Belgrado on the road

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“Nell’amore non bisogna mai affrettare il Piacere”
Publio Ovidio Nasone – I a.c

Alla fine di luglio 2011, sbarcato in quel di Sofia per la prima volta, cercavo ansiosamente punti in comune con le diverse realtà estere da me vissute, da occidente a oriente. Soprattutto però ricercavo i tratti distintivi di quella penisola frantumata che sono i Balcani. Dopo 12 mesi di avventure on the road per quelle terre,da nord a sud, da est a ovest, attraversando capitali, stati, confini politici, confini culturali, il quadro cominciava a presentare ai mie occhi un aspetto quasi ordinato, chiaro nella sua estrema complessità. A tale puzzle mancava però la tessera centrale, la chiave di volta di quel mondo così affascinante. Da anni si vagheggiava su Belgrado. Capitale Serba, famosa per guerre e soprusi.
Città orgogliosamente nazionalista. Già a novembre discusso e doloroso taglio al viaggio nord balcanico. La volontà era doppia: dedicarle un viaggio singolo e far aumentare il desio della meta. Rientrato da Skopje in un afosa giornata di maggio, immersomi nell’alcolica socialità veneta, decido le possibili date della dipartita alla conquista della città dei due fiumi. Ultimi due week end di luglio. Appurata la dolorosa defezione del Maestro causa lavoro asfissiante, deciso a guadagnarmi Belgrado in macchina, urge aprire le selezioni per chi potrà degnamente accompagnarmi nel viaggio. Cosa non facile. Da una prima scrematura sembra ormai rimasto un solo candidato che accetta entusiasta. Il Cisolla rappresenta una garanzia. Decido però di lanciare un secondo amo ad un altro amico, che non solo accetta ma prega venga scelto l’ultimo week end di luglio, causa impegni presi precedentemente. Il Veneziano sarà così il terzo componente della spedizione belgradese.

27-29 luglio 2012 – Belgrado
La strada la conosco, essendo già arrivato sino a Ruma, la città un po’ meno. Parto dal racconto emozionato di un camionista serbo incontrato in dicembre che mi racconta del luglio belgradese, delle chiatte danzanti sulla Sava (gli spavlovi), dell’ospitalità serba e della rakja che già ben conosco dall’esperienza novisadese. Mi educo attraverso una delle maggiori opere sui viaggi balcanici mai pubblicata, “Balcani” di Luca Tocco. Studio l’urbanistica cittadina per ore. Prenoto una stanza in ul. Oblilcev Venac, adiacente pedonale della sontuosa Knez Mihailova. Mancano 4 giorni alla partenza ed ecco il pacco dei pacchi. Il Cisolla declina tristemente per svariati motivi. Informo il Veneziano che impreca allegramente e sancisce la sua volontà a partire. Non ne dubitavo. Sono circa le 5.20 a.m quando la fessura della barriera autostradale di Verona Est emette il tagliando del via. Il viaggio sino a Trieste scorre a bassa voce. La stanchezza, il buio che si fa giorno, le strade conosciute a memoria da entrambi. Caffè e brioches. Il Veneziano mi confida un po’ di timore, qualche velato pregiudizio verso la nostra meta e la convinzione che comunque andrà sarà mitica. Cerco di rassicurarlo circa la Serbia ed i Serbi. Nonostante vi sia passato soltanto una volta mi sento di garantire per loro. Vignetta slovena. Ljubljana. Sali e scendi. Colline e foreste. Ecco la Croazia. Zagreb. Questa volta niente sosta pranzo. La strada è lunga, il tempo poco, soprattutto, la voglia di arrivare tanta. Passata la capitale croata si apre sotto di noi e avanti noi l’immensa pianura centrale balcanica. Seguendo sempre più ad est il tratto autostradale i km sembrano non passare mai. Velocità sostenuta, sole in faccia ma strada sempre tanta. Slavonski Brod ci fa annusare aria di Rep Srpska, la frontiera di Batrovci ci accoglie festante in terra serba. Stanchezza e