Approfondimenti

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In questa pagina sono riportati dei brevi post / piccoli articoli pubblicati da alcuni dei membri dell’associazione sul nostro gruppo Facebook

Viaggiare in Europa Centro-Orientale, Caucaso, Asia Centrale, Medio Oriente“:

 

 


SARAJEVO, IL PONTE “SUADA ED OLGA” E GABRIELE MORENO LOCATELLI
Durante la guerra in Jugoslavia e nei mesi dell’assedio di Sarajevo, il fiume Miljacka era una sorta di confine tra zone della capitale diversamente controllate dall’esercito serbo di Bosnia e dagli eserciti bosgnacchi e croati. Il ponte Vrbanja era il principale passaggio sul fiume ed uno dei punti strategici più esposti al fuoco incrociato delle milizie in campo come, d’altronde, lo era l’importante arteria cittadina dell’attiguo viale Zmaja od Bosne. Sia il viale che il ponte, durante gli anni della guerra, furono appunto soprannominati entrambi “dei cecchini”.
Fu proprio l’assassinio di due ragazze, la bosgnacca Suada Diliberovic e la croata Olga Sucic il 5 aprile 1992, colpite di alcuni cecchini al loro passaggio sul ponte, ad esser considerata la prima delle operazioni belliche nella città di Sarajevo sfocianti poi nell’acuirsi della guerra e nell’inizio dell’assedio della attuale capitale bosniaca.
Da quel momento il ponte Vrbanja cambiò nome e divenne Ponte Suada per divenire alla fine della guerra ponte Suada ed Olga.
Il ponte in questione fu anche teatro dell’uccisione dei fidanzati, ribattezzati “Romeo e Giulietta di Sarajevo”, Admira Ismic e Boshko Brkic mentre anche essi transitavano sul ponte ed ancora in seguito a proiettili sparati da cecchini appostati.
Era il 1993 e solo pochi mesi dopo anche un italiano trovò la morte sul ponte sulla Miljacka.
Gabriele Moreno Locatelli, era giunto in città con una folta delegazione di pacifisti per partecipare ad una manifestazione organizzata con molte difficoltà nella capitale assediata.
Locatelli insieme ad altri manifestanti tra i quali altri quattro italiani, iniziarono l’attraversamento del ponte con l’intenzione di porre un mazzo di fiori sul punto dove furono colpite Suada ed Olga l’anno prima e regalare del pane ai militari dei vari schieramenti come atto simbolico di pace tra le parti in causa.
Gli stessi italiani, tra gli organizzatori della manifestazione, avevano preannunciato in anticipo ai vari comandanti dei tre eserciti in guerra della passeggiata simbolica che si sarebbe svolta sul ponte. I tre comandi avevano garantito il lasciar fare “da parte propria ma senza rassicurazioni sulle azioni degli altri”.
Non erano stati fatti i conti, però, con i battaglioni autonomi, i gruppi di paramilitari schierati con i vari eserciti e che non rispondevano a nessuno dei comandi ufficiali.
Ufficialmente la morte di Locatelli fu attribuita all’esercito serbo anche se le successive indagini non hanno mai portato a niente ed ancora oggi il suo omicidio risulta senza colpevoli.
Secondo la testimonianza di uno dei compagni italiani presenti al tragico evento però gli spari dei cecchini arrivarono proprio dalla postazione della brigata del Comandante Zazo, uno dei più famigerati eserciti irregolari tra gli attori in guerra ed affiliato all’esercito bosgnacco.
Le vicende di Mushan Topalovic il Comandante Zazo, sono state poi tra l’altro raccontate, sotto forma di romanzo, nel libro “Califfato D’Europa” scritto dal Comandante della Polizia Italiana dell’Unmik (la missione ONU nell’ex Jugoslavia) Antonio Evangelista.
A Gabriele Moreno Locatelli è intitolata una strada a Sarajevo, una via che dal ponte Suada ed Olga sale su verso la collina prospiciente, dove ad un punto di essa sono affisse una targa commemorativa ed una sua foto.
Non tutti gli italiani conoscono questa storia e di conseguenza in pochissimi sono a conoscenza dell’esistenza nella capitale bosniaca di un simbolo alla sua memoria.

 

MONASTERO DI KOMAN, ABKHAZIA
Secondo la leggenda locale, San Giovanni Crisostomo morì in questo angolo di montagna in Abkhazia, allora parte della Colchide, e qui restò sepolto fin quando le sue reliquie non furono traslate a Costantinopoli. Secondo la leggenda ufficiale, il Santo morì invece nei dintorni di Comana, nell’odierna Turchia e proprio questa similitudine con il nome, Koman, del villaggio abkhazo alimenta la leggenda alternativa. Come il sarcofago in pietra che fu ritrovato nel sottosuolo dell’odierno monastero ortodosso, sorto sulle rovine di un antico tempio, ed alcuni resti che sarebbero reliquie del Santo. Il monastero, originariamente molto più grande, visse alterrne vicende che lo videro trasformarsi anche in deposito agricolo. Iniziò a tornare alla sua funzione originaria dal 1986 ma nel 1993 visse il dramma della guerra abkhazo-georgiana e la comunità ecclesiastica ne fece le spese. Finchè nel 2001 il monastero è tornato a nuova vita e da allora è uno dei centri di culti più importanti dell’Abkhazia e del mondo ortodosso in generale (anche se il monastero di Novi Afon è centro di culto principale dell’intera regione). Dal 2009 il monastero è guidato da un igumeno appartenente alla storica dinastia egiziana Abaza con ramificazioni in Giordania, Siria e vari altri paesi dell’area. Un luogo ideale per raccogliersi e godersi la calorosa ospitalità che l’igumeno (come del resto l’imam delle grotte sacre dell’islam di Dyurk in Dagestan) offre agli amici di vecchia data.

