Curiosando per Karkhov alle elezioni. Ottobre 2014

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A Boryspil, uno degli aeroporti di Kiev, il controllo passaporti è intasato da passeggeri che arrivano da varie destinazioni mondiali ma è la folta comunità ebrea ultraortodossa con gli uomini dai lunghi riccioli e le donne coperte interamente da un velo, gli stessi che già osservai dal vivo a Gerusalemme nel quartiere Mea Shearim, che si mostrano in numero più massiccio rispetto alle altre nazionalità. Rientrano da Israele per venire a votare e si fanno notare per aspetto ed abbigliamento.
La scena si sposta alla stazione ferroviaria di Kiev dove è gelida la notte. L’ atmosfera fredda ed in penombra creata dalla fioca luce dei lampioni sul binario disegnano scene d’ altri tempi dove le uniformi delle varie provadnitse, le vecchie babushke che si occupano dei singoli vagoni ferroviari, fanno vivere la sensazione di trovarsi nella Kiev dei primi anni ’80.
Mi aspetto di affrontare il viaggio notturno su un classico ed emozionante trenaccio dal sapore e dagli odori sovietici ma constato con grande sorpresa che trattasi di un modello più moderno. Viaggiai in questo tipo di treno già alcuni anni fa proprio sulla tratta MinskKiev.
Il konduktor fischia.
Inizia il viaggio, inizia la missione per la quale mi trovo nuovamente in Ukraijna: destinazione Karkhov questa volta, nell’ estremo nord – est del paese.
Avevo intenzione di visitare Karkhov già da molto tempo ma per una strana ragione decisa dal destino, ci riesco solo ora e per un motivo più istituzionale che turistico: essere osservatore internazionale alle imminenti elezioni parlamentari.
Durante questi drammatici mesi che sta vivendo l’ Ukraijna, sulla città di Karkhov sono state dette varie cose e decine di sentenze. La situazione sembra alquanto tesa considerando anche che giusto pochi giorni prima del mio arrivo è stata abbattuta e distrutta la statua di Lenin che dominava una delle piazze più grandi d’ Europa. E’ giunto il momento quindi, per me poco inclìne durante situazioni del genere a credere a quello che sento e vedo per interposta persona o mezzo mediatico, di valutare lo stato reale delle cose. Ho a disposizione un paio di giorni oltre quello delle elezioni stesse per scandagliare la città, ascoltare le persone, osservare i numerosi dettagli, incontrare contatti locali e non.
La prima cosa che faccio è quella di girovagare per la città visitandola per la prima volta, apprezzandone le bellezze storico – artistiche e mescolarmi con la gente del posto con lo scopo di carpire davvero che aria tira da queste parti.
Ho ancora negli occhi la situazione che vigeva a Kiev durante le scorse elezioni di maggio o quella più recente, anche se con le dovute differenze, vissuta a Sarajevo qualche giorno fa sempre per gli stessi motivi.
E qui, invece, avverto in giro una certa quiete, una monotona normalità di una grossa città che sfocia quasi in una sorta di indifferenza generale. Non so se è perché la gente ucràina si è già giustamente stancata di questa situazione o forse perché qui siamo a Karkhov che non è Kiev, la capitale e centro nevralgico di tutte le operazioni e degli intrecci o forse sarà perché qui è davvero come si dice una “roccaforte” degli ucràini che vorrebbero tenersi attaccati alla tanto bistrattata (come popolo e come nazione) Russia.
Non lo so; voglio vederci più chiaro.
Ma l’ ambiente non mi aiuta. Se a maggio Kiev era tappezzata da manifesti elettorali, slogan politico – nazionalistici, banchetti dove si reclamizzava questo o quel partito ( seppur comunque di uno solo indirizzo), qui a Karkhov incappo in una ristrettissima manciata di cartelli in giro e giusto due gazebo che pubblicizzano un paio di partiti oltre ad uno sparuto gruppetto di giovanotti che davanti un centro commerciale invece di reclamizzare un sushi-bar questa volta la pubblicità gli tocca farla per uno schieramento politico.
