Caporetto. Causa e resti della disfatta

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La battaglia di Caporetto, o dodicesima battaglia dell’Isonzo, (in tedesco schlacht von Karfreit, o zwölfte Isonzo schlacht) venne combattuta durante la prima guerra mondiale (24 ottobre – 12 novembre 1917) tra il Regio Esercito italiano e le forze austro-ungariche e tedesche.
Lo scontro, che iniziò alle ore 2:00 del 24 ottobre 1917, rappresenta tutt’ora la più grave disfatta dell’esercito italiano.
È stato il più imponente scontro armato di tutta la storia dell’umanità combattutosi in regione montuosa, la più importante battaglia avvenuta in terra slovena, la meglio riuscita operazione di sfondamento della prima guerra mondiale.
Le truppe italiane, impreparate ad una guerra difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell’Isonzo, non ressero l’urto delle forze nemiche e dovettero ritirarsi fino al fiume Piave subendo gravi perdite umane e logistiche.
In seguito alla sconfitta, fu rimosso dal Comando Supremo il generale Luigi Cadorna (1850-1928), che aveva ingiustamente imputato l’esito infausto della battaglia alla viltà dei suoi soldati. Al suo posto fu nominato Armando Diaz (1861-1928). I soldati italiani si riorganizzarono abbastanza velocemente e diedero prova del loro valore, creduto perso, fermando le truppe austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del monte Grappa (13-26 novembre 1917), permettendo così all’intero esercito di difendere ad oltranza il Piave.
Aldilà delle responsabilità di singole piccole e medie unità, le colpe maggiori di ordine strategico e tattico non possono che essere attribuite in ordine al Comando Supremo (Cadorna), al comando della Seconda Armata (Luigi Capello 1859-1941), ed ai tre comandanti dei corpi d’armata coinvolti (Alberto Cavaciocchi, 1862-1925, 4° Corpo d’armata – Pietro Badoglio, 1871-1956, 27° Corpo d’armata – Luigi Dongiovanni, 1886-1941, 7° Corpo d’armata).
Sul piano generale, Cadorna ha la colpa di non aver sviluppato una dottrina militare meglio aderente alle necessità della guerra di posizione.
Inoltre, era propenso ad evitare le riunioni congiunte con i comandi d’armata.
Un’altra causa della sconfitta è da ricercare nell’uso improprio dell’artiglieria. L’artiglieria italiana, sebbene numerosa e ben rifornita, non aveva ricevuto un addestramento sufficiente e nessuna differenza si faceva sul suo uso offensivo e difensivo: si chiedeva semplicemente di disporre i cannoni il più avanti possibile per aumentarne la gittata utile. È da aggiungere, che molti artiglieri non erano provvisti di fucili, e che non si era pensato a delle fanterie da porre a protezione delle batterie di cannoni. La debole e intempestiva risposta delle artiglierie italiane sul fronte del 27° Corpo d’armata è una delle ragioni accertate dello sfondamento ma, il motivo per cui ciò avvenne, è tutt’oggi fonte di disquisizioni.
Tra le cause ipotizzate, vi sono:

A) Ignoranza dei comandi italiani sull’uso difensivo delle artiglierie, in particolare nella fase di risposta al fuoco nemico.
L’avere ordinato più o meno esplicitamente di non rispondere al tiro avversario (ore 2:00 – 6:00 del 24 ottobre) fu un grave errore anche se, a parziale discapito dei protagonisti, è utile osservare che fino ad allora questa era la regola di utilizzo delle artiglierie nell’esercito italiano.

B) Le condizioni meteo avverse (nebbia, pioggia battente a valle, nevicate in alta quota) impedirono alle prime ed alle seconde linee italiane di scorgere in tempo l’avanzata delle fanterie nemiche e, di conseguenza, di ordinare il tiro controffensivo con i piccoli e medi calibri, mortai e bombarde divisionali. Bisogna osservare che i tedeschi agirono esplicitamente con l’intento di fare meno rumore possibile ed, in effetti, la maggior parte dei soldati italiani di prima linea vennero catturati senza sparare.