abbiocco sono rimaste oltre frontiera, in terra croata. Adrenalina, emozione e tempistiche oltre le più rosee aspettative sono ora le nostre uniche compagne di viaggio. Tutto sembra rivestito di una luce nuova. Il sole fin lì asfissiante e fastidioso appare ora splendente e festante in tutto il suo brillare nell’azzurro cielo di Serbia. Case, palazzi, negozi. Aereoporto sulla destra. Beograd. Una scorrevole tangenziale ci introduce nel cuore cittadino attraverso palazzoni, blocchi, grigio e cemento. Adoro questi paesaggi. Adoro queste brutture così contrastanti col bello intrinseco queste terre. Accenno al Veneziano la vecchia teoria mia e del Maestro circa “l’Equivalenza dei Blocchi”. Sorrisi ebeti e concentrazione. Canniamo la prima uscita per il centro, alla seconda siamo già in grado di orientarci a naso. Una folata di pesante smog entra nel nostro abitacolo mentre risaliamo la collina sovrastante la Sava. Bella, giovane, fragrante sorella minore del Danubio. Qui in versione saggia e pensosa. Spettatore della vita cittadina al di là del colle. Azzeccate un paio di svolte per puro istinto decidiamo di chiedere informazioni a un gagliardo giovane a bordo strada. “pravo – leva”. Troppo facile. Alla seconda svolta, orchestrata da una sinfonia di sclassonate, siamo inseguiti da una motocicletta lampeggiante. Non il tanto sospirato comitato di benvenuto bensì un poliziotto ligio al suo dovere. Accosto prontamente. Il Veneziano impreca contro la sfiga, io non parlo per non tirarmela. Abbassato il finestrino,appurata l’incomunicabilità che ci avvolge a mo di opera Sartriana di metà novecento, consegnati i documenti mi affido nell’ordine a due miei assodati cavalli di battaglia espressivi: 1- sguardo pietoso languidamente rincoglionito 2- sguardo pietoso languidamente e tristemente rassegnato. Annuisco, sempre! La cifra di 5000 dinari è già impressa con sanguinante inchiostro sulla nostra contravvenzione, la filastrocca dell’andare in banca a pagare la conosco già dalle precedenti esperienze montenegrine e kossovare poi finite in gloria di grazia. Il Veneziano assiste dubbioso alla scena, conosce le due perle precedenti, ma la storia sembra cambiare. Mi gioco l’ultima carta del perso per perso. Consegnata nelle manone dell’orgoglioso poliziotto la piantina di Beograd indico il nome della nostra meta. Questo afferra la sanguinante biro blu e traccia il tragitto che dovremo seguire per giungere a destinazione. “Stavolta te l’ha attaccata” esclama il Veneziano. Al sentire queste straniere lamentazioni il cuore pulsante d’orgoglio serbo del nostro interlocutore si scioglie. Afferra la contravvenzione e la strappa davanti a noi. Batte il petto ed afferma “Serbian”. Idolo totale. Su di giri ripartiamo alla volta della viuzza consigliataci per il parcheggio. Posteggio a pagamento tramite sms che ovviamente non funziona col nostro numero volgarmente italico. Ancora una volta la provvidenza serba ci soccorre. Un secondo poliziotto si offre di prestarci il telefonino per garantirci una sosta tranquilla sino a che non avremo raggiunto l’hotel a piedi, seguendo le precise indicazioni che un terzo giovanotto locale ci comunica gentile. Ormai a nostro agio nella soleggiata capitale balcanica c’incamminiamo da Trg Republike verso la tanto sospirata Knez Mmihailova. Bellezza ed Armonia. Incanto e Seduzione. Uno spettacolo di fascino ed eleganza che riempie la via in ogni direzione. Il Veneziano sorride. Io, forse, di più. Trasportati dal fiume di “Bello” che affolla la strada perdiamo di vista il nostro obiettivo. Soltanto dopo alcuni minuti, ironizzando sul fatto che forse abbiamo già passato il mitico hotel Majestic ce lo troviamo di fronte svettante di logorio vintage assolutamente volgare. Entrati