I fiumi sono la storia

“I fiumi mi han sempre attirato. Il fascino è forse in quel loro continuo passare rimanendo immutati, in quell’andarsene restando, in quel loro essere una sorta di rappresentazione fisica della storia, che è, in quanto passa. I fiumi sono la Storia.“
Scriveva Tiziano Terzani nel suo celebre “Buonanotte, signor Lenin” mentre, proprio nei giorni in cui l’Unione Sovietica stava dissolvendosi, si trovava in navigazione sul fiume Amur che per migliaia di chilometri segna il confine tra Russia (Urss all’epoca del viaggio di Terzani) e Cina. Giusto mentre si compiva la Storia.
E la storia a volte è capitata anche a me di assaporarla. Alcune di queste proprio attraversando dei corsi d’acqua protagonisti di storia e geopolitica.

L’attraversamento del fiume Bug occidentale è una delle frontiere visivamente distinguibili nel proprio essere.
Dalla città di Brest in Bielorussia rientravo in Polonia, quella volta da pochi mesi entrata nell’Unione Europea.
Il fiume Bug occidentale era stata già la vecchia linea di demarcazione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica e per questo la fortezza che sorge sull’odierna riva bielorussa si fregia di essere località “Eroina dell’Urss” in quanto baluardo della resistenza alle divisioni di Hitler.
Un vecchio treno di tradizione sovietica con le panche in legno, per certi aspetti l’omologo della nostra storica littorina con sedili in finta pelle che operava sulla tratta Cosenza – Paola, attendeva me e gli anziani frontalieri carichi di stecche di sigarette e bottiglie di vodka sul binario dedicato. Controlli serrati da parte delle autorità bielorusse che infine ci lasciarono partire per, appunto, l’Unione Europea.
Circa otto minuti di viaggio. Un viaggio non solo fisico guadando il fiume attraverso un ponte ma anche temporale indietro nel tempo. Un’ora di differenza di fuso orario tra i due paesi dirimpettai. Parti ad esempio alle 11:00, le lancette dell’orologio scorrono per otto minuti mentre attraversi il fiume, arrivi a destinazione alle 10:08. Uno strano effetto. Come quello di scorgere torrette di avvistamento e militari nella vegetazione sulla riva bielorussa del fiume. Una vecchia babushka mi chiese se gentilmente avrei potuto trasportare nel mio bagaglio un paio di stecche delle sue sigarette ed un paio di bottiglie della sua vodka. Accettai volentieri. Quella gente praticava il contrabbando sociale, acquistava a prezzi irrisori in Bielorussia e rivendeva a prezzi modici in Polonia riuscendo a vivere con il più che modesto guadagno. Prima di poter scendere dall’ “elektrichka”, il termine russo che identifica il treno regionale, la polizia di frontiera polacca fermò uno ad uno i passeggeri chiedendogli cosa portassero nei loro semplici borsoni. Tutti i passeggeri risposero “una stecca di sigarette ed una bottiglia di vodka” sorridendo ai doganieri e scendendo così dal vagone. Arrivò il mio turno, unico straniero ed unico con vero bagaglio da viaggio. Questa volta a sorridere furono i poliziotti ponendomi la stessa domanda rivolta precedentemente a tutti. E per la quale non attesero risposta ripetendomi loro stessi “una stecca di sigarette ed una bottiglia di vodka. Benvenuto in Polonia” .