Per il resto niente. Nessuno ne parla e niente quasi si avverte.
Non mi tocca che passare al colloquio diretto con la gente.
Anche in questo caso trovo persone, giovani, che sono addirittura poco preparati sull’ argomento. Mi sembra un pò strano, da noi “in Ukraijna c’è la guerra” mentre qui a poche centinaia di chilometri dal Donbass e quindi dal fronte quasi trattasi di una tragedia lontana. Perfino lo scorso agosto in Bielorussia la gente chiedeva a me “occidentale” cosa ne pensavo della situazione ucràina e quali notizie passavano da noi in Italia.
Ovviamente non tutti i miei interlocutori risulteranno distaccati dalla cosa ma ho trovato davvero una esigua percentuale di persone attive nella situazione e comunque informate. Certo, il mio è un campione molto basso per farne una prova significativa ma rispetto ad altre, questa volta è risultato più difficile parlare con la gente riguardo la situazione, quasi come se alla maggioranza di loro interessasse poco la cosa e volessero giusto vivere una vita normale.
In realtà, in un certo senso, ci sono però delle analogie con Kiev e me lo confermano alcuni ragazzi. Nella capitale, durante i giorni, i mesi del cosiddetto “maidan” ti potevi accorgere dello stato delle cose e della drammaticità di alcune giornate campali solo ed esclusivamente se ti fossi trovato in piazza o nelle immediate adiacenze di essa. La vita fuori dall’area di Maidan Nezalezhnosti continuava a scorrere quasi normale e chiunque fosse stato catapultato dal nulla in una zona poco fuori dalla piazza stessa magari neanche se ne sarebbe accorto di quello che stava accadendo. Me lo disse qualcuno a Kiev, me lo abbozza qualcuno qui a Karkhov che partecipò al “maidan” e me lo sottoscrive un mio contatto olandese.
Per una strana quanto curiosa coincidenza prese parte ad un progetto della sua ambasciata d’ origine con mansioni riguardanti un non meglio precisato “monitoraggio sulle ONG presenti in UKraijna”, vivendo quindi a Kiev giusto il periodo delle proteste di piazza. Per gli amanti della cabala segnalo che non è la prima volta che mi imbatto in partecipanti internazionali a vari stages tenuti nella capitale ucràina prettamente il tempo di durata del “maidan”. Cabala e coincidenze a parte, comunque, anche l’ olandese afferma chiaramente che viveva in una zona centrale di Kiev ma ti potevi accorgere delle proteste solo “tramite televisioni o passando per la zona della piazza stessa” se non eri un soggetto direttamente coinvolto nelle manifestazioni.
Nel mio contatto proveniente dalla “terra dei tulipani” avverto, però, una grossa contraddizione.
Esprime ideali di affrancatura da parte dell’ Ukraijna nei confronti della Russia e ha la forte convinzione che la cosiddetta “Novorossija” debba restare Ukraijna ed i famigerati “separatisti filorussi” essere sconfitti (seppur non accenni mai a caratteri violenti) ma è il primo ad incazzarsi all’ istante in maniera eccitata se qualcuno ( e chi della massa, del popolo, lo può sapere?, ) lo addita come “olandese”.
Guai a fare una gaffe del genere !
Forse neanche il dare del cipriota greco ad uno di Cipro Nord o viceversa dare del cipriota turco ad uno di Cipro formalmente detto, scatena una reazione del genere (parlo per esperienza personale).
Non è “olandese”,  l’ Olanda è solo una regione, una provincia, quasi la sola Amsterdam.
Lui è “from Netherlands, dei Paesi Bassi. I più non si accorgono della differenza, Olanda e Paesi Bassi sono da sempre stati per la massa due differenti termini utilizzati per la stessa nazione.
No ! Basta con questa gaffe !