vistosamente esaltati, espletate le pratiche di chek in ci viene affibiato un receptionist gagliardo che dovrà guidarci sino al garage dell’hotel. Parcheggiato la macchina sto da re. Saliti in camera rimaniamo più che soddisfatti della stanza in generale, estasiati di fronte alla vista mostrataci dal VI piano della nostra terrazza. Sava, Via pedonale, Danubio in lontananza. Ore 13:50 Usciti dall’hotel siamo inglobati nell’abbraccio caldo e profumato della vita Belgradese, ombrelloni e plateatici si sbracciano per averci quali graditi ospiti. La selezione è severa. L’asticella si alza. La sete di birra tanta. Un viso dipinto dall’acquerello di Monet, racchiuso da una chioma biondo oro splendente, attira il Veneziano e non solo. Ordiniamo due Efes. Sognanti iniziamo ad immergerci in quella porzione di mondo che sono i plateatici di Ul. Oblilcev Venac. Pochi passi ed ecco un altro plateatico, divani, birre, sorrisi e disorientamento. In fondo anche questo è viaggio, anche questa è realtà. Belgrado ci sta già conquistando. Il secondo plateatico testato si dimostra ben migliore del primo. I numeri giocano deliziosamente a suo favore. Dopo diverse pivo non ci curiamo di null’altro che delle piroette multicolore che danzanti ci avvolgono mentre il pomeriggio serbo accoglie la sera che arriva. Un omone barbuto e trasandato esclama ad alta voce “Italianiii…”. Due secondi d’imbarazzo. Poi via. Il nostro nuovo amico è un musicista montenegrino in città in cerca di fortuna. Prima di dileguarsi ci abbraccia e confida sghignazzante: “Vedete quelle ragazze…??… Attenzione leggere attentamente il foglio illustrativo; sono pericolose”. Così detto ci volta le spalle ridendo spaccone al sole che tramonta. Combattuti tra bellezza e fame cediamo alla seconda soltanto dopo diverse altre birrette. Esploriamo l’altra pedonale, poi Trg Republike. Un panino smezzato ci ritempra. Un altro paio di birre ci esaltano e ci donano un appunto richiesto ad uno sveglio cameriere con tre nomi impressi a chiare a lettere per la serata “River – Sound – Free Styler”. Si fa tardi. Alle 18 siamo in branda per pennica ristoratrice. La sveglia non suona o forse non la vogliamo sentire. Aperti gli occhi vedo il sorriso frenetico del Veneziano balbettare qualcosa e fiondarsi in doccia. Rincoglionito come non mai da sonno, birre e stanchezza del viaggio esco sul terrazzo dove l’afosa nottata cittadina è illuminata a giorno dalle luci del centro e dal riflesso del sole tramontato da poco. Sotto di me un vociare indistinto e tumultuoso riempie Oblilcev Venak. Come il canto delle sirene attirava i valorosi marinai di epici racconti, così il rumore confuso di quest’idioma sconosciuto chiama a se il mio animo ed i miei sogni. Bagno libero. Doccia ghiacciata e son pronto a ripartire. Non c’è che dire. Belgrado vive. Due spettacolari bellezze racchiuse da un indimenticabile vestito dorato e fasciate ai fianchi da un nastro blu notte c’invitano a partecipare alla promozione della birra Amstel per quella sera. Con ricchi premi in agenda. Frega niente dei premi, ma rifiutare sembra scortese. Così accettiamo l’invito delle due nostre nuove amiche rinominate “Le Amstel gold Race” in onore di birra e vittoria veronese by Damiano Cunego nell’edizione del 2008 della classica delle Ardenne. Al terzo riordino scopriamo essere già esaurite le riserve di bionda netherlandese per cui ritorniamo sull’ottomana Efes senza sti gran rimpianti. La cosa ci da modo di conoscere uno dei camerieri del locale che in pochi secondi ci introduce allo scatenato barista che anima l’intera via oltre che il nostro plateatico, Vuksa. Con lui è impossibile esser sobri. Alla prima stretta di mano siam già di rakje doppie. Dopo tre giri di double offriamo un giro anche