 


GROTTE DI DYURK, DAGHESTAN
Le Grotte Sacre di Dyurk, nella regione dei Tabasarani in Daghestan, sono una meta poco conosciuta ai non islamici e di non facile accessibilità. Secondo la leggenda antichissima, un ragazzo si imbattè in due uomini vestiti di bianco. Durante la seconda visione, giorni dopo la prima, fu catapultato in un sogno e si risvegliò a pregare in queste grotte nel profondo della terra. Da allora le grotte sono diventate sacre alla tradizione islamica ed i fedeli vengono qui a pregare portando un tappeto che poi lasciano come ex voto. Secondo un’altra leggenda, le grotte conservano, ancora nascosta, la spada del condottiero arabo Maslama Al Malik, colui che guidò la spedizione durante il secondo assedio di Costantinopoli e che in seguito divenne governatore degli allora territori di Azerbaijan ed Armenia. Un posto amèno che, al di là di religioni e credenze personali, regala momenti di alta spiritualità. Una esperienza unica considerato il luogo dove le grotte si trovano e la sempre calorosa accoglienza che l’iman locale tende ad amici di vecchia data.

 


BESLAN, OSSEZIA DEL NORD, RUSSIA
Era il 1 settembre 2004 quando un folto gruppo di terroristi assaltò la scuola n. 1 di Beslan facendo prigionieri centinaia di bambini, insegnanti e genitori che si accingevano ad iniziare l’ anno scolastico durante la celebrazione del primo giorno di scuola. La gente fu ammassata nella palestra tenuta sotto perenne controllo armato da parte dei rapitori che vessavano di continuo i prigionieri costringendoli a restare senza cibo ed acqua tanto che molti di loro furono costretti a dissetarsi con i propri escrementi. Molti di loro furono passati per le armi durante i 3 giorni di prigionia da parte dei terroristi e di assedio da parte delle forze speciali russe. Finchè qualcosa non accadde. Delle esplosioni, propiziate non si sa con certezza da chi, diedero inizio ad un drammatico eccidio. Più di 300 persone delle quali 186 bambini persero la vita. Una tragedia che colpì duramente l’ opinione pubblica ed ancora oggi è sempre viva nei ricordi di molti.
Sono alcuni anni che mi reco a Beslan, da solo o con compagni di viaggio del momento, ed ogni volta provo la stessa triste “emozione”. Ancor di più quando capita di ascoltare la cronaca di quei tristi momenti da conoscenti che li hanno vissuti o soprattutto durante i drammatici racconti di alcune madri del “comitato Madri di Beslan” al quale ci lega un affettuoso rapporto d’amicizia.

 

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MONTE ELBRUS
Con i suoi 5642 metri di altezza il monte Elbrus è una delle due montagne più alte del continente europeo. Contende il primato al monte Bianco che si attesta a 4800 metri. Il titolo di “montagna più alta d’Europa” oscilla tra le due vette in base al considerare l’area del Caucaso appartenere all’Europa o meno. Ci troviamo, infatti, nella Repubblica del Kabardino-Balkaria parte integrante della Federazione Russa. La prima volta che sono salito sull’ Elbrus, con i miei compagni di viaggio del tempo, è stato nel 2009. Da allora sono tornato varie volte, quasi una tappa fissa, ultimamente anche una o due volte l’anno. Purtroppo, per vari motivi, non mi sono mai dedicato al trekking o ad attività outdoor di montagna, sci compreso. Fino a 4050 metri circa, quindi all’inizio del ghiacciaio puoi salire tramite un sistema di cabinovie e, fino a poco tempo fa, una seggiovia di era sovietica. Per gli appassionati si può anche salire e scendere a piedi in estate, sciare in inverno. Da 4050 metri in poi, per arrivare alla vetta vera e propria, devi essere attrezzato e trascorrere una notte nei container a disposizione degli alpinisti od organizzarsi con delle tende. Poi da li ti metti in marcia all’alba e dopo poche ore di cammino sul ghiaccio arrivi sulla cima. Da quella altezza pare si possa vedere anche il monte Ararat centinaia di chilometri più a sud essendo ubicato tra Armenia e Turchia. Anche non arrivando a 5642 metri comunque la natura e la vista risulta spettacolare. A circa 3000 metri c’è un piccolo museo che ripercorre le operazioni belliche della zona inerenti la II° Guerra Mondiale. Grosso modo da qui i tedeschi furono battuti in ritirata. E’ anche presente un piccolo mausoleo.
L’ Elbrus non è solo il monte in se ma anche tutto il comprensorio come la vetta, più bassa, Cheget. Gli alberghi non mancano ma oltre quelli non esiste niente altro. Sull’ Elbrus, nei due villaggi alla base della funivia trovi solo alloggio (con pasti), due o tre posti per bere un thè o mangiare qualcosa, due tre negozietti di alimentari gestiti da anziane babushke. Un posto che seppur frequentato da tanti sciatori o escursionisti conserva ancora l’aurea del posto unico e speciale. Dal 2009 qualcosa è cambiato ma davvero poco. Le mucche al pascolo, l’area pulita, la natura quasi incontaminata sono ancora lì ad emozionare.

 

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DARGAVS la “citta’ dei morti”
Dargavs, da molti chiamata “смерть городок” (città dei morti ). Una località situata tra le montagne dell’ Ossezia del Nord. Un posto amèno ed al tempo stesso spettacolare raggiungibile tramite una strada sterrata e località dalla quale poi si dipanano altri percorsi molto impervi che attraversano gole dal fascino unico e si raggiunge volendo una vecchia diga. Per visitare Dargavs servivano fino a poco tempo fa dei permessi essendo una zona di confine (con la Georgia). Quando ti àrroghi di offendere la sacralità del posto la maledizione ti colpisce. Purtroppo una volta provata personalmente (per fortuna niente di davvero grave). Per rispetto non pubblico (non lo ho mai fatto) foto dell’ interno delle tombe. Di Dargavs solo negli ultimi tempi se ne sta iniziando a parlare e solo da poco sembra sia stata “scoperta”dai più ma turisti ancora pochi e stranieri ancora di meno.