Paesi Bassi è una cosa, Olanda un’ altra e lui non proviene in realtà neanche da una di queste due zone geografiche (chiamiamole a questo punto così) ma proviene dalla Frisia, una regione… ehm… stato racchiuso nei Paesi Bassi ma con una propria tradizione, cultura, lingua e bandiera. E se mai ci sarà un grosso movimento indipendentista ovviamente si schiererà a favore di esso.
Così convinto della autodeterminazione dei popoli che poi però disconosce le azione condotte dai “separatisti” in Ukraijna.
Sarà qui una situazione differente rispetto a quella del paese dalle due capitali? Forse si, forse no ma da “separatista” convinto mi sarei aspettato almeno qualche dubbio in più e qualche convinzione in meno.
E’ tornato in Ukraijna ed è ancora attivo tanto come la sua ambasciata, a quanto pare molto interessata alla causa ucràina,  che per queste elezioni mette in campo una serie di osservatori “privati”, come d’ altronde fece anche per quelle precedenti, e che gli fornisce documenti dei quali prendo anche io visione.
All’ apparenza trattasi di innocue presentazioni dei partiti in lizza e dei relativi canditati, di considerazioni di carattere generale sulla situazione politica locale ed un sondaggio il cui risultato ultimo è la previsione dell’ astensionismo dell’ elettorato ucràino. Non proprio una previsione da Nostradamus visto che poi il sondaggio olandese ci azzeccherà.
L’ apparenza inganna ma non la fa all’ occhio attento.
Le relazioni elettorali dei tulipani, infatti, scorgo non essere proprio di iniziativa autonoma ma legate a qualche solita fondazione “di carità” che non mancano mai in questi casi e senza stare a ripetermi, chi ha letto alcuni miei precedenti articoli lo sa, imperversano gettando fiumi di soldi per il raggiungimento della “democrazia” come scopo finale. E lo scopo finale va raggiunto anche e soprattutto tramite queste organizzazioni che operano un pò dovunque e non sono altro che “vasi di pandora” dai contenuti politici e di alto potentato principalmente a stelle e strisce.
Ed anche qui a Karkhov come nelle mie precedenti segnalazioni a Kiev, a Sarajevo, a Tashkent, a T’bilisi ed altrove che spunta il nome di, questa volta una nuova per me, organizzazione: IFES – International Foundation for Electoral Systems che annovera tra i suoi finanziatori la oramai celeberrima ed onnipresente nostra vecchia conoscenza dell’ USAID – US Agency for International Development, agenzia che fa capo al governo statunitense.
Saranno anche rispettabili queste organizzazioni come l’ IFES che in questo caso contribuirebbe all’ aiutare vari procedimenti elettorali in giro per il mondo ma…  qualche dubbio sull’ autenticità della cosa ti può sorgere spontaneo se c’è sempre di mezzo una agenzia governativa di un qualunque stato estero.
Almeno l’ idea di un presunto “conflitto d’ interessi”.
Continuo le mie ricerche girovagando per la città. Una città che comunque mi cattura.
Smetto i panni del “ricercatore” e ritorno in quelli a me più consoni del viaggiatore che frequenta assiduamente l’ Europa orientale da più di dieci anni. Karkhov si presenta come una località che esprime su buoni livelli la tanto decantata “volgarità”, le quali emozioni avvertite dalla ricerca della stessa mi spingono a viaggiare sempre di più.
Non è più facile di questi tempi avvertire emozioni forti nel visitare luoghi appartenenti all’ Europa geografica. Oramai dentro e fuori l’ UE tutto si sta appiattendo. Almeno per gente come me che ha avuto la fortuna di vedere molti posti come erano prima, seppur nell’ ultima fase di cambiamento.
Esco dal centro e mi incuneo sempre più nella periferia che porta ancora i simboli di un mondo e di un’ era politica che non c’è più. Sono molti i particolari che richiamano ai tempi di quando Karkhov non era altro che una città della periferia di quella che fu l’ Unione Sovietica. Si avverte all’ istante la differenza, anche architettonica, con le città ubicate dall’ altro lato dello stato ucràino.