al buon giovane che accetta lieto. Intanto attorno a noi son sedute diverse bellezze tra cui le Amstel gold Race sempre più esterefatte di fronte al degenero che stiamo costruendo attorno a noi rakja dopo rakja. Abbandoniamo la scena esaltati dalla vita soltanto dopo aver strappato la promessa alle due bionde in bottiglia di rivederci al Sound on the Sava per la serata. Bisognosi di asciugare anima e corpo torniamo dal quel “genio del nostro amico” che ci serve due pizze quasi discrete (viste le nostre condizioni… ottime) e due vistose birre da mezzo in Knez Mhiailova. Pagato il conto, trangugiato avidamente due rakje di digestivo, chiediamo al giovane rampante cameriere un taxi a prezzo calmierato per la movida Savese. Promesso solennemente di visitare la fortezza cittadina l’indomani e tornare per una birra di commiato entro le 16, orario di fine turno del buon giovane, montiamo goffi e sorridenti su di un taxi alquanto datato. “Sound club please”. Non avevo mai assistito in vita ad un ingorgo tremendo causato da soli taxi. Bè c’è sempre una prima volta. Il lungo vialone che oltrepassato un ponte conduce al parco lungo Sava, ultima area percorribile prima di giungere ai pontili cui sono ormeggiati gli enormi Splavovi festanti, è completamente al collasso. Tra clacson, giovani barcollanti, inversioni a “u” selvagge e bellezze d’altri tempi il caos regna sovrano. Giunto il tassametro ad una cifra accettabile (per lui…) veniamo scaricati a pochi metri dalle viuzze pedonali piastrellate tra gli alberi che di giorno tentano inutilmente di ombreggiare un’assolata Sava e di notte sovrastano il nascere e morire di amori e gelosie che giovani cuori belgradesi si ostinano ad inseguire. Ritmicamente pulsanti di luci e suoni. Profumi e sensazioni. Ecco davanti a noi una schiera di galleggianti chiatte legate alla terraferma da instabili pontili in legno. Non ci stiamo imbarcando per mondi lontani, come sembrerebbe dai controlli posti ad inizio pontile. No no. Soltanto nella scatenata festa belgradese. Il Sound delude come la più maledetta delle amanti. Soltanto due sorrisi strappati alle ora intimidite Amstel Gold race in borghese e un giro di rakja rasserenano i nostro cupi animi. Sul Sound nessuno balla… nessuno canta…. nessuno vive… “bicchieri che girano a vuoto”, scene già viste in patria. Usciti delusi ma mai domi, percorsi pochi metri di lungo Sava, adocchiamo due locali che sembrano far tremare il cheto fiume sotto di loro. Consultiamo il “pizzino” e troviamo ardua scelta fra River e Freestyler. Il primo sembra più disponibile ed aperto. Aggiudicato. Degenero. La festa si sviluppa su tre livelli vivi ed indipendenti. Pista centrale fonte palco con cubiste e gruppo live folk serbo. Una vera orchestra scatenata. Gradinata laterale con tavolini e divanetti rialzata pochi metri da terra e dotata di ampi finestroni con vista sulla Sava. Scalinata stretta che conduce magicamente ad un soppalco vip dotato di banco del bar e servizio rakja in ampolla no stop. Belgrado vive. Noi anche. Balliamo, beviamo, ridiamo e cazzeggiamo fin oltre le 4. Tra sorrisi, ammiccamenti ed esclamazioni di giubilo. Che serata. Prima della dipartita una fugace apparizione al Sound ci convince a rientrare in branda. La festa sembra continuare ma le nostre gambe e i nostri cuori agognano ormai soltanto una letto soffice. Il tassista cui spetta l’arduo compito di trascinarci a casa opta per una scorciatoia fra alberi, panchine, vialetti e scarpate. Altro che rally. Salutati meccanicamente i bonaccioni in reception, chiamato il vecchio e sbuffante ascensore ai nostri piedi, rientriamo in stanza lamentando la scarsa qualità della movida belgradese ed esclamando a gran voce: “è meglio l’Italia”…..
Come no…. come no….