 

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PLOMBIR

Non tutti sanno che il “cono gelato Mcdonald’s” conosciuto in tutto il mondo tramite la capillarizzazione diffusa dei suoi punti vendita è in realtà una derivazione di un gelato sovietico ( si parla dei tempi dell’ Urss e non della Russia odierna ).
Particolare come cosa… un successo americano “copiato” agli storici nemici sovietici…
Il “plombir” ( in russo пломбир ), il piccolo cono al gusto di fiordilatte, era il “gelato del popolo” negli stati dell’ ex Unione Sovietica e fu poi esportato anche nei paesi aderenti al “Patto di Varsavia”. In realtà anche il plombir non era proprio una invenzione sovietica, essendo di paternità francese ma il successo lo ebbe poi nell’ Europa Centro – Orientale.
Questo fino a quando non apparvero, in seguito la dissoluzione dell’ Urss, le prime gelaterie che proponevano gusti nuovi. Tutti i gusti conosciuti nel resto del mondo ma che per la gente appartenente a quell’ area geografica, Unione Sovietica in particolare, costituivano una novità assoluta.
Le prime gelaterie ebbero un successo clamoroso, tutti, bambini ed adulti, volevano assaporare nuovi sapori anche a costo di fare lunghe file in attesa.
Da un mio vecchio articolo: “ Chop. La porta d’ Europa “:
“…una coppia di ungheresi si trasferì in città e da veri pionieri aprì una gelateria. La gelateria “Pinguin”. Erano i primi anni ’90 ed i bambini ex sovietici avevano nelle loro papille gustative solo il cono alla panna dal quale in seguito il Mcdonald’s prese spunto per il suo dessert (questo lo dico io, da anni oramai) ed un’ altra variante di gelato. Gli ungheresi, invece, portarono il gelato sotto varie forme, colorato in varie tonalità a seconda del gusto e dai gusti stessi differenti. Non sarà stato il gelato per eccellenza ma era giunto in città finalmente il gelato. Di cui i bambini cominciarono ad andare pazzi e le file si spostarono dai negozi di generi alimentari dell’ epoca sovietica per accaparrarsi un tozzo di pane, alla gelateria del Pinguino. Poi i tempi cambiarono pian piano e la novità del gelato ungherese divenne giusto un ricordo d’ infanzia. …”
Il Plombir è diffuso ancora oggi e si trova in qualsiasi negozio di genere alimentari o supermercato e ad un costo davvero popolare.
Anche se oramai le vere gelaterie ed il gelato artigianale o presunto tale, soprattutto quello a marchio italiano, l’ итальянское мороженое, hanno soppiantato il plombir e le sue varianti rimaste soprattutto appannaggio di nostalgici e persone dalla mezza età in su che rimembrano la loro gioventù.

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ABKHAZIA
Chi mi conosce ha già avuto modo di apprendere alcuni dettagli o leggere l’ “articolo” inerente il mio recente viaggio in Abkhazia. Di Abkhazia tra l’ altro si è già accennato in un post di qualche giorno fa. Trovo interessante, per tutti gli altri, comunque riportare nel gruppo la mia esperienza, o meglio le mie esperienze essendo stato in Abkhazia già in precedenza, in modo che il post possa servire da spunto per tutti a chiedere informazioni, organizzarsi un viaggio, conoscere questo stato del quale non si sa moltissimo.
Personalmente sono stato in Abkhazia 2 volte e mezzo (il perchè lo capirete da uno dei miei articoli nella apposita sezione), da solo o con altri amici viaggiatori. L’ Abkhazia è uno stato cosiddetto de facto e checchè se ne dica esiste come tale avendo un suo governo, le sue leggi, i suoi confini, un suo popolo. L’ argomento suscita spesso polemiche ma, come detto anche per l’ Arabia Saudita, il nostro sguardo deve essere da viaggiatori, seppur avendo le proprie opinioni. Poi sono sempre dell’ avviso, un mio motto quasi, che “i posti vanno visti prima di essere giudicati”.
La Colchide, la terra mitologica in cui Giasone e gli Argonauti andarono a conquistare il vello d’oro e dove Prometeo fu incatenato dopo aver dato all’umanità il segreto del fuoco. Oggi l’Abkhazia è una bellissima regione situata sul Mar Nero che raccoglie l’eredità storica di quei miti. Un lembo di terra dove mare, spiagge, montagne, parchi naturali, laghi, grotte sotterranee tra le più profonde del mondo, monasteri ortodossi che ricordano quelli sacri del Monte Athos in Grecia, una delle dacie di Stalin, i remoti villaggi minerari dell’epoca dell’ Urrs ora abbandonati dopo le successive guerre in seguito alla sua dissoluzione, cibo, danze tradizionali senza tralasciare la sua gente, spesso ci riporta indietro nel tempo.

 

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MONTE ATHOS
Nel 2012, proprio in questi giorni, presi da crisi mistica ,ci siamo recati in visita spirituale tra i monasteri ortodossi del Monte Athos, uno dei posti meno conosciuti e sicuramente meno turistici in senso stretto del mondo. Il Monte Athos, geograficamente in Grecia ma amministrativamente godente di una propria autonomia, è una sorta di Vaticano per gli ortodossi. Il suo territorio, una lingua montuosa sul mar Egeo, è costellato di monasteri antichissimi, alcuni dei quali molto belli e con icone, affreschi ed ornamenti preziosissimi è un luogo molto suggestivo. L’ accesso è possibile effettuarlo solo via nave con partenza da Ouranopoli e possono entrare nel suo territorio solo uomini. Anche gli animali possono essere solo di genere maschile. Anche se, alcune leggende dicono che nei secoli alcune donne si siano introdotte mascherate da uomini. In realtà per trascorrere un periodo all’ Athos bisognerebbe essere di religione ortodossa ma molti monasteri accettano comunque anche cristiani cattolici e di altre confessioni. Alcuni, quelli con le regole più stringenti, invece, ospitano solamente ortodossi. L’ iter per entrare è un po burocratico: devi scegliere un monastero, contattarlo con largo anticipo, vedere se sono disponibili ( o hanno disponibilità di stanze) ad ospitarti, poi una volta ad Ouranopoli con l’ invito ricevuto ottieni Diamonitirion, una sorta di visto, poi prendi il traghetto ed una volta sbarcato nel territorio dell’ Athos ti rechi al tuo monastero a piedi (chilometri…) o con una sorta di esoso servizio taxi dei monaci stessi. La capitale Karyes è un villaggio di poche costruzioni ed è l’ unico posto dove puoi acquistare qualcosa da mangiare. Una volta nel monastero mangi solo quello che ti passa il… convento e segui le strettissime regole interne.
Noi siamo stati ospitati da un monastero semi integralista (della cosa se ne era occupato il “Cancelliere” in qualità di “Padre Spirituale” del gruppo ), nel senso che ci ha permesso di bivaccare al suo interno ma non di partecipare alle funzioni religiose in quanto non ortodossi. Per il mare mosso ed il maltempo siamo rimasti 1 giorno ad oziare senza far niente ad Ouranopoli poiché il traghetto era stato sospeso. Giunti poi al nostro monastero siamo stati accolti dai frati ma la cena, servita alle ore 16:00, abbiamo dovuta consumarla da soli dopo che monaci e pellegrini ortodossi avevano terminato. Insomma, poiché “infedeli” non siamo stati ammessi alla loro tavola
Cena consistente in una minestra di fagioli servita in una ciotola di ferro, 2 pomodori ed una mela… ah… ed acqua ovviamente…
Alle 19:00 luci spente, sembrava mezzanotte. Silenzio assoluto. Tranne qualche pellegrino che insieme a noi si aggirava per i corridoi del monastero. All’ 01:00 di notte iniziano le celebrazioni religiose in chiesa. Ovviamente per noi c’ era il divieto d’ ingresso.
Per fortuna nei 2 giorni trascorsi abbiamo avuto l’ opportunità di visitare un altro paio di monasteri in quanto mescolati ad altri pellegrini ed i frati non hanno fatto caso alla nostra “infedeltà”
Sull’ esperienza cosa dire? Sicuramente ne è valsa la pena, forse però, un altro giro ci starebbe per capire meglio alcune dinamiche, visitare altri monasteri alcuni dei quali a picco sul mare e magari riuscire a vivere la natura con camminate a piedi.