Il fiume Ibar separa la città di Kosovska-Mitrovica / Mitrovice in due tra serbi ed albanesi.
Siamo in Kosovo. Nel 2008, l’anno di quel mio viaggio effettuato con un amico, il paese era ancora sotto l’egida della missione UNMIK della Nato. Non erano trascorsi neanche due mesi dalla sua dichiarazione d’indipendenza dalla Serbia avvenuta in seguito ad un drammatico procedimento caratterizzato da una cruenta guerra. Un processo di indipendenza non ancora del tutto completato in quanto una parte della comunità internazionale, Serbia in primis, non ne riconosce la separazione e la situazione nell’area resta ancora molto calda per via delle forti contrapposizioni etniche. Ai tempi di quella mia visita non c’erano quindi turisti, mancava l’energia elettrica ed erano la norma i militari armati o i nostri carabinieri in giro come i check point sulle strade. Quel giorno a Mitrovica passammo dal lato albanese a quello serbo nell’unico modo possibile, attraversando appunto il ponte sul fiume Ibar. Suscitando grosso stupore misto a sospetto da parte dei militari che controllavano il “confine”.
Dal lato sud, quello albanese del ponte, i militari francesi addetti al controllo del passaggio (un vero e proprio check point) ci controllarono i documenti e si interrogarono su chi fossimo e sul motivo del nostro esser li. Rispondemmo candidamente di essere semplici turisti. Il comandante, dopo averci pensato un po’ e comunque titubante, ci riconsegnò i passaporti sospirando: “Tourists… why not?…“, ancora fortemente dubbioso circa la nostra risposta…
Transitati sul ponte, non senza aver rubato qualche scatto fotografico di soppiatto, ci concedemmo un cappuccino al “Dolce Vita”, il bar a ridosso del ponte, lato serbo, centro franco internazionale di incontri e affari. Ottimo punto d’ osservazione sul fiume e sul ponte, il bar, secondo le nostre informazioni era una sorta di copertura, una “zona neutra”. Respirammo una atmosfera da Berlino divisa tra DDR e RDT durante gli anni della “guerra fredda”. Ci gustammo quello storico cappuccino con calma balcanica e riprendemmo poi il nostro peregrinare. Ai tempi, probabile, fummo forse i primi turisti in Kosovo e di conseguenza guardati spesso con sospetto. Era il 2008, era da poco Kosovo ma era ancora UNMIK.

Sempre nel territorio di quella che una volta era la Jugoslavia, un altro corso d’acqua segna ai nostri giorni un confine. Il fiume Sava che nasce in Italia prima di buttarsi nel Danubio e creare nella città di Belgrado una delle confluenze più belle e famose al mondo, oggi divide per chilometri Croazia e Bosnia e la Serbia dalla stessa Bosnia. Ma c’è un punto in cui i tre stati pressoché si toccano, Brcko.
Nella quasi totalità dell’opinione comune, la Bosnia è costituita da due entità: la Federazione di Bosnia ed Herzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia. Ma ciò non è del tutto corretto. Esiste, infatti, anche una terza piccola entità, il Distretto di Brcko appunto. Partendo dall’Italia si arriva a Brcko dalla Croazia attraversando un ponte sul fiume Sava. Su questa sponda sei in Unione Europea, sull’ altra sei in Bosnia.
Uscendo dalla cittadina ed attraversando poi i pochi chilometri per i quali si estende il territorio del Distretto, ritrovi il fiume e la frontiera. Passi quest’altro ponte e questa volta sei però in Serbia.
Brcko, con la sua piccola cittadina dalle molte anime comprendente musulmani, ortodossi e cattolici, nacque come distretto autonomo verso la fine della guerra dei Balcani degli anni ’90. Ufficialmente fu costituita per gestire un piccolissimo territorio che era rimasto fuori dagli Accordi di Dayton (in maniera semplicistica quelli che sancirono la nascita della Bosnia – Herzegovina) e nel quale furono insediate alcune forze internazionali di peacekeeping, istituzioni politiche ed un grande base militare americana. In realtà, Brcko città soprattutto, per la sua posizione molto favorevole ubicata sulla sponda bosniaca del fiume Sava e per essere al centro tra Croazia, Bosnia stessa e Serbia ha da subito svolto un’altra funzione. Quella di porto franco, in pratica un territorio “neutrale”. “Arizona market” è stato uno degli appellativi di Brcko, un posto dove tutti o quasi i tipi di traffici erano permessi. Fino a qualche anno fa, quando si è deciso di normalizzare la situazione a livello amministrativo integrandola ufficialmente nella Bosnia con la conseguente chiusura anche della base americana. I traffici però, non è detto che siano terminati o magari non del tutto.