Ore 8:36 a.m Il risveglio è come sempre leggiadro e delicato. Alle 8:30 sono in piedi. Il Veneziano che nella notte aveva improvvisato un fugace strip tease per una donzella serba, è spiattellato sul materasso. Non lo sveglio, scendo in sala per la colazione. Acqua e succo d’arancia a parte fatico a mandar giù qualsiasi cosa. Rientro in stanza e sonnecchiando mi riaddormento. Sono quasi le dieci quando bello pimpante ridiscendo a far compagnia ad uno stanco ma arzillo Veneziano. Decidiamo di gestire con relativa autonomia i minuti seguenti. Ritrovo in un caffè qualsiasi fuori l’hotel appena in grado. Il calore mattutino della metropoli balcanica avvolge già ogni cosa. Le strade sono deserte e finalmente posso respirare qualche fugace minuto di quotidianità belgradese. Perso tra sogno e realtà mi ricongiungo al mio compagno di viaggio che, celato lo sguardo dietro due ampie lenti da sole, avanza sicuro per le vie cittadine. La mattinata prevede una totale quanto inadeguata visita alla città, fondata su un’approssimativa indicazione ricevuta la notte precedente dal nostro amico cameriere… “ at the end of Knez Mihailova the best castle and view of Beograd…”… Dopo quasi un km di pedonale deserto ecco un fastidioso monumento di gratitudine alla Francia, fieramente alato ed eretto su di una colonna marmorea, non troppo considerato. Finalmente una pianta ad angoli in muratura ci comunica l’ingresso, tramite Porta Stambol, nella cittadella fortificata di Kalemegdan, cuore dell’antica fortezza di Singindunum, nome romano della città e posta a guardia della confluenza fra Danubio e Sava, a protezione dell’accampamento imperiale. Ciò che oggi resta risale in realtà soltanto al 1700, frutto del susseguirsi di ricostruzioni asburgiche e turche. Al suo interno diverse esposizioni di storia militare legate soprattutto agli avvenimenti dell’ultimo secolo. Una testimonianza nel suo contesto comunque interessante. Lasciate le fortificazioni, ridiscendiamo in direzione del Danubio costeggiando lo zoo di Belgrado e ritrovandoci ben presto in aperta periferia. Indietreggiamo sino a puntare il quartiere degli artisti, Skadarska. Il caldo e la sete cominciano però a farsi sentire. Una squadriglia di svogliati statali intenti a ri zollare le rotaie del tram con mattoncini e sabbia, contraddistinta dal più liberista dei “laissez faire” in versione socialistoide (ossia ci sarà sempre qualcuno che lavora per me), ci induce a ripiegare al primo “bareto” utile alla bisogna. Di colpo. Tra blocchi e grigio. L’afa estiva viene diradata da una freschissima visione angelica. Forse la Beatrice dantesca ha deciso d’apparire ai nostri stanchi ed assetati occhi…?? Entriamo di riflesso là dove ella ha trovato riparo. Un pseudo ristorantino\take away con nomignolo simil spagnolo, dato che un po’ di spirito latino non fa mai male, ci rinfresca di un artificioso benessere condizionato. Due cochine e due espressi corti per cominciare andranno ottimamente. Intanto studiamo la situazione. Tavolini alti in legno con sgabelli. Banco a vista fronte vetrate d’ingresso, cucina retrostante appena visibile, scaletta laterale che conduce ad un soppalco sotto soffitto ad occhio abbastanza caloroso ed intimistico. Divagando sulla serata precedente, sulle assurde lamentele caratterizzanti il rientri in hotel notturno, sghigniazziamo allegramente su ciò che è stato e fantastichiamo avidi su ciò che ha da venire. Alle undici e trenta circa rompo gli indugi. Il sorriso al plasma della bella cameriera biondina val bene una pivo. Jelen of course….. Appena prima del mio riordino per la seconda pivo di giornata rassicuro il dubbioso Veneziano circa l’unica alternativa valida in questi tipi di viaggio, citando una perla del Maestro, mi lascio andare in un laconico “..nel dubbio rilanciare… sempre…”… Le due bionde serbe che affollano il nostro stretto tavolino impallidiscono a fronte dei sorrisisni e delle smorfie gaie che la dolce cammarera ci