Giungo dopo una clamorosa camminata fino a quello che era uno dei fiori all’ occhiello dello stato sovietico e che l’ Ukraijna ha ereditato e continuato ad utilizzare allo stesso modo di prima fino a rivolgere i suoi “frutti” proprio contro la Russia demonizzata in questi mesi come novella Urss per un idealizzato taglio definitivo del cordone ombelicare col passato.
Il posto che cercavo mi appare quasi nascosto e non si fa troppo notare. Sono al cospetto della Fabbrica di Carri Armati Malyshev in funzione durante l’ Unione Sovietica prima ed in Ukraijna oggi.
L’ industria, sul cui conto in Italia girano voci circa strani intrecci di potere, produce carri armati per il proprio esercito che li utilizza nel Donbass.
E proprio a conferma di ciò, giusto davanti l’ ingresso della parte di stabile visibile dalla strada e che sembra dismesso ma non lo è scorgendo alcuni movimenti al suo interno, che campeggia una enorme scritta di ringraziamento per la funzione che svolge, dipinta da qualche cittadino compiaciuto.
Ripercorro a ritroso la strada verso il centro cercando valide alternative viarie. La periferia un po più trasandata presenta in contrapposizione il moderno stadio costruito per i Campionati Europei di calcio del 2012 che magari resterà una classica cattedrale nel deserto considerato anche che la locale squadra milita, almeno ora, nelle serie minori del campionato ucràino. Sono già lontani, a detta di alcuni del luogo, quei giorni nei quali orde di tifosi stranieri festanti invasero la città e niente lasciava presagire questi tempi drammatici.
Alcune strade laterali del vasto centro cittadino sconfinano nella volgarità più pura. Basta girare l’ angolo e l ‘ atmosfera cambia. In alcuni momenti ho dei flashback mentali che mi riportano a Rostov-na- Don in Russia.
Noto un paio di case distrutte ed abbandonate e penso come sarebbe facile fotografarle e spacciarle per zone di guerra. Chiunque potrebbe essere tratto in inganno. Feci lo stesso esperimento anni fa a Pristina durante la demolizione di un palazzo in cui mi imbattei per caso. Le foto, di pessima qualità tra l’ altro, da me scattate sarebbero potute senza problemi essere spacciate per foto dal fronte ed il trovarmi in Kosovo avrebbe aiutato in questa messa in scena.
Penso alle varie notizie manipolate che più che spesso circolano su questi luoghi e che vengono utilizzate per fomentare la paura e l’ odio.
Visito la spaziosissima piazza Svobodi con la base che sosteneva la statua di Lenin rimasta col solo piede destro attaccato e nel quale è stata issata una bandiera ucràina.
Questa sera è prevista in città una manifestazione degli stessi personaggi che hanno spaccato la statua qualche giorno fa eliminandola dalla storia, piacevole o drammatica che sia stata.
I nazionalisti di Pravy Sektor ed i loro colleghi di Svoboda sfileranno insieme cercando di raccogliere consensi elettorali ed adepti.
Karkhov però non è L’ viv o Kiev dove io stesso notai, in entrambi i posti, una grossa partecipazione popolare a questi movimenti ed infatti si radunano non più di cento giovinastri al grido dei vari slogan nazionalisti e in stile da combattenti.
Visito la postazione degli attivisti di una fantomatica associazione chiamata ““Sorella Carità per la missione ATO – sezione di Karkhov”. Uno dei volontari, saputomi italiano, insiste in russo di volermi spiegare le finalità della loro organizzazione, mi concede libertà di ispezione all’ interno del tendone e non la smette un attimo di illustrarmi il tutto ostinandosi anche quando gli dico chiaramente che la lingua la comprendo solo fino ad un certo livello. Il suo sguardo, quando mi stringe la mano, fermo e grave come non ne avevo mai visti, mi penetra dentro e mi colpisce tanto da lasciarmi per qualche istante inerme. A quanto pare raccolgono vestiti, medicinali, generi di varia necessità per i battaglioni che combattono al fronte. Non mi sembra di scorgere armi come invece fu in maidan Nezalezhnosti a Kiev. Anche se il ragazzo è vestito in mezza uniforme e sono legati ad un’ altra organizzazione di stampo militaristico chiamata “Pubblica autodifesa” a sua volta collegata con le “pattuglie Sloboda e Karkhov 1 dei battaglioni della poliziaspeciale”. Tutte e tre le organizzazioni accettano offerte economiche attraverso versamenti sulla UkrSibbank che vengono poi girati su di un conto di una filiale di New York della PNP Paribas, della quale la UkrSibbank  è una controllata.