 

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CRIMEA. Legami con l’Italia
Siamo stati in Crimea più di una volta, sia prima del 2014 che poi in seguito.
Tutte le volte, io insieme ai miei compagni di viaggi del momento, entrati od usciti via mare, in traghetto, in quanto il ponte ancora non esisteva o sarebbe stato inaugurato da li a poco.
La Crimea è una penisola bellissima caratterizzata soprattutto dal mare e dalle montagne, ma è anche ricca di storia con delle pagine legate direttamente all’Italia.
Si parte dagli antichi romani, si prosegue con le Repubbliche Marinare di Genova e Venezia, continua con la partecipazione del Regno di Sardegna alla Guerra di Crimea, si conclude con gli “italiani di Crimea” (a livello storico, a livello relazionale la storia è ancora in corso d’opera).
I resti, più o meno ben conservati, delle fortezze genovesi di Sudak e Feodosija sono ancora visibili ma lo è anche il memoriale solitario sul monte Gasfort, poco sopra la cittadina di Balaklava, che ricorda i caduti piemontesi della guerra che si combattè a metà dell’ 800.
Fin poco dopo la II° Guerra Mondiale esisteva un sacrario che fino ad inizio del ‘900 aveva conservato anche i corpi dei militari, poi questi furono traslati, il sacrario seriamente danneggiato durante le battaglie tra nazisti ed Armata Rossa e poi praticamente sparì. Se non per un monumento, una stele, che resiste alle intemperie ed al forte vento che tira su quell’altura e che ricorda, a distanza di quasi due secoli quella guerra di epoca risorgimentale.
Nel 2015 Berlusconi visitò il sito, credo primo esponente di governo italiano in assoluto, e fu proprio in quell’occasione che fu data ufficialità al progetto che l’amministrazione comunale di Balaklava ed il Museo del Risorgimento Italiano di Torino avevano ideato: quello di costruire un nuovo grande memoriale che sarebbe diventato un polo museale di memoria storica.
Il progetto è ancora fermo lì però. Nel nostro ultimo viaggio in Crimea, nel 2018, a Balaklava, il sindaco della città, ce lo mostrò nei dettagli. Restammo favorevolmente colpiti. Le autorizzazioni ci sono, i soldi no. I crimeani sono sempre interessati alla sua realizzazione, la controparte italiana si è un po defilata, nonostante anche le solenni promesse a livello governativo.
Un altro aspetto del legame che c’è tra Crimea ed Italia è poi la storia inerente i cosiddetti “italiani di Crimea”, storia quasi sconosciuta e riportata alla luce solo dal 2007 in poi grazie alla pubblicazione di un libretto da parte di uno studioso, un professore di Genova, che grazie a ricerche e contatti intrapresi con i discendenti italo-crimeani, riportò alla luce.
Nel 2007 la storia ritornò in auge anche se non ebbe grossa copertura, noi, da appassionati di storia, ne venimmo a conoscenza e durante il viaggio in Crimea del 2008 ovviamente visitammo anche la città di Kerc accompagnati da questa storia.
Nei successivi viaggi gli “italiani di Crimea” poi li abbiamo anche conosciuti e di alcuni ne siamo diventati amici.
Ma quale è la storia di questi italiani?
Nel corso dell’800 numerose famiglie o italiani singoli si trasferirono in Crimea, soprattutto dalla Puglia e dalla Liguria. C’è chi partiva per l’America e chi prendeva la direzione della Crimea. Negli anni le tradizioni italiane si sono mantenute, in un piccolo parallelismo con le comunità italiane d’America appunto ma senza la caratteristica criminale di molti di essi, con la presenza di scuole, commerci, giornali in lingua italiana. Con molte difficoltà la minoranza italiana, attestatasi poi sempre più nella zona di Kerc dove oggi parte il ponte che collega la Crimea alla Russia, si mantenne anche con l’avvento dei bolscevichi fino al 1942, anno in cui tutte le minoranze etniche presenti in Crimea (oltre quella italiana, quella tedesca, i tatari, etc.) furono deportati verso le steppe del Kazakhstan. Un unico drammatico viaggio deportati in treno e nave durante l’attraversamento del mar Nero e del mar Caspio e durante il quali molti già morirono per stenti e per l’affondamento di una delle navi cariche. Negli anni ‘50 poi pian piano iniziarono a tornare in Crimea, russificando il loro nome, ma molto delle origini era perduto. Ai tempi dell’ Urss e dell’ Ucraina poi arrivarono a risultare finanche apolidi.
Finchè, durante il solito viaggio di Berlusconi nel 2015, Putin riconobbe la comunità dei discendenti italiani. I quali continuano ancora a ricordare le origini, oramai bicentenarie, racchiusi in una associazione.