regala ad ogni sussulto. Ahhh… l’amore ai tempi del colera. Ma anche no…. Oltre a noi vari personaggi inutili tra staff e clienti abituali si rincorrono nel locale cercando di far breccia nel solitario e malinconico spirito della graziosa biondina che ora però, sembra aver occhi solo per noi. Imperdibili le espressioni che le compongono la sinfonia del viso. Le Jelen scorrono come non mai nei nostri animi. Finchè, giunti ormai all’ottava birretta serba ci viene tristemente comunicato che le scorte fresche di bionda sono esaurite. Non resta che ripiegare sulla dozzinale Beks accompagnata dalle prime porzioni di fumanti Cevapi che la nostra nuova amica Maria ci consegna al tavolo. Splendido nome per una splendida creatura. Salsicciette di ottima fattura. Menzione al merito. Poco prima del congedo, entrati ormai in intima confidenza con quel visino d’angelo che per ore ha tentato di reggere i nostri sguardi ed allietato la nostra giornata, scattiamo una diapositiva assieme per non dimenticare. Usciti dal refrigerante localino siamo assaliti a tradimento dall’afa pomeridiana. Fortuna che animi leggeri e birre in corpo fanno passare in secondo piano tutto quanto. Scopriamo, risalendo a occhio la collina, di essere poco distanti da Knez Mihailova e dal cuore pulsante di Belgrado. A sto punto decidiamo di saltare la pennichella e rientriamo in scena sui plateatici di Oblilcev Venak. Qui ci colpisce la relativa calma che regna sovrana. Pochi avventori, poco giro, poco tutto. Sono quasi le sette quando ripieghiamo in stanza per la necessaria doccia serale. Le hits varie che ci accompagnano contribuiscono non poco a farci entrare nel pieno della serata. Sabato sera. Eccoci in strada. Ed ecco una, due, tre grazie belgradesi tentare di conquistare le nostre attenzioni per farci accomodare nei vari plateatici. Promettiamo di tornare, ma prima dobbiamo passare a salutare le nostre amiche Amstel Gold Race oggi impegnate in uno dei locali a fondo via. Cristina e Nevena sono là, splendide e assurdamente belle. Nel vederci giungere fieramente inebetiti scoppiano a ridere. Sembriamo essere gli unici due clienti coi quali le dorate ragazze s’intrattengono più del dovuto. Stasera non si parla di birre e premi vari, soltanto di noi. Nevena è di Novi Sad, ha una sorella che lavora a Milano come modella e la mette in guardia sui modi di fare italici. Cristina è di Sarajevo, famiglia ortodossa fuggita a Belgrado appena bambina con la famiglia ai tempi dell’assedio di metà anni novanta. Rispetto a Nevena, più aperta ma meno fine, Cristina rappresenta una bellezza completa, adulta ma celata dietro una maschera di diffidenza e timidezza notevoli. Parliamo un po’ di tutto, della Serbia, di Belgrado, dell’università e ci diamo un appuntamento per l’ultimo dell’anno 2012. A Novi Sad ovviamente. Rientrati in strada la folla informe sino ad ora assente sembra riversarsi in strada. Optiamo per una cena al volo, subito dopo eccoci pronti ad accettare gli inviti delle graziose butta dentro da plateatico nell’ormai satura Oblilcev Venak. Una scatenata ragazzona serba, abbondante ma dal sorriso di fuoco, agguanta il buon Veneziano ormai in balia dei suoi abbracci. Oltre a lei una morettina intrigante e il buon Vuksa che, riconoscendoci in alcolica fratellanza dalla sera prima, nel vederci ci abbraccia da dietro il banco urlando “Brat…Brat…Brat”. Incredibile. Ci troviamo seduti al bar di un plateatico a ridere e scherzare col barista più olfo di Belgrado che serve rakje doppie a ripetizione con una, due, tre donzelle attorno. L’ultima arrivata è la bella Bojana, 20 anni di orgogliosa appartenenza belgradese. Studentessa d’architettura nella locale facoltà, immorosata con un giovane vecchio coetaneo astemio, fastidioso e fortunatamente assente, lavora per pagarsi gli svaghi e le serate. Improvvisamente Vuksa estrae un fallo abnorme in gomma dal taschino ed inizia a batterlo sul banco intimidendo quei pochi avventori che non