Giordania 2015. Il tavolo da gioco del Medio Oriente

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E’ la Giordania la protagonista del nostro ultimo viaggio, un pò a chiusura del cerchio iniziato con un precedente giro nei territori di Israele e Palestina.
La Giordania è per tutti Petra, il deserto del Wadi Rum, il mar Morto, il mar Rosso e poco altro. Questo per la maggior parte di viaggiatori e turisti che ci si recano e restano affascinati da un territorio, in alcuni punti, mozzafiato e suscitante emozioni particolari che solo améne località desertiche o archeologiche possono darti in giro per il mondo.
Un’ altissima percentuale di gente che si reca in Giordania, però, salta la visita della capitale Amman o non approfondisce determinati temi legati alla situazione sociale e politica del paese che è inscindibile da quella di tutta l’ area meglio conosciuta come “vicino Medio Oriente”.
Amman, ufficialmente, offre poco al turista puro e viene spesso utilizzato giusto il suo aeroporto come base di viaggio, al massimo in accoppiata ad una veloce visita della sua Cittadella e del suo Anfiteatro romano. , Ci sorge quindi spontaneo sostare nella capitale giordana per qualche giorno, dopo aver girato il paese in lungo ed in largo per più di una settimana.
La Giordania è, almeno fino ad ora, l’ unico paese stabile a livello politico e sociale di tutta l’ area mediorientale ma che presenta comunque delle situazioni meritevoli di approfondimento, soprattutto per chi è interessato a questioni del genere.
Come in un mare pescoso del sud dove basta immergere le proprie mani e tirar fuori dall’ acqua numerosi tipi di pesce, così se si vogliono avere incontri legati alla sfera delle relazioni diplomatiche internazionali, in ambito spionistico, strategico, politico, militare, terroristico, giornalistico o da “faccendiere” puro basta recarsi ad Amman. Ed entrare “nella notizia”, negli intrighi, nella questione mediorientale. Basta solo volerlo.
Mossi dalla forte curiosità e dalla bramosia di conoscenza che ci contraddistingue ed espresse soprattutto negli ultimi viaggi o nelle missioni elettorali cui io ho preso parte, ci è bastato giusto osservare in giro e parlare con la gente, locale e non, per notare dettagli forse poco conosciuti ed effettuare poi personali considerazioni.
La prima cosa che balza agli occhi è l’ alto numero di personale straniero che dipende da organizzazioni operanti nei più disparati settori od in ambasciate od in agenzie governative di vari paesi esteri.
Frequentare i moderni caffè, i bar, i ristoranti “occidentali” ti fa imbattere, anche non volendo, in mestieranti della geopolitica. Conosci una persona, ti presenti, ti scambi il nome dell’ ente od il governo per il quale lavori e la serata prosegue in maniera conviviale. E’ tutto così naturale. Lui sa che tu sei un “collega” anche se magari operi per una “posizione internazionale” in contrasto con la sua, tu sai lo stesso di lui e tutto è normale. Una cena, un paio di birre (nei locali per stranieri l’ alcool è ammesso), quattro risate. Poi fuori dal convivio, nel resto della giornata, tu persegui i tuoi obiettivi, loschi o meno, privati o da dipendente, e lui i suoi.
Come in Kosovo quando durante la gestione UNMIK del paese, i militari della missione internazionale e quelli dell’ esercito serbo la notte si ritrovavano negli stessi bordelli approntati da kosovari senza scrupoli e poi il giorno dopo si affrontavano con le armi.
Ad Amman magari il contatto ti serve anche per carpire informazioni, per instaurare collaborazioni, per apprendere voci e sai anche che lui sta studiando te e tu stai studiando lui. Ma è così che funziona. Un pò come nei film di James Bond, dove capitava che 007 durante una missione segreta comunque si presentava con nome e cognome e magari con una qualifica diplomatica.
Poi non è detto, in realtà, che tutti nascondano delle operazioni o delle missioni strategiche in loco e magari il loro ambito operativo è davvero quello che esce fuori durante la presentazione ma è ovvio che, volendo o meno, le informazioni girano comunque.
E risulta strano, per i vari “operatori” che stazionano nella capitale giordana, eventualmente imbattersi in viaggiatori “sui generis” che si muovono con cognizione di causa tra i tavoli dei caffè dove, sarebbe possibile, si decidono le sorti del mondo. La tua “qualifica” risulta poco credibile, quasi da far destare dei sospetti, un elemento fuori dagli schemi convenzionali dove tu sai chi sono io e per chi lavoro (o comunque millanto) ed io so chi sei tu e per chi operi (o comunque millanti).