Entro in contatto con giovani esponenti della “Fondazione delle Iniziative Regionali” di cui non si comprende bene l’ attività sorta ad Uzhgorod, nell’ estremo ovest del paese, e poi espansasi nel resto dello stato.
Giro per Karkhov di giorno ma anche in solitaria di notte, come da personalissima tradizione. Voglio assaporare, come è noto, appieno il luogo in cui mi trovo e quale migliore momento per farlo se non in notturna e da solo?
Ci sono -7° è vero ma tanto poi mi scalderò in casa. Certo, con la stufetta elettrica dato che l’ accensione dei riscaldamenti a Karkhov e, come poi verificherò personalmente, anche a Kiev e nel resto del paese non è ancora ammessa da parte del Governo in carica. Sarà a causa dei rubinetti del gas chiusi dalla Russia e quindi con lo scopo di evitare sprechi?
Continuo i miei colloqui in città. Incontro gente di Mariupol, altra città nel sud ai confini del fronte e dalla situazione instabile, gente della Crimea da poco passata sotto la Russia e tutti mi rispondono che sono più gli anziani che rimpiangono l’ Urss che i giovani. Gli stessi giovani che poi, il giorno delle elezioni non andranno però a votare.
Mi dicono, a differenza delle testimonianze che registrai ad Ivano – Frankivsk e L’ viv lo scorso gennaio,  che la gente non è contro la Russia ma loro comunque sono ucràini. Ed anche la lingua parlata ucràina, russa, per loro fa poco differenza ma l’ idioma russo risulta quello preferito, nonostante poi mi imbatterò anche in qualcuno un po più esagitato che ne farà una questione più importante.
Queste affermazioni mi ricordano qualcosa di simile che ascoltai in Georgia, ai tempi della “guerra” del 2008, dove molte persone mi disserò: “Noi non siamo contro la Russia ed i russi, siamo stati insieme e praticamente fratelli fino a ieri. Alla fine questa guerra non è nostra ma dei politici”.
Le persone originarie della Crimea che incontro, trasferitisi a Karkhov già da anni e quindi prima che passasse sotto le insegne russe, mi dicono che hanno preferito tenersi il passaporto ucràino in luogo di uno nuovo russo, al contrario dei genitori e delle famiglie, per le quali, continuando a vivere in Crimea è stata una scelta, condivisa o meno, ma naturale. Genitori russi e figli ucràini.
Mi informo su cosa pensano della situazione che è accaduta nella loro penisola e mi ribadiscono che anche in Crimea sono più gli anziani contenti del passaggio alla Russia rispetto ai giovani.
Mi imbatto in una signora tatara di Crimea. Anche lei ha optato per il passaporto ucràino mentre la sua famiglia è rimasta tatara russa di Crimea. Rispetto agli altri lei è molto motivata contro l’ “invasore” russo.
La minoranza tatara lamentava forti discriminazioni da parte del governo ucràino che non li tutelava abbastanza. Ora lo stesso fanno col nuovo governo russo.
Con alcuni parlo delle eventuali differenze che esistono tra Ukraijna dell’ ovest e quella dell’ est. Il discorso si sposta verso l’ odio che nell’ ovest trionfa indistintamente verso il governo russo, lo stato russo ed il popolo russo e per conseguenza diretta verso i “filorussi” ucràini dell’ est del paese. Non hanno notizia di questo odio e stentono a crederci quanto gli racconto qualche episodio vissuto da me in prima persona o appreso da fonti dirette in Italia.