lo conoscono. Noi siamo ormai di famiglia tra gli sguardi esterefatti di una manciata di turisti inglesi e americani che sembrano invidiare il nostro repentino inserimento nella società cittadina. Mentre loro tocca guardarsi in cagnesco da una parte all’altra del banco. Masticando slang spigolosi e riparandosi dalle occhiate severe che gli altri avventori serbi gli riservano. Italian Style. Ci fermeremo con le nostre nuove amiche per ore, specialmente ora che terminato il lavoro hanno preso posto accanto a noi. Salutiamo non prima d’aver scambiato i contatti e ascoltato una struggente interpretazione che uno dei due amori del Veneziano, la bella Branislava, decide di dedicargli (Cuvam Te di Aleksandra Radovic… detto niente…). Unplugged spettacolare che ci rafforza di un sentimento crepuscolare raramente provato prima. Un taxi volante ci scaraventa sul lungo Sava per poco più di tre euro. Tornati in modalità night life pesante, puntiamo sicuri il parco che immette sulle rive del chieto fiume cittadino. Nell’attraversare giardini incolti ed aiuole siamo attratti da una bellezza autoctona accompagnata da due amiche non altrettanto uniche ma comunque… non male. Nel buttarla in ridere accenniamo un urlo cui risponde la musa ispiratrice ormai eroina serba del cuore battente del Veneziano, facendoci cenno di seguirle…. Per dove…??? Percorriamo tutto il porto di Splavovi, passiamo uno dopo l’altro il Sound, il Free styler, il River… Giunti all’ultimo ormeggio veniamo introdotti a gratis in lista dalle tre donzellette serbe. Appena dentro murales in cirillico, affreschi in onore di V per vendetta e luci multi colore inondano la scena secondi soltanto al numero di bellezze danzanti in ogni dove. Il Veneziano inizia strusciate d’altri tempi con la cavallona serba, io opto per il profilo basso ed inizio a girare il locale rimanendo sempre più a bocca aperta di fronte tutto ciò che mi circonda. Tre ragazzi serbi mi chiedono d’accendere, per educazione chiedo al barista the lighter, i tre nuovi amici mi ringraziano offrendomi due giri di rakja ghiacciata al loro tavolo. Mitici. Dopo circa un’ora mi ricongiungo al Veneziano ormai demolito dalle danze con la stangona belgradese. Sono ormai le 3 quando decidiamo per un parziale ripiegamento sul fronte della Sava, abbandonata la linea ormai compromessa del “cirillico” (così nominato il locale misterioso), ci riposizioniamo nelle retrovie, a mezzo fiume. Il River, già battezzato la sera precedente, sembra fare al caso nostro. Tra ampolle di rakja, danze e risate ritiriamo in branda poco prima le sei, quando il chiarore del mattino belgradese già rischiara Trg Republike. Che serata.

Domenica 29-07-2012;
ore 9:47 Terminato di sistemare la valigia, espletato il pagamento in reception, rinfrescate le idee sotto una doccia ghiacciata, decidiamo di dire addio (o arrivederci…) alle vie del centro concedendoci un caffè in Knez Mihailova traendo non poco beneficio dalla brezza fresca mattutina, preludio all’afa che molto presto inonderà ogni cosa. La strada è tanta, le inspiegabilmente ottime condizioni fisiche, tenute a buon livello dai residui alcolici non ancora smaltiti, impongono una repentina dipartita alla volta dell’Italia. Pochi minuti e sbrogliato il dedalo intricato di viuzze centrali c’immettiamo sulla tangenziale cittadina in direzione Croazia. Casello e via in autostrada. A circa 500 m dal confine serbo-croato una leggera coda non dovrebbe rallentarci più di tanto, quando…. Una spia s’accende sul fedifrago cruscotto della mia fin qui encomiabile autovettura. Uno due tre sbuffi. Brusco stop. Quattro frecce e macchina spenta. Attimi di panico. Non riparte. Tentativi a vuoto, problemi col sequenziale. Il cambio non cambia. L’auto non riparte. La colonna di macchine dietro di noi inizia a sfilarci su ambo i lati. Riflettere sul da farsi nelle nostre condizioni, ripiombati improvvisamente nel rincoglionimento più totale che i 43 gradi della frontiera