Come quella volta, quando ancora il Kosovo stava uscendo dalla guerra propriamente detta, e nell’ atto di attraversare il ponte che divide Kosovska Mitrovica in due parti, quella albanese e quella serba, al check point il militare al quale ci presentammo come turisti, motivo reale, ci rispose pensieroso: “Turist?… Why not?…”, riconsegnandoci i passaporti.
Ed anche ad Amman passiamo per pesci fuor d’acqua imbattendoci in stagisti di organizzazioni tedesche partecipate dall’ USAID, impiegati marocchini dell’ ambasciata francese, statunitensi legati in qualche modo anch’ essi all’ USAID, “press agent” norvegesi che lavorano per l’ ONU a Sana’a in Yemen ma evacuati in Giordania, a conferma delle nostre supposizioni finali, in attesa della fine dei bombardamenti e che ci rendono partecipi delle varie esperienze avute in Iraq, Kenia, Malaysia, Eritrea.
Molti operatori stranieri sono arrivati in seguito alle aperture dei vari campi profughi dove si ammassano migliaia di rifugiati che scappano dalla Siria, come quello che notiamo nei dintorni desertici di Azraq, e che si aggiungono a quelli già esistenti di profughi iraqeni ed a quelli storici popolati dai palestinesi.
2 milioni di rifugiati in totale ci dicono. Campi per lo più congiuntamente finanziati, in maniera non propriamente pubblica, da Unione Europea ed USA. Voi ce li tenete, noi li finanziamo.
Ma incontriamo anche tante persone locali, soprattutto giovani, che lavorano per organizzazioni internazionali di differenti paesi o enti legati, comunque, agli USA che hanno una capillare presenza sul territorio giordano tramite la celeberrima agenzia USAID già citata. Non c’ e’ monumento, sito archeologico o sito di interesse turistico in Giordania che non presenta finanziamenti stanziati da questa agenzia statunitense. Il suo logo è dovunque ed accompagna il turista ed il viaggiatore in maniera subliminale per tutta la Giordania. In Bosnia ed in Ukraijna, dove già mi ero imbattuto personalmente in questo ente emanazione del governo USA, la presenza, almeno tangibile, non era così evidente come qui in Giordania. E soprattutto ad Amman dove tantissimi giovani, giordani o palestinesi con passaporto giordano, sono suoi dipendenti. In quante persone locali che erano collegate all’ USAID ci siamo imbattuti durante i nostri quattro giorni nella capitale? Tante se paragonate alla durata del nostro soggiorno ed al numero di persone incontrate. E’ ovvio, vien da dire, se l’ agenzia finanzia tutte le decine di siti sparsi per il paese necessita quindi di numerosi dipendenti. Ma è meno ovvio se nessuno di questi nostri incontri era dispiegato poi effettivamente in questi progetti.
Parlando con molti giovani di ora o con alcuni che giovani lo erano qualche hanno fa, spunta fuori un’ altra particolarità: in moltissimi hanno trascorso un periodo di studio o di formazione negli States. Risalta il fatto che una piccola nazione presenta un così cospicuo numero di persone cha hanno, in un modo o nell’ altro vissuto negli USA.
O magari, cosa ancora più curiosa, spuntano fuori ragazzi giordani, arabi quindi, che hanno studiato in una strana università immersa in mezzo al nulla, in pieno deserto del Negev in Israele, esattamente sul luogo dove sono sepolti Ben Gurion, che da il nome all’ università stessa, e sua moglie.
Midreshet Ben Gurion, ci siamo passati all’ inizio del nostro viaggio. Poco più che un kibbutz in una enorme desertica depressione geografica dove giovani studenti da tutto il mondo trascorrono un periodo di formazione. E poi magari finiscono a lavorare dentro l’ immensa ambasciata statunitense di Amman, sede anche dell’ USAID, dopo ovviamente un ulteriore stage negli Stati Uniti.
Ma i dettagli degni di nota proseguono.
Come l’ impero economico del signor Manaseer, il quale, dopo un periodo trascorso in Russia, fa ritorno nel proprio paese e con chissà quali finanziamenti diventa un magnate: distributori di benzina, autotrasporti, edilizia e vari altri settori sono la diversificazione dei suoi affari. L’ azienda è presente ovunque ed forse l’ oligarca più ricco di Giordania.
Giriamo per il paese, dal mar Rosso alle aree di confine ad est con Iraq ed Arabia Saudita fino a visitare la frontiera con la Siria a nord. Sarà stato il periodo dell’ anno forse ma la quasi totalità di turisti e viaggiatori incontrati in giro per il paese apparteneva ad una sola grande federazione di stati: gli USA, appunto.