C) Il tiro di preparazione, ma più ancora quello di distruzione nemico, fece saltare i collegamenti telefonici tra i reparti combattenti ed i comandi.
Nel contempo, le pessime condizioni meteo impedirono l’uso dei segnali ottici ed acustici per la comunicazione. Fu necessario ricorrere in extremis alle staffette, con tutti i ritardi implicati. Per risolvere questi problemi, il nemico comunicò più efficacemente mediante razzi luminosi.
Badoglio aveva comandato alle sue artiglierie che l’inizio del tiro controffensivo sarebbe dovuto iniziare solo dietro suo ordine esplicito ma, al momento giusto, causa mancanza totale di comunicazioni, non fu in grado di darlo. Tra l’altro, Badoglio, individuato dalle artiglierie nemiche, spostò varie volte il suo comando trasmettendo ogni volta la sua nuova posizione. Tuttavia, gli operatori tedeschi addetti alle intercettazioni telefoniche furono in grado di passare sempre le giuste coordinate all’artiglieria, che impedì così al capo del 27° Corpo d’armata di prendere stabilmente contatto con i suoi uomini. Complessivamente, la disfatta di Caporetto costò all’esercito italiano: 11.600 morti; 30.000 feriti; 265.000 prigionieri; 3.200 cannoni; 1.700 bombarde; 3.000 mitragliatrici; 300.000 fucili.
Caporetto oggi Caporetto (Kobarid in sloveno, Karfreit in tedesco), è una pittoresca cittadina dell’Alto Isonzo sovrastata dalle cime del Monte Nero, del Matajur e dello Stol, lambita dalle vivide acque dell’Isonzo, del Natisone e dei loro numerosi affluenti e cascate.
Lo stupendo paesaggio delle Alpi Giulie offre ai i turisti la possibilità di passeggiate o di attività sportive: pesca, escursioni alpine, ciclismo, kayak, rafting, canoa, parapendio, ecc.
La spedizione O.T.R.A. tenendo sempre la barra dritta sui luoghi più culturali, ha visitato il celebre Museo e l’Ossario italiano.
Inaugurato il 20 ottobre 1990, il Museo di Caporetto illustra ai visitatori quanto accadde sul fronte isontino durante la prima guerra mondiale con una rappresentazione particolarmente dettagliata dell’omonima celebre battaglia. Nel Museo è rappresentata anche la storia di Caporetto dal periodo preistorico ad oggi. Per la sua istituzione e per la forza narrativa delle sue collezioni il Museo ha ricevuto nel 1992 il piu alto riconoscimento sloveno per i musei, il Premio Valvasor, ed anche, nel 1993, il premio del Consiglio d’Europa riservato al migliore museo europeo.
L’Ossario italiano, costruito sul Gradic (308 m. s.l.m.), culmina al centro con la chiesa di Sant’Antonio. Vi si accede attraverso una strada ai margini della quale sono disposte le stazioni della Via Crucis. Dopo tre anni di lavori, fu inaugurato da Benito Mussolini (1883-1945) il 18 settembre del 1938.
Il medesimo giorno, il Presidente del Consiglio inaugurò il Sacrario militare di Redipuglia. Il progetto è dello scultore Giannino Castiglioni (1884-1971) e dell’architetto Giovanni Greppi (1884-1960), gli stessi ideatori dei Sacrari di Redipuglia e del Monte Grappa.
Ha forma ottagonale ed è costituito da tre gradoni concentrici degradanti verso l’alto. Gli archi dei due gradoni inferiori accolgono le spoglie di 7.015 caduti traslati dagli ex cimiteri italiani dell’Alto Isonzo. Gli Ignoti, ben 2.748, sono raccolti in sei grandi tombe ricavate ai lati delle scalinate centrali. I nomi dei caduti riconosciuti sono incisi in ordine alfabetico su lapidi in serpentino verde sormontate dalla parola “Presente”.
Nella parte posteriore, sono visibili i resti di alcuni monumenti e lapidi tratti dai numerosi cimiteri militari dismessi tra Bovec e Gabrje.

MARCO LOPEZ

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