E’ il momento di incontrare qualcuno apertamente schierato ed invischiato nella questione. Attivo a Kiev nei giorni del “maidan” ed attivo ora a Karkhov, la sua città.
Preferisce la lingua ucràina a quella russa. Gli chiedo se hanno sempre parlato ucràino anche in famiglia. No, la sua famiglia parla esclusivamente il russo ma un giorno, tempo fa, il fratello se ne tornò con la novità che bisognava parlare solo ucràino e lui ha seguito i suoi dettami. I genitori parlano in russo ed i figli gli rispondono in ucràino.
Ha i parenti a Murmansk ma questo non gli impedisce di attaccare la Russia.
Gli chiedo se appoggia Pravy Sektor ed i vari battaglioni paramilitari che combattono nel Donbass e mi risponde dicendomi che non esprimono la sua posizione ma li apprezza perché sono gli unici, a differenza di tutti, che fanno poche parole e molti fatti. Gli altri solo parlano, Pravy Sektor si sporca le mani ed è sempre in prima fila, a Kiev come a Donetsk e Lugansk.
Noto con sorpresa che diversi ragazzi studiano e parlano il cinese. E’ la prima volta che mi imbatto in stranieri che imparano questa lingua ed in numero rilevante. Il motivo mi è presto spiegato: i cinesi stanno acquistando tutto nella zona, fabbriche, imprese, terreni  e piano piano stanno accrescendo potere ed iniziano a fioccare gli affari bilaterali. In conseguenza di ciò in molti trovano più conveniente studiare il cinese che il tedesco o lo spagnolo, lingue che vantano un certo seguito ad esempio.
Molti addirittura non sognano gli USA, l’ EU, l’ Italia ma ambiscono alla Cina. Pare che i visti per la Cina, tra l’ altro, siano concessi senza grossi problemi. A differenza di quelli per gli stati dell’ Unione Europea. Candidamente affermano che vengono concessi con difficoltà anche i visti per motivi di studio perché la probabilità che una volta fuoriusciti dal paese non si faccia più ritorno è molto alta.
Anche loro non escludono di avvalersi di questa ipotesi in caso ne avessero l’ opportunità giustificando quindi, in un certo senso, il vigente regimi dei visti da un lato ma dall’ altro chiedono a gran voce l’ eliminazione dello stesso. Anche con il rischio di una eventuale fuga di massa dal paese. Lo stesso per il quale fanno la rivoluzione. E la guerra.
Arriviamo al giorno delle elezioni.
Il primo seggio ci accoglie con la babushka – bidella all’ ingresso che spara una musica popolare romantica a tutto volume nell’ ingresso della scuola sotto l’ effigie di Marx incastonata in una specie di mosaico socialista.
Assisto insieme al mio collega spagnolo alle procedure di apertura del seggio e ne giriamo molti altri durante l’ intera giornata, in differenti zone della città, fino a seguire il lungo conteggio delle schede elettorali  terminato a tarda notte inoltrata.
Quello che noto subito è la totale differenza con le elezioni presidenziali di maggio a cui assistetti a Kiev.
Lì, sull’ onda dell’ entusiasmo del momento, in pieno “maidan” i seggi furono presi d’ assalto, anche se soprattutto da persone più anziane, e la confusione regnava sovrana.
Alcuni seggi erano diventati una bolgia.
O forse non era l’ entusiasmo ma era giusto Kiev, qui siamo a Karkhov dove l’ indifferenza sguiscia indefessa. In molti seggi vige la monotonia e la noia.
La situazione comunque si diversifica da seggio a seggio, anche circa la registrazione di noi osservatori.A volte veniamo registrati su un quadernaccio, altre volte sul vero e proprio registro apposito.
Le urne sono sempre in plexiglass trasparente ed il voto espresso può risultare visibile da chiunque. Apprendo comunque che anche in Spagna funziona così con la differenza che la scheda viene comunque chiusa prima in una busta.
In un seggio uno scherzo del destino fa apparire il sosia di Putin tra gli elettori.