Pochi mesi prima dell’inizio della distruzione della Jugoslavia si palesò la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
In entrambi i casi non senza drammatici conflitti bellici e tragici contrasti tra etnie attigue. Precedentemente ma in analogia con la situazione del Kosovo anche in alcuni ex paesi dell’Urss estrinsecarono la loro indipendenza territori abitati da popoli che anelavano la propria autonomia.
Le guerre portarono alla formalizzazione di repubbliche indipendenti de facto. Queste però riconosciute solo dalla Russia e da una manciata di altri stati tra i quali il Venezuela, il Nicaragua, la Siria.
Ed anche qui alcuni corsi d’acqua sono diventati protagonisti della Storia. Anche qui sono infatti sorti nuovi confini. Come i due fiumi che segnano i confini dell’Abkhazia, il fiume Psou con la Federazione Russa ed il fiume Ingur che la separa dalla Georgia, da questa de facto indipendente. La Colchide è la terra mitologica in cui Giasone e gli Argonauti andarono a conquistare il vello d’oro e dove Prometeo fu incatenato dopo aver dato all’umanità il segreto del fuoco. Oggi l’Abkhazia, regione situata sul Mar Nero, raccoglie l’eredità storica di quei miti.
Dopo la recrudescenza di operazioni belliche dell’estate del 2008 la frontiera con la Georgia si attestò definitivamente sul fiume Ingur, anche se per la precisione sulla zona costiera la foce del fiume ricade interamente nella repubblica georgiana. Nel villaggio di Rukhi, è ubicato l’unico punto di passaggio aperto tra Georgia ed Abkhazia: il ponte sul fiume Ingur.
Costruito nel 1948 dalle squadre del Ministero degli Interni dell’Unione Sovietica, come recitano le targhe originali dell’epoca in lingua russa e georgiana, collega la città di Zugdidi, qualche chilometro più a sud e capoluogo della regione della Mingrelia, appunto con l’ Abkhazia. Passi il controllo di frontiera georgiano, cammini a zig zag davanti un ulteriore check-point militare a pochi metri dal ponte, lo percorri, superi il controllo di ammissione sul lato abkhazo e se hai la documentazione necessaria vieni poi ammesso alla frontiera vera e propria. Scenario completamente differente rispetto all’ ingresso in Abkhazia da Adler, sul confine russo a nord del paese ubicato sull’altro fiume, il Psou. Lì ad una manciata di chilometri si dipana il grande Parco Olimpico di Sochi, “capitale dello sport in Russia”, costruito per le Olimpiadi invernali del 2014 ed una parte del quale riconvertito a circuito di Formula 1 e ad uno stadio dei Mondiali di calcio del 2018. A sud sul fiume Ingur al confine georgiano invece l’atmosfera è molto più rurale con i carretti stile “western” trainati da cavalli che a richiesta ti aiutano a percorrere la distanza tra i due punti di controllo ed il via vai dei mingreli, la popolazione locale, che al discioglimento dell’Urss ed alla indipendenza dell’Abkhazia sono rimasti divisi tra i due stati. Sono gli unici georgiani e gli unici abkhazi che passano regolarmente la frontiera. Apostrofati come “traditori” da entrambi, poichè sono gli unici che sono rimasti a metà tra i due paesi, col “piede dell’opportunismo in due staffe”.

Il fiume Dnestr, dai monti Carpazi scivola verso il mar Nero. Nella sua lunga serpentina verso sud incrocia tre paesi diversi divenendo portatore delle diverse ma contigue tradizioni di differenti popoli che fino ai primissimi anni novanta erano parte, seppur in maniera federata, di un unico vasto paese.
Ufficialmente dal 1990, il Dnestr attraversa l’Ucraina, la Moldova e si interseca per i suoi circa duecentocinquanta chilometri finali con la Repubblica Moldava di Pridnestrovie segnandone praticamente il suo confine. Da un lato la Moldova, dall’altro, prima di sfociare nuovamente sulle rive ucràine del Mar Nero, la Pridnestrovie. Repubblica de facto anche questa nata come l’Abkhazia dopo una guerra in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nella sua discesa verso il versante ucraino il fiume si dipana anche in un tortuoso canyon. In alcuni punti il Dnestr è lì, proprio ai tuoi piedi e volendo puoi anche assaggiarlo da piccoli anfratti nei quali sono state ricavate alcune spiaggette. ll confine è quindi visibile, percettibile, praticamente toccabile nuotando nelle acque del Dnestr.
Il quale non è solo un fiume di confine ma svolge anche una funzione attiva allo sviluppo della società locale generando dalle sue acque energia elettrica che serve il fabbisogno del paese transnistriano. La grande diga con annessa centrale idroelettrica a Dubossari, la città più antica dello stato sul Dnestr, insieme a quella di Dnestrovsk, sono allo stesso tempo siti energetici e luoghi degni di interesse turistico dato dal loro fascino architettonico, dalla loro storia e la loro ubicazione su due punti di confini differenti. A sud, il Dnestr si dirama in un altro bacino idrografico dove dalla sponda sinistra dell’invaso del fiume Cuciurgan, l’Ucraina si tocca quasi. Basterebbe una piccola imbarcazione od una possente nuotata per attraversare il bacino lacustre e raggiungere l’oblast di Odessa, la sponda opposta. Siamo a circa 60 km dalla città simbolo della Rivoluzione Russa del 1905 resa nonché celebre dall’iconografia cinematografica mondiale attraverso il film muto “La corazzata Potemkin” e da quella italiana con “Il secondo tragico Fantozzi”. Dopo poco più di cento anni Odessa in questi mesi è tornata ad essere un nuovo emblema della storia divenendo anche essa protagonista, suo malgrado, delle tragiche operazioni belliche in corso sul suolo ucraino. Dnestrovsk, il punto geografico praticamente più a sud della Repubblica Moldava di Pridnestrovie e dove la sua centrale termoelettrica annovera il camino industriale più alto d’Europa arrivando a superare di una quindicina di metri finanche la Torre Eiffel. La striscia di terra stretta tra il fiume Dnestr ed il confine ucraino mai come in questi giorni è divenuta oggetto di teorie ed analisi geopolitiche che la indicano come probabile nuovo territorio in causa del conflitto che si sta consumando nel cuore dell’Europa.

