vecchia auto verso Mamanovo in quanto intenzionata a lasciarci direttamente alla fermata del bus per Kaliningrad. Notiamo il bus già in movimento e strombazzando con il clacson lo facciamo fermare per caricarci.
Con suo stupore elargiamo 20 euro alla signora per il disturbo e saliamo al volo sul pullman per la capitale dell’omonimo oblast’.
La bigliettara chi chiede giustamente il biglietto. Ma come paghiamo non avendo rubli?
Un passeggero ci viene in soccorso cambiandoci 10 euro al volo e paghiamo l’equivalente di 8 euro per i biglietti.
7 euro totali a testa contro i 100 richiestici dall’autista moldavo.
Il pullman affronta i circa cinquanta chilometri che separano Mamanovo da Kaliningrad, fermandosi in vari villaggi, caricando passeggeri, arrancando per la campagna di un territorio che politicamente appartiene alla Russia ma paesaggisticamente è simile alla Polonia rurale ed alla Lituania di campagna.
A pomeriggio inoltrato, facciamo il nostro ingresso trionfale in città.
E’ l’ora di punta ed un clamoroso ingorgo stradale, in piene stile Baku, ci accoglie strombazzante. Il pullman riesce a fatica a divincolarsi dal traffico e ci scarica in clamoroso ritardo all’autostazione.
La Cappa non ha nessuna intenzione di abbandonarci. Neanche quando, in taxi, raggiungiamo il centralissimo hotel MOCKBA: risulta tutto esaurito.
Lo sconforto ci assale ma non ci perdiamo d’animo e dirotto il gruppone verso l’hotel Kaliningrad, il quale, col passaporto italiano ben in evidenza in mano, ci concede di essere lor ospiti riservandoci due stanze doppie.
Abbiamo giusto il tempo di pettinarci ed idealizzare sulla serata che veniamo rapiti direttamente sotto l’albergo da un nostro contatto in loco che ci invita a cena, senza possibilità di rifiuto, a casa sua ubicata nelle periferia cittadina.
Raggiungiamo l’abitazione in bus e ci attestiamo ospiti di un appartamento in cui il nostro contatto vive con la madre e con la figlia, tre generazioni di Kaliningrad a confronto.
La tavola è imbandita di ogni succulento piatto della tradizione russa, il tutto annaffiato da vodka locale. I brindisi a noi italiani si sprecano, come si sprecano i tentativi andati a vuoto di rifiutare gentilmente cotante pietanze. Ma siamo ospiti, i primi ospiti italiani da tre generazioni a questa parte e non possiamo fare brutta figura.
Terminata, a quanto sembra la cena, si parte con i canti della tradizione folkloristica russa e sovietica da una parte e con le hit che hanno fatto conoscere la canzone italiana all’estero dall’altra. Si spazia in coro da Katiuscija a Toto Cutugno, da Riccardo Fogli a Yurij Antonov, il tutto contornato da uno squallido balletto improvvisato da Jena e Brunello, con il nostro contatto che si alterna al pianoforte ed alla chitarra senza soluzione di continuità ed io e Pingo impegnati a batter le mani a tempo di musica e a cantare a squarciagola questo karaoke di pessimo gusto sotto lo sguardo imperterrito di nonna e nipote. Le folli notti di Kaliningrad…

LUCA PINGITORE

Tags:

Leave a Reply