Fuori e dentro le sezioni elettorali  tutto comunque è regolare. Anche i poliziotti addetti alla sicurezza, un agente per ogni seggio, sono come dei fantasmi, non si vedono e restano chiusi nelle guardiole dei bidelli a gozzovigliare, guardare film su internet, aspettare la fine della lunga giornata. Indifferenza anche tra di loro.
Notiamo alcuni componenti di commissione che non sanno scrivere in ucràino e chiedono aiuto ai colleghi. Un po come era successo in un seggio di Sarajevo dove un membro bosniaco non riusciva a districarsi con il cirillico serbo. Contraddizioni naturali da queste parti.
Una commissione è infastidita dalla nostra presenza tanto da scadere quasi nell’ incazzatura.
Ci chiedono che lavoro facciamo nei nostri paesi d’ origine ma la risposta se la danno da soli: siamo dei nullafacenti. Altrimenti “non saremmo venuti in Ukraijna a perdere del tempo per seguire le elezioni”.
Si rivolgono con insolenza alla nostra traduttrice locale ma il mio livello di russo è tale da non perdermi una parola del loro discorso. Capisco anche tutto il disprezzo nei nostri confronti quando ci restituiscono i passaporti additandoci come dei “bez raboti”, dei “senza lavoro”, dei disoccupati fannulloni.
Non contenti ci chiedono i passaporti indietro per controllare se il nostro visto fosse a posto. Quale visto? Non abbiamo bisogno del visto per entrare in Ukraijna e tanto meno non sono tenuti a controllarcelo nell’ eventualità. Ignoriamo infatti la loro richiesta.
Alla fine l’ affluenza ai seggi sarà in linea con quella generale dell’ intero paese, bassa dovunque.
Lo studio dell’ IFES distribuito dall’ ambasciata olandese ci aveva visto giusto.
Anche sulle percentuali irrisorie dei giovani votanti. I vecchi sono quelli che hanno fatto si che il quorum fosse raggiunto.
Incontriamo diversi osservatori inviati dal Canada, uno dei paesi con i più grossi interessi nel paese.
Alcune rivelazioni “targate” Repubblica Ceka a cui ho accesso, ne attestano almeno trecento ufficialmente accreditati. Sono reclutati ed inviati dall ‘ Ukrainian World Congress che svolge un ruolo predominante in Ukraijna.
Osservatori e cooperanti dell’ UWC erano presenti anche in giro per Kiev e annoveravano il loro quartier generale proprio nell’ unico hotel ubicato all’ incrocio tra maidan Nezalezhnosti  e vulitsa Grushevskogo da dove vari giornalisti e operatori stranieri guardavano gli scontri e intrecciavano contatti.
Ad ascoltare le dicerie dei media ufficiali Karkhov avrebbe dovuto mostrarsi come una città pericolosa e sull’ orlo della rivolta. Ho trovato , invece, una situazione generale un po dimessa e, nonostante i molti voti espressi a favore dell’ opposizione comunista, molta altra gente, sempre con toni moderati, mi ha espresso di essere più vicino al nuovo corso dell’ Ukraijna .
Forse la gente, in fondo, vuole solo vivere bene ed in pace ed aspira a quello che gli viene presentato migliore di quello che ha. Senza davvero sapere se ciò sia vero o meno, quali conseguenze comporta una determinata scelta. Il popolo, la massa, in generale e dovunque, non solo qui a Karkhov ed in Ukraijna vengono costantemente inebriati di vari “paradisi terrestri”. Le guerre si vincono oramai soprattutto a livello mediatico. E qui è stato fatto un discreto lavoro soprattutto tra i giovani ai quali, prima di ripartire ad elezioni terminate e caratterizzate dalla bassa affluenza soprattutto di essi stessi, chiedo:
”Ma come, avete fatto la rivoluzione ed ora non andate neanche a votare? Allora che senso ha avuto tutto questo casino fatto?”.La domanda non troverà risposta o meglio resterà nel campo delle contraddizioni.

LUCA PINGITORE

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