 

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DISTRETTO DI BRCKO, BOSNIA – HERZEGOVINA
Lo scorso agaosto mi sono recato in visita alla cittadina di Brcko, amministrativamente appartenente alla Bosnia – Herzegovina ma con una storia particolare. Nella maggior parte dell’ opinione comune, la Bosnia è costituita da due entità: la Federazionedi Bosnia ed Herzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia. Non è ufficialmente così. Esiste anche una terza entità, seppur piccola e poco conosciuta a chi non si interessa più di tanto dei Balcani, il Distretto di Brcko. In pratica la cittadina di Brcko e la sua “provincia”, per fare un esempio con la suddivisione amministrativa italiana. Brcko nacque verso la fine della guerra dei Balcani degli anni ’90 come distretto autonomo, ufficialmente per gestire un piccolissimo territorio che era rimasto fuori dagli Accordi di Dayton ( in maniera semplicistica quelli che sancirono la nascita della Bosnia – Herzegovina appunto ) e nel quale furono insediate alcune forze internazionali di peacekeeping, politiche ed un grande base militare americana.
In realtà, Brcko città soprattutto, per la sua posizione molto favorevole sulla sponda bosniaca del fiume Sava e per essere al centro tra Croazia, Bosnia stessa e Serbia ha da subito svolto un’ altra funzione. Un ruolo che è servito e serve ancora oggi in un certo qual modo a tutte le forze in campo ed alla comunità internazionale in generale: un porto franco. In pratica un territorio “neutrale”, un mercato, un tavolo dal quale e sul quale muoversi liberamente in maniera legale ed illegale.
Serviva una sorta di “posto sicuro” in mezzo ai Balcani martoriati dal quale poter gestire varie situazioni. Sei sul campo, al centro della regione, ma fuori o quasi dalla criticità. Un po come il ruolo che grosso modo svolge la Giordania nel Medio Oriente.
“Arizona market” è stato uno degli appellativi di Brcko, un posto dove tutti o quasi i tipi di traffici erano permessi. Fino a qualche anno fa, quando si è deciso di normalizzare la situazione a livello amministrativo passandola direttamente alla Bosnia ed anche la base americana ha chiuso i battenti.
I traffici però, non è detto che siano terminati o magari non del tutto.
Arrivi a Brcko città dalla Croazia attraversando un ponte sulla Sava ( che tra l’ altro pochissimi sanno essere un fiume che nasce in Italia prima di buttarsi nel Danubio e creare nella città di Belgrado una delle confluenze più belle e famose al mondo ), su questa sponda sei in Unione Europea, sull’ altra sei in Bosnia ( almeno ufficialmente ). E così è poi anche l’ altra frontiera con la Serbia passando dalla “provincia” di Brcko, passi il ponte sulla Sava e sei in Serbia.
Brcko presenta varie anime: la strada con le costruzioni più moderne, supermercati, uffici, banche di tutte le nazionalità, ovviamente, ma dietro poi trovi la zona più ottomana con la moschea (più di una), e poi c’è la zona serba con le sue chiese protoslave e più ti addentri più trovi anche molte zone trasandate. In linea generale è però tenuta bene ma è soprattutto viva con bar e ristoranti alla moda e musica caratteristici di ogni zona. Una piccola cittadina dalle molte anime.
Un luogo che solo ora ho avuto la possibilità di visitare, nonostante i miei numerosi viaggi nei Balcani e nell’ ex Jugoslavia nello specifico, anche se lo avevo in agenda da tempo e soprattutto dopo averne approfondito la sua storia e costituzione prima e durante la mia partecipazione alle elezioni bosniache del 2014 in qualità di osservatore internazionale.
[ Per chi fosse interessato a quella esperienza: Elezioni in Bosnia. Ottobre 2014 ]
Unica “pecca” è stata quella di non aver avuto il tempo di provare a visitare la base americana oramai non funzionante. Anche se in realtà non so se è abbandonata o utilizzata ora in altro modo.
Bisogna sempre lasciare un buon motivo per ritornare in un posto…

 

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DONBASS – DONETSK
Il Bacino del Don, conosciuto come regione del Donbass, è da circa 6 anni formalmente staccato dall’ Ucraina e da circa 6 anni in quella zona si combatte una cruenta guerra della quale oramai sembra interessi solo a pochi non “tirando” più dal punto di vista mediatico.
In realtà si continua a sparare, distruggere, morire.
Da 6 anni, quindi, si sono costituite 2 nuove repubbliche de facto: la Repubblica Popolaredi Donetsk e la Repubblica Popolaredi Lugansk che vanno ad aggiungersi agli vari stati non riconosciuti ufficialmente dall’ Onu come Abkhazia, Ossezia del Sud, Cipro Nord, Pridnestrovie, etc.
Negli anni prima della guerra ho viaggiato molto in Ucraina ma purtroppo non ho fatto in tempo a visitare il Donbass prima che essa iniziasse, essendomi dedicato alla scoperta di altre regioni.
La voglia di visitare quella zona da viaggiatore ovviamente comunque mi è sempre rimasta intatta, tanto più che da appassionato “analista dilettante” che ha seguito le ultime vicende geopolitiche sin dall’ inizio c’era è continua ad esserci l’ interesse di capire la situazione più da vicino possibile.
L’ esperienza mi ha insegnato questo: da viaggiatore bisogna vederli i posti prima di giudicarli, da “opinionista” bisogna recarsi di persona sul posto per avere una visione diretta e poter poi esprimere dei giudizi.
( Così ho fatto per vari posti dal Kosovo sotto la missione Unmik, alla Palestina tutta, al Golan sotto la missione Undof, alla Corea del Nord, al Sahrawi, ai giorni del Maidan a Kiev, alle repubbliche de facto, a decine di frontiere terrestri, al monte Athos, alle zone più impervie del Caucaso, etc. )
Ho quindi avuto l’ opportunità di recarmi a Donetsk lo scorso maggio in occasione del Giubileo dei 5 anni dalla nascita della DNR. Una bellissima esperienza che mi ha dato la possibilità di visitare la città di Donetsk anche se per vari motivi, di tempo soprattutto, non ho potuto effettuare un viaggio vero e proprio limitando così la mia breve esperienza al solo centro cittadino.
In quel mio breve blitz, in centro città, la guerra sembrava lontana. Sembrava… perché girando per il centro la situazione triste e “vuota” la noti. Come noti il vuoto al mercato cittadino. Quale mercato dell’ Europa Orientale è così povero di merci e di gente?
La gente incontrata, cordialissima, era al tempo stessa fiera e rassegnata.
La notte vige il coprifuoco, dalle 22 alle 5 non puoi restare in giro. O stai in casa, o da amici, o in quei pochissimi locali-ristoranti aperti tutta la notte. La notte interrotta da tuoni e fuochi d’ artificio.
No… non sono suoni che uno come me è abituato ad udire a casa o in qualsiasi altro luogo. Quei botti e quelle luci sono colpi di mortai sparati a pochissimi chilometri dal centro città, basta addentrarsi nella periferia e sei in un’altra dimensione: quella della guerra.