non aiutano a smaltire, non è facile. Dopo quasi 10 minuti d’impasse un tedesco ci accorre in aiuto abbandonando moglie e figli sulla fila d’auto adiacente. S’incarica assieme al Veneziano di spingere la macchina fin oltre confine. La scena di sti disperati che passano il confine serbo a spinta resterà nelle menti distratte di doganieri slavi e presenti… o forse neanche troppo ma nelle nostre senza dubbio si. L’amico germanico, in preda ad un altruismo rinascimentale, ferma un pulmino di italiani convinto che ci sapranno meglio soccorrere. Da film la scena degli italiani che, dopo averci detto “ciao…” ripartono alla volta della Croazia con ovvio disinteresse. Il tedesco sclera. Ci chiede come sia possibile che i nostri fratelli, coloro che dovrebbero essere la nostra famiglia all’estero se ne siano così altamente fregati. Vorremo aprire un dibattito sull’individualismo italico e sullo spirito di popolo germanico \ Hegeliano (folkgeist) ma non ci sembra né il luogo né il momento. Più che la nostra auto siamo ora concentrati sul tranquillizzare il buon biondino la cui famiglia inizia a reclamare le dovute attenzioni. Finalmente soli spremiamo sino all’ultimo i nostri poveri neuroni rimasti a danzare sulle onde della Sava e rimembriamo una vecchia tecnica per resettare le varie centraline elettroniche: staccare uno dei due cavi della batteria… già… il rosso o il nero…??? Il Veneziano, preso il toro per le corna, chiama un amico meccanico. Domenica. Non risponde. Richiama. Si si si. Staccato il filo rosso per alcuni minuti ci rinchiudiamo in religioso silenzio. Ricollegato. Non parte. Secondo tentativo. Attesa. Il caldo ben oltre i 40, la disidratazione post alcolica serata, il cervello completamente isolato dalle sue funzioni cognitive vaneggia nel deserto balcanico senza produrre nessuna plausibile alternativa nel caso non dovessimo ripartire. La chiave gira lenta… niente da fare. Terzo disperato e rassegnato tentativo. Il religioso silenzio s’è nel frattempo tramutato in intima preghiera con tanto di promesse impossibili da mantenere in caso di ripartenza. La gola arsa dal calore, dall’afa, dallo smog e dall’alcool della nottata appena trascorsa non lascia tregua. Cavo ricollegato. Qualche minuto d’attesa. La chiave gira per l’ennesima maledetta volta. Il motore d’improvviso canta. “accelera accelera accelera……..” Il Veneziano grida, esulta… io anche. Appena oltre barriera croata un chiosco dotato di frigo ci appare come e oltre un miraggio nel deserto. Acqua e thè freddo ritemprano per qualche attimo i nostri corpi ma già la strada chiama e il motore non dev’essere, per il momento, lasciato morire. Radio e condizionatore spento, temendo danni alla batteria, ci fanno penare per oltre 200 km. Sosta, benzina, panino e ripartenza senza problemi. Decidiamo di concederci l’aria condizionata per non morire. Poco prima di Zagreb, dovendo affrontare una leggera colonna al casello, ecco nuovamente gli sbuffi e le spie premonitrici del peggio. Giocando di acceleratore la macchina muore un paio di volte prima della Slovenia ma subito riparte. Speriamo non trovare traffico, colonne o altro sino a casa. Finalmente Ljubljana, poi Trieste. Traffico intenso ma scorrevole sino a Verona. Nelle tranquille strade cittadine, tra semafori e incroci noti, la capricciosa macchina sembra non dare più problemi. Saluto il Veneziano nel parcheggio da cui tutto, meno di 72 ore fa era partito. Nonostante le fatiche del viaggio, le paure e lo stress delle ultime ore, siamo pieni di vita. Consapevoli d’aver vissuto e respirato per qualche breve attimo ciò che di più vero i Balcani sanno essere. Un’oasi di vita in una realtà vicina ma distante dal nostro sempre più scontato, appiattito ed europeistico mondo. Belgrado, cuore pulsante di vita. La Serbia gli è cucita addosso. Noi per qualche ora lo siamo stati.

CESK
( utente del forum viaggiatorindipendenti.it )

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