Non sempre la storia, nel suo proseguire, trasforma l’acqua in una frontiera. A volte quell’acqua che prima era un confine diviene bacino dello stesso paese. Come la porzione di mare che passa nello stretto di Kerc.
La Crimea è una penisola caratterizzata dal mare e dalle montagne ma è anche una terra ricca di storia con numerose pagine legate direttamente all’Italia.
Si parte dagli antichi romani, si prosegue con le Repubbliche Marinare di Genova e Venezia, continua con la partecipazione del Regno di Sardegna alla Guerra di Crimea, si conclude con gli “italiani di Crimea”. Sono stato in Crimea più di una volta, sia prima del 2014 anno del passaggio alla Federazione Russa che poi in seguito. Tutte le volte, insieme ai miei compagni di viaggi, siamo sempre entrati od usciti dalla penisola via mare, in traghetto. Il ponte, oggi uno dei nodi principali legati al conflitto in Ucraina, ancora non esisteva o sarebbe stato inaugurato da li a poco. Fino al 2014 c’era una frontiera da attraversare. La mia prima volta dall’Ucraina passavo in Russia. Alla stregua del guado dello Stretto di Messina, si passava qui peròi da uno stato verso un altro.
Il controllo dei passaporti, un timbro rosso sull’ ultima pagina, l’imbarco sul traghetto e circa trenta minuti di navigazione. Un viaggio per noi viaggiatori emozionale di circa mezzora con i gabbiani che accompagnavano il percorso della motonave. Poi l’attracco, un altro controllo passaporti, un altro timbro, accanto al visto russo questa volta ed il proseguimento del viaggio all’ interno di un altro stato. Nei viaggi effettuati dopo il 2014, invece, il controllo passaporti è stato sostituito da un controllo di sicurezza in stile aeroporto a garanzia dell’accesso al traghetto mentre vari punti ristoro e persino un piccolo hotel sono sorti a riempimento degli spazi che una volta servivano da dogana. Ora non c’è più nessuna frontiera a sbarrare il passo. Russia alla partenza, Russia anche all’ arrivo. Fluttuando per circa trenta minuti sulle onde provocate dai motori della turbonave quel paio di volte in cui sono tornato post 2014 volgevo lo sguardo alla ricerca dei cantieri del ponte che avrebbe presto collegato i due estremi dello stretto. La mia prossima volta le cose saranno nuovamente cambiate. Il battello, come la frontiera, è già diventato anch’ esso un romantico ricordo. Come il timbro rosso sull’ ultima pagina del passaporto dell’epoca che registrava l’uscita da un paese prima dell’ingresso in un altro. Il ponte di circa 16 km che collega la Crimea alla Russia è oramai operativo. La prima volta che presi il traghetto per attraversare lo stretto di Kerc passando da uno stato all’altro l’emozione era tanta. Lo è stata anche la mia ultima volta. Forse l’ultima mia traversata dello stretto in traghetto.

Luca Pingitore

* = Articolo pubblicato su Coessenza LaRivista

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