 

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CAMP ZIUONI / UNDOF – ISRAELE
Nelle ultime discussioni è uscito fuori l’ argomento Israele ed a tal proposito mi è tornata in mente l’ esperienza sulle Alture del Golan e nella zona UNDOF, durante il nostro primo viaggio tra Israele e Palestina.

Qui tralascio ovviamente il resto del viaggio che ci ha portato per una decina di giorni in giro in auto per quasi tutto Israele e per tutti i Territori Palestinesi cosiddetti (Gaza esclusa ) e riporto nello specifico la tappa attraverso il Golan.
Le Alture del Golan sono una zona montuosa racchiusa tra il lago di Tiberiade e Giordania, Siria e Libano che arriva, come cima più alta, ai 2184 metri del Monte Hermon che è ubicato proprio nel punto di incrocio tra tre dei quattro stati citati (la Giordania è infatti più a sud ). La zona faceva parte della Siria fino a quando, nel 1967 con la “Guerra dei Sei Giorni”, Israele l’ ha annessa salvo poi rilasciare una piccola parte del territori nel 1973 dopo la cosiddetta “Guerra del Kippur”.
Da allora la zona è formalmente contesa tra Israele e Siria ed è stata imposta una forza militare ONU in una sorta di zona cuscinetto tra i due paesi. In pratica, per dirla grossolanamente, la parte dei territori occupati da Israele e poi rilasciati non sono tornati ufficialmente alla Siria ma è stata lì creata una zona di nessuno, sede di basi militari, in modo che i due confini praticamente non si tocchino. La zona è quindi la base per la missione UNDOF (United Nations Disengagement Observer Force ), forza che osserva il disimpegno tra le forze israeliane e siriane concordato nel 1973. Camp Ziuoni è il campo che gestisce l’unico valico di frontiera tra Israele e Siria che in realtà è un passaggio chiuso. Passano solamente gli abitanti locali con un permesso speciale di lavoro o familiare. Ma non entrano direttamente in Siria, perché una volta superato l’ accesso di Camp Ziuoni si trovano nella zona cuscinetto gestita dalla missione Undof, una striscia di terra con qualche villaggio abitato dalla popolazione di etnia drusa. I Drusi sono i veri abitanti dell’ area delle Alture del Golan. Prima erano drusi con passaporto siriano, dopo sono diventati drusi all’ interno di Israele (non mi dilungo sulla questione dei passaporti e della cittadinanza ). I Drusi, un po come i Kurdi per fare un esempio simile, vivono quindi a cavallo tra Israele la maggioranza e Siria (zona Undof). Camp Faouar è la base più grande, la “capitale” della missione Undof collocata sulla linea di demarcazione tra la zona cuscinetto e la Siria vera e propria.
Durante il nostro viaggio ci siamo recati in visita alla base di Camp Ziuoni, anche se dall’ esterno ovviamente. La nostra tappa giornaliera era partita da Tiberiade, sull’ omonimo lago , per poi visitare la fortezza di Nimrod, salire fino allo Sky Resort del Monte Hebron, rinomata località sciistica che in pochi si aspettano di trovare al caldo del Medio Oriente e fare tappa a Camp Ziuoni per poi proseguire verso un’ altra frontiera: quella con il Libano a Kfar Rosh HaNikra direttamente sul mar Mediterraneo.
Imbocchiamo una strada di campagna anonima e ai lati osserviamo in mezzo ai terreni dei cartelli con la dicitura: “campo minato”….
Arriviamo fin sotto la base, parcheggiamo di fronte tipo dipendente che arriva in ufficio, scattiamo un po di foto e ripartiamo. Nessuno ci ferma e sia la base che la zona sembrano disabitati. Un po perplessi del fatto che ci troviamo nello stato più sospettoso del mondo e proprio in uno dei punti più strategici dell’ intero suo territorio ed abbiamo avuto totale libertà di movimento. Ho esperienza di frontiere e di punti strategici ma ma mai provato un livello di sicurezza, apparentemente, così basso. Nessuna ripercussione poi neanche dopo, all’ uscita di Israele per far ritorno in Italia o durante il viaggio.
A contorno di questo post alcune foto scattate da me insieme ad una mappa della zona Undof ricavata da internet in modo che si possa comprendere il tutto un po meglio.

Riporto anche una nota che forse in pochi sanno. Israele si ritirò anche dal sud del Libano tranne peràò che per un piccolo lembo di terra che comprende 14 fattorie: le cosiddete Fattorie di Sheb’a, una vera e propria exclave di Israele nel Libano.