Non è strano. Statunitensi turisti, studenti, lavoratori, li trovi ovunque ed a volte anche in grosse comunità. Già, ma in Giordania quasi solo loro in qualità di turisti. E sovviene in mente in quanti statunitensi mi sono imbattuto nel corso degli anni, per svariati motivi, ed in quanti di loro mi hanno parlato della Giordania.
La Giordania, un piccolo paese lontano migliaia di chilometri dagli States e che molti dei suoi abitanti cittadini medi, lo dice la realtà dei fatti, magari neanche riesce a collocarla geograficamente. Come del resto un europeo medio non conosce geograficamente le Filippine o un italiano medio la Moldova.
A meno che… a meno che tutte le agenzie e tutti i grossi canali turistici non pubblicizzino ed invoglino, anche con offerte economiche speciali, i loro cittadini a recarsi in un paese lontano che comunque ed è innegabile presenta alcune bellezze naturalistiche e storiche di pregevole fattura. O magari sceglie la Giordania come location per alcune produzioni cinematografiche hollywoodiane di caratura mondiale come “Transformers” o soprattutto “Indiana Jones e l’ ultima crociata”.
Alcune considerazioni balenano in testa.
Avvalorate ancor di più da quello che numerose persone locali, in primis la miglior fonte di informazioni al mondo: i taxisti, ci hanno affermato in più di un caso: “Noi giordani stiamo bene, ci manca poco o niente ma siamo e resteremo per sempre una colonia di USA e Gran Bretagna, anche per ovvi motivi storici oltre che finanziari e politici”.
Ed allora, forse proprio in quanto “colonia” ed utilizzata come base per i traffici politici in Medio Oriente, necessita di una sorta di “risarcimento”? Il turismo d’ oltreoceano viene convogliato con tutti i conseguenti introiti economici al seguito considerato anche il fatto che il dinaro giordano è una moneta forte ed i prezzi non sono poi così bassi e la maggior parte dei giovani viene assunta da organizzazioni o enti legati comunque all’ USAID et similia. Il gioco è fatto, governo risarcito e popolazione che resta buona facendo buon viso a cattiva sorte.
Non voglio addentrarmi in excursus storici e politici ma è noto a chi ha studiato la storia che il cosiddetto “vicino Medio Oriente” è nato a tavolino in seguito allo smembramento del Protettorato Britannico ed alla costituzione poi dello stato di Israele con alcuni governi della zona che sono stati “cooptati” dall’ esterno.
Pervadono altre riflessioni che sorgono da valutazioni e dettagli osservati o carpiti nelle varie conversazioni.
La Giordania presenta politicamente delle accentuate contraddizioni. E’ considerata la “Svizzera del Medio Oriente”, stato ufficialmente neutrale in mezzo alle fiamme delle guerre che scompigliano l’ area geografica in cui si trova ma allo stesso tempo teatro delle operazioni che le alimentano. Paese arabo non inviso agli altri paesi arabi, fratello della Palestina, amico per opportunità imposta di Israele, “colonia” degli USA ed in buoni rapporti con l’ Unione Europea ma sostanzialmente anche con la Russia.
I palestinesi con passaporto giordano o comunque nati in loco sono una moltitudine. Loro stessi non sono mai andati in Palestina in quanto la drammatica e vergognosa, dal punto di vista del trattamento delle persone subita in prima persona, frontiera con i Territori dei loro genitori sono controllati da Israele che non concede, o lo concede con enormi difficoltà, il passaggio.
Sono giordani, sono palestinesi ma vivono e sostengono un governo comunque in rapporti con Israele.
Salvo poi parlarne male ed ammettere di non amare i suoi abitanti.
La Giordania, un paese a metà tra due blocchi con la sua capitale Amman, il centro nevralgico dell’ intero Medio Oriente. La Giordania che si accolla milioni di profughi dietro ingenti rimborsi economici “occidentali”. La Giordania, la cui natura di stato cuscinetto fa comodo anche agli arabi, accettandola come un porto franco dove gli operanti della geopolitica mediorientale dei vari schieramenti si incontrano e discutono i destini dell’ area e non solo di quella.
Un caffè dove si entra, tutti tra di loro sanno chi è l’ altro avventore e cosa cerca e tra una birra ed un piatto speziato iniziano a giocare a Twilight Struggle (il gioco da tavolo sulla “Guerra Fredda”) ed a Risiko.
Giochi da tavolo però trasposti nella realtà, purtroppo.

LUCA PINGITORE

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