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KOSOVO
Il 17 febbraio 2008, io  Jena e  Pingo ci trovavamo in giro tra la “solita” Ljubljana e Maribor. Alla radio ascoltammo la notizia: riconosciuta l’ indipendenza del Kosovo. Non passano neanche 2 mesi che io e Jena siamo già sul posto. Il paese era ancora sotto l’ egida della missione UNMIK della Nato. Ai tempi non c’ erano turisti, mancava l’ energia elettrica e diversi militari armati, check point e carabinieri in giro.
Particolare fu l’ esperienza di attraversamento del ponte sul fiume Ibar che divede(va) a metà la città di Mitrovice /Kosovska-Mitrovica tra albanesi e serbi, con grosso stupore misto a sospetto nei nostri confronti da parte dei militari francesi che controllavano il “confine”. E non ci siamo neanche fatti mancare un cappuccino al “Dolce Vita”, il bar a ridosso del ponte, lato serbo, centro franco internazionale di incontri e affari in stile “guerra fredda” ai tempi della Berlino divisa tra DDR e RDT. Ottimo punto d’ osservazione, il bar, secondo il solito e sempre ben informato “metronotte, nottambulo inguaribile” ( da sempre fonte di informazione preziosa per i nostri viaggi  ) era una sorta di copertura, una “zona neutra”. Ai tempi, forse, fummo davvero i primi “turisti” in Kosovo e venivamo guardati con sospetto. Dal lato sud, quindi quello albanese del ponte, i militari francesi addetti al controllo del passaggio, ( una sorta di “check point Charlie” ) ci controllano i documenti e si interrogano su chi siamo ed il motivo del nostro esser li. Gli diciamo di essere semplici turisti ed il comandante, dopo averci pensato un po, titubante ci riconsegna i passaporti dicendoci: “Tourists… why not?… “, in pratica non credendo alle nostre parole…
Stupore nei nostri confronti lo provarono anche i soldati svedesi a guardia del monastero di Gracanica, i militari italiani che gestivano il check point con mitragliatore sul chi va là a difesa della zona del monastero di Decani, il contingente tedesco che “occupava” la piazza principale di Prizren.
La situazione era ovviamente ancora calda, si stava appena uscendo dalla guerra vera e propria. Tornare da Gracanica a Pristina non fu semplice, nessun serbo era disposto a d accompagnarci in taxi in città. Solo dopo che la comunità si mosse a compassione per noi due “arditi” turisti italiani fecero arrivare un ragazzo che prima di partire, però, si vide bene dal togliere dalla sua auto le insegne che tradivano la sua origine e ci abbandonò alle prime case cittadine sgommando veloce sulla strada del ritorno.
Una sera chiedemmo a delle ragazze di etnia albanese, fuori uno dei tanti caffè, le indicazioni per una zona di Pristina dove, secondo le indiscrezioni del solito “metronotte, nottambulo inguaribile”, si svolgeva la famosa nightlife della capitale…  ci ammonirono di non andarci assolutamente, troppo pericoloso essendo una zona serba. Ringraziammo gentilmente per l’ avvertimento, io e Jena ci guardammo negli occhi per un istante e senza parlare prendemmo la strada per il quartiere in questione…
Per le strade giravano le camionette dei Carabinieri, i carri armati militari e fu incredibile la scena che vedemmo a Pec: il carro armato all’ autolavaggio ed il plotone che attendeva seduto sul ciglio della strada.
Elegemmo a nostro quartier generale l’ oramai mitico per noi Formula 1, una sorta di fast food primordiale. Diventammo subito ospiti d’ onore e trattati con benevolenza. Come d’ altronde accadde in qualsiasi bar, ristorante o esercizio commerciale dentro il quale capitavamo. Finanche nel bar sede degli ultras della squadra di calcio della capitale. Tra “colleghi” scattò subito la simpatia tra me e loro.
L’ uomo dal quale fittavamo la stanzaccia, il “Professore” a detta del nostro amico “metronotte, nottambulo inguaribile”, era prodigo di consigli.
Bellissima esperienza. Ma era il 2008, era da poco Kosovo ma era ancora UNMIK.

 

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OSSEZIA DEL SUD
L’ Ossezia del Sud, ( come l’ Abkhazia della quale si è già parlato in precedenza qui nel gruppo ) è anche essa una delle cosiddette “Repubbliche De Facto”: stati dove esistono un governo, istituzioni locali, frontiere, esercito, passaporto, targhe automobilistiche, tasse, leggi, tribunali, popolazioni ma che per la maggior parte della comunità internazionale non esistono o meglio non sono riconosciute. Questi stati presentano, è vero, contraddizioni e problematiche ma nella realtà esistono e ci si può viaggiare. O quasi.
L’ Ossezia del Sud è uno degli stati più difficili a livello burocratico da poter visitare. Per certi aspetti le procedure potrebbero ricordare quelli inerenti la Coreadel Nord, l’ Arabia Saudita (fino a poco tempo fa), il Turkmenistan ma in realtà in Ossezia non vige nessun regime autoritario, anzi. Le difficoltà burocratiche per entrarvi sono tutte legate a sistemi di sicurezza dato il fatto che l’ Ossezia sta ancora cercando di uscire dalla tragica guerra che la vide territorio di battaglia negli anni recenti.
Alla dissoluzione dell’ Urss, tutte le Repubbliche che componevano la Federazione, divennero indipendenti. Anche l’ Abkhazia e l’ Ossezia del Sud rivendicarono la loro diversità rispetto alla Georgia alla quale erano state incorporate alla costituzione dell’ Unione Sovietica. Per entrambe scaturì una guerra con la Georgia appunto e poi 15 anni di embargo internazionale.
Era l’ agosto del 2008 quando la guerra riprese in maniera tragica per alcuni giorni. Ci trovavamo proprio in Georgia tra Tblisi e Gori ed è stato da quel momento che l’ Ossezia del Sud entrò propotentemente nel mio interesse di appassionato di storia, viaggia e geopolitica. Essendo un gruppo di viaggi non mi soffermo su dettagli, colpe, verità, opinioni e mi limito solo ad affermare che quello che si vede in vari filmati dei tempi cercando su internet, poi a Tskhinval, la capitale, ti rendi conto dal vivo di quello che accadde. Lo vedi nei palazzi smitragliati come a Sarajevo, nel buio notturno come a Pristina ai tempi della missione Unmik, lo rivivi in alcuni luoghi che hai visto sotto i bombardamenti nei filmati, lo ascolti dai racconti della gente.
Tornando più al tema del viaggio puro, ho avuto la possibilità di recarmi in Ossezia del Sud più di una volta e sono tra i pochissimi stranieri che ci si sono recati dal 2008 in poi. Frequento il Caucaso e frequento quindi anche l’ Ossezia del Sud, uno dei posti più “misteriosi” ed un pezzo interessantissimo del Caucaso che consiglio a tutti di visitare. Mi autocito: “Un paese che deve ancora crescere ma che offre già moltissimo rispetto a quello che si potrebbe trovare in vari altri posti. “
Oltre a queste sono stato comunque altre volte.

 

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OSPEDALE PARTIGIANO FRANJA / PARTIZANSKA BOLNICA FRANJA – SLOVENIA
Un’ altra interessante e poco conosciuta località dell’ ex Jugoslavia sono le gole di Pasica, ubicate sopra il paese di Cerkno, sede di un vecchio ospedale partigiano utilizzato durante la II° Guerra Mondiale. La storia di questo sito è molto particolare, e come lo Sremski Front del quale abbiamo già parlato, poca conosciuta ai più. Nel 1943 i partigiani sloveni su idea e coordinamento del dottor Viktor Vocjak ( immortalato in un busto all’ ingresso del sito ) costruirono ed adibirono ad ospedale da campo una serie di baracche di legno nascoste nei boschi di Dolenji Novaki e precisamente nella gole di Pasica. Così nascosto e camuffato tra la vegetazione e le rocce, l’ ospedale non fu mai scoperto dai nazisti. La dottoressa Franja Bojc Bidovec (dal cui nome “Ospedale Parigiano Franja” in sloveno “Partizanska Bolnica Franja” ) insieme ad altri dottori come l’ italiano Antonio Ciccarelli, infermieri e volontari curarono decine di partigiani sloveni e stranieri tra cui anche numerosi italiani. L’ ospedale, grazie ad aiuti che arrivavano di nascosto e con grosse difficoltà anche e soprattutto per raggiungerlo, incastonato così come era nelle gole, era autosufficiente con medicinali, qualche macchinario medico, viveri, generatore elettrico ed anche un sistema di difesa in caso di avvicinamento o di scoperta da parte dei battaglioni nazisti. Dopo la II° Guerra Mondiale divenne visitabile come sito museale e quello che resistette ai nazisti non riuscì a resistere alle forze della natura. Nel 2007 una alluvione ha quasi completamente distrutto le costruzioni e gli oggetti originali. Fu ricostruito nel 2010, perdendo l’ originalità delle cose ma conservando l’ esatta ubicazione e non perdendo la sua storia. Un sito interessante da visitare sia per motivi storici che naturalistici considerando che bisogna raggiungerlo arrivandoci con un sistema di pedane e scalinate che ai tempi del suo funzionamento ovviamente non esistevano e fanno rendere conto di quanto era difficile raggiungerlo con vettovaglie e barelle dei feriti. Nonostante sia stato in Slovenia varie volte non conoscevo questo luogo e devo ringraziare i curatori del sito SLOvely ( utilissimo per chi voglia scoprire la Slovenia e del quale linko la pagina sull’ ospedale ) che hanno ispirato la nostra visita alla Bolnica Franja.
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SREMSKI FRONT – SERBIA
Dopo il già postato Distretto di Brcko  un’altra tappa del nostro recente giro nei Balcani alla scoperta di luoghi da noi mai visitati in precedenza, è stata quella del Memoriale dello Sremski Front. Quello dello Sremski Front è una storia poco conosciuta in Italia nonostante ci tocchi da vicino (indipendentemente dalle ideologie, è comunque una pagina di storia) La Sirmia è una piccola regione praticamente compresa tra il fiume Sava ed il Danubio che parte dalla periferia di Belgrado fino a Vukovar, divisa quindi a metà tra Serbia e Croazia, tra Unione Europea e resto dell’ Europa geografica. Grosso modo proprio sull’odierna linea di confine tra Serbia e Croazia, le armate naziste costituirono una linea di difesa della loro Jugoslavia occupata: il cosiddetto Sremski Front o Fronte Sirmiano in italiano. Alla fine del 1944, dopo la liberazione di Belgrado da parte dell’Esercito di Liberazione Nazionale della Jugoslavia insieme all’Armata Rossa sovietica, la guerra si attestò su questa linea del fronte dove si combattè fino all’ aprile del 1945 quando la linea fu sfondata e da lì poi i nazisti man mano vennero ricacciati verso Zagabria e Vienna. Una sorta di Stalingrado jugoslava. Nelle trincee (come nella I° Guerra Mondiale) dello Sremki Front combatterono e morirono anche combattenti dell’Esercito nazionale della Bulgaria e la brigata partigiana italiana “Italia”. 163 partigiani italiani persero la vita durante i combattimenti. Sul luogo simbolo della battaglia, nei dintorni del villaggio di Adaševci, praticamente al confine tra Serbia e Croazia e con attenzione visibile dall’ autostrada, fu costruito un Memoriale che ricorda quelle battaglie, le operazioni militari, la tragedia dei caduti, tutti ricordati con i propri nomi ai lati del Viale degli Eroi. Anche gli italiani sono ovviamente celebrati (il luogo della sepoltura dovrebbe però trovarsi a Berak un paese oltre confine, in Croazia quindi) insieme a tutti gli altri. Durante la Jugoslavia il Memoriale era tenuto in considerazione e visitato. Oggi, invece, si trova in territorio serbo ma come tutti i monumenti di epoca socialista jugoslava (Jasenovac a parte) è caduto nel dimenticatoio. Rarissimi visitatori vi si recano ed il solitario vecchio guardiano, il quale prova a mantenere più pulito possibile il sito dall’ incuria del tempo e dalle erbacce incombenti, è prodigo di notizie ed aneddoti seppur esclusivamente in lingua serba. Esaltato dal nostro essere italiani ci ha mostrato i segni che richiamano alla brigata “Italia”, aperto il museo e le installazioni anche sonore, trasmessoci la solitudine, non tanto del suo lavoro ma quella di un capitolo importante, ( ripeto senza caricarlo di ideologia) della nostra storia.
Segnalo per chi ci si dovesse recare l’ ottimo ristorantino solitario ed immerso nel verde a pochi metri dal